sabato 28 marzo 2020

John Bowlby - La teoria dell'attaccamento



Possiamo renderci consapevoli dello stile di attaccamento che abbiamo, non lo possiamo cambiare, possiamo fare le esperienze emotive correttive in età adulta, risperimentare la fiducia verso le persone, se ne abbiamo bisogno, con percorsi di psicoterapia e formare modelli operativi interni più funzionali della persona.
Alcuni fattori di rischio come di protezione sono legate a specifiche tappe del ciclo di vita della persona. Le rappresentazioni mentali sono i modi attraverso cui noi esperiamo la realtà intorno a noi. Noi possiamo prendere consapevolezza del nostro stile di attaccamento e poi lavorarci in età adulta attraverso altri strumenti.

mercoledì 25 marzo 2020

Luca, 1, 26-38 - Avvenga in me secondo la tua parola - Commento al vangelo di Silvano Fausti

Luca 1,26-38

26 In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: 28 «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.


Il commento è stato tratto dal libro:
Silvano Fausti
Una comunità legge il Vangelo di Luca
EDB editore
Nona ristampa: novembre 2003

Si resta a disposizione degli aventi diritto per l'immediata rimozione del testo.

Messaggio nel contesto:

Al mattino, mezzogiorno e a sera, pre tre volte al giorno, suonano le campane. E' l'Ave Maria. Il saluto dell'angelo scandisce l'inizio, il centro e la fine del giorno. L'Angelus e l'Ave Maria fanno dell'annunciazione il racconto della Scrittura più noto e ripetuto. La vita cristiana porta nel suo cuore e ha come principio e come fine l'incarnazione del Verbo. Tutta centrata su questo mistero, è una continua attualizzazione "oggi" del " sì" che ha attratto Dio nel mondo.

Maria è figura di ogni credente e della chiesa intera. Ciò che è avvenuto a lei deve accadere a ciascuno e a tutti. Il "sì" dell'uomo che accoglie e genera il Verbo, da cui tutto ha principio, è il fine stesso della creazione. La scena precedente si svolgeva nel tempio; ora nella "casa", perché Dio ha finalmente trovato la casa di cui il tempio è figura.

Il mistero può essere colto sotto vari aspetti, secondo che si consideri Maria come tipo del credente, apice del mondo, resto d'Israele, realizzazione della promessa, ecc. Il modo più adeguato è quello di  è quello di collocarsi, con un colpo d'ala, dalla parte stessa di Dio. E' l0incontro che lui ha cercato da tutta l'eternità, il momento in vista del quale iniziò il tempo, coronamento del suo sogno d'amore, premio del so lavoro, ricompensa alla sua fatica. Finalmente dalle profondità della sua creazione che si è allontanata da lui, s'innalza un "sì" capace di attirarlo. E lui viene, si unisce e si compromette per sempre.

Quale fu la gioia di Dio nel poter dire a Maria: " Giosci". Lo sposo finalmente, dopo tanti drammi, trova la sposa del suo cuore. finalmente ha termine la sua sofferenza: è abbracciato da chi ama. La sua offerta trova mani che l'accolgono e le grandi braccia del mondo comprendono, concepiscono e stringono ciò senza cui l'uomo non è uomo. L'Amore è amato: ha trovato una casa dove abitare e la casa dell'uomo non è più deserta. L'incarnazione ha un carattere " passionale": rivela la passione di Dio. E' l'inizio delle nozze tra lui e l'umanità, il principio di un amore che sarà più forte della morte ( Ct 8,6).

Il racconto inizia con l'angelo "mandato" ( = apostolo) e termina con l'angelo che parte. L'angelo è la presenza di Dio nella sua parola annunziata. La nostra fede  nella sua parola accoglie lui stesso e ci unisce a lui: è il natale di Dio sulla terra e dell'uomo nei cieli. La Parola si fa carne in noi, senza lasciarci più e l'angelo può andare ad annunciarla ad altri, fino a quando il mistero compiutosi in Maria san compiuto tra tutti gli uomini. La salvezza di ogni uomo è diventare come Maria: dire sì alla proposta d'amore di Dio, dare carne nel suo corpo al suo Verbo eterno, generare nel mondo il Figlio.

Questo brano, posto all'inizio del Vangelo, ne è la chiave di lettura: ogni racconto che segue mi propone, come a Maria, di "gioire", mi dice un "aspetto del mio nome ( "pieno-di-grazia") e di quello di Dio ("il Signore-con-te"), e mi offre il verbo che attende il mio "sì" per farsi carne in me, nella forza dello Spirito.

Lettura del testo:

v. 26: " Ora al sesto mese". Il compimento è i gestazione già nel tempo della promessa. Anche se questa precede, i suo sono in continuità e in parte contemporanei. Attesa e dono convivono sempre, fino al pieno riconoscimento. Inoltre il numero 6 richiama il giorno della creazione dell'uomo. L'annuncio al sesto mese indica che Dio entra nel giorno dell'uomo, facendosi suo contemporaneo e aprendogli il suo oggi eterno ( Galati 4,4). Nell'incarnazione il tempo raggiunge la sua pienezza, ricolmo deleterio che ora contiene.

"l'angelo Gabriele". La forza della parola di Dio che ha portato a perfezione il ricordo della sua promessa in Zafcaria ed Elisabetta, porta ora a compimento la promessa stessa. Non si dirige verso la Giudea, luogo degli eredi della promessa, bensì verso la Galilea, regione infedele: la "Galilea delle genti" ( Matteo 4, 15). La promessa segue l'erede fin nella terra della sua infedeltà.
In Galilea raggiunge un paese insignificante, Nazareth. Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono ( Giovanni 1, 46)? Dio tiene conto di ogni lontananza e predilige ciò che è religiosamente squalificato e umanamente insignificante. Il privilegio dei lontani e dei piccoli fa parte dell'essenza misteriosa di Dio, che è misericordia. Essa vale in realtà per ogni uomo, lontano da lui e piccolo davanti a lui! Solo visitando il figlio più lontano, il padre ha abbracciato tutti suoi figli! Prima, il suo amore resta insoddisfatto.

v. 27 "davanti a una vergine". Prima Dio si era rivolto a una coppia di anziani dando successo ai loro vani tentativi di avere un figlio. L'annuncio a Zaccaria serve appunto a far comprendere che lui, e solo lui, dà un futuro e salva. Ora invece si rivolge a una "vergine", a una che ha rinunciato ad ogni sterile tentativo. E si dona a lei come suo figlio, per far comprender che il futuro e la salvezza dell0uomo viene solo da lui ed è lui stesso. Il compimento supera ogni attesa!
La verginità di Maria pone infatti la domanda circa la partenti.

Paternità significa origine e natura, significa identità: chi è veramente il figlio donato a Maria? Paternità e parola vanno insieme: il Padre dà il nome e dice la parola che fa crescere il figlio come persona libera. La questione della paternità di Gesù si apre con l'accoglienza della parola ( v. 38), è dichiarata dalla sua obbedienza al Padre ( 2, 49) e trova risposta alla fine del suo cammino di giusto che sulla croce si consegna al Padre ( 23, 46).

La verginità di Maria indica innanzitutto che ciò che nasce da lei è puro dono. IL futuro, in lei offerto a tutto il mondo, è grazia e dono di Dio, + anzi Dio stesso come grazia e dono. La verginità indica inoltre la condizione alla quale Dio può donarsi. La capacità dell'uomo di concepire l'umanamente inconcepibile non è quella delle coppie sterili dell'AT, dove è dato successo ad un'azione umana senza successo. Tale capacità è capacità è la verginità, la rinuncia ad agire. In Maria infatti non vi è alcuna azione umana. Dio solo agisce. Dall'altra parte trova solo obbedienza e accoglienza , senza alcuna azione di disturbo. La verginità indica quindi l'attitudine più alta dell'uomo: la passività e la povertà totale di chi rinuncia all'agire proprio per lasciare il posto a quello di Dio. E' la fede. Questo vuoto assoluto è l'unica capacità in grado di contenere l'Assoluto. Soli il nulla può concepire totalmente colui che è tutto. Per questo è nulla.

Maria realizza il mistero della fede: accettare Dio com'è. E' figura di ogni uomo e di tutta la chiesa che, nella fede, concepisce l'inconcepibile: Dio stesso. Maria, vergine, madre, è "termine fisso d'eterno consiglio", proprio per la sua verginità che la rende capace di generare Dio. Questo è per ciascuno di noi e per tutta la storia umana, il punto d'arrivo: è la fede pure che attira in noi il Salvatore. Frutto di una storia di "impotenza" sperimentata, fino alla rinuncia ad essere capaci, la fede rompe i limiti di ogni incapacità umana per renderci calci di Dio.

"promessa sposa a un uomo di nome Giuseppe della casa di Davide". La genealogia, così preziosa in Israele, tramanda di padre in figlio la promessa di Dio. Attraverso le generazioni i padri vivono nell'attesa dei figli e i figlio dell'attesa dei padri. Alla casa di Davide, che aveva costruito una casa al Signore - che è poi Maria - il Signore aveva promesso una casa definitiva in cui abitare. Ma non è l'uomo che costruisce la dimora a Dio, bensì Dio che si fa casa a colui che gli dona la casa ( cf 2 Sam 7). C'è corrispondenza tra figlio e casa, tra casa e casato. Il nome dello sposo è "Giuseppe", che significa "possa Dio aggiungere". Attraverso Maria Dio aggiunge a lui se stesso come figlio. "Maria" infatti, il nome della sposa, significa: " altezza, sommità, eccellenza". Per la sua bassezza e la sua umiltà abissale essa sarà madre del Figlio dell'Altissimo, in cui ogni uomo troverà casa. 

lunedì 16 marzo 2020

Coronavirus - Lettera di un medico dell'Ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo

2020, 16 marzo - da Bergamo:
Grazie a don Andrea Lonardo, che lo ha pubblicato (https://www.facebook.com/andrea.lonardo.7/posts/2976405045758064), copio ed incollo il TESTO di un MEDICO che lavora a Bergamo, nell’Ospedale Humanitas Gavazzeni che descrive l’esperienza vissuta in ospedale in questi giorni. Il testo è di qualche giorno fa. Aiuta a RENDERSI CONTO di cosa può causare questo virus se, invece di stare a casa come ci hanno chiesto, lo lasciamo libero di contaggiarci tutti. STIAMO A CASA per evitare di vivere in tutta Italia la stessa situazione.
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"In una delle costanti mail che ricevo dalla mia direzione sanitaria a cadenza più che quotidiana ormai in questi giorni, c’era anche un paragrafo intitolato “fare social responsabilmente”, con alcune raccomandazioni che possono solo essere sostenute.
Dopo aver pensato a lungo se e cosa scrivere di ciò che ci sta accadendo, ho ritenuto che il silenzio non fosse affatto da responsabili. Cercherò quindi di trasmettere alle persone “non addette ai lavori” e più lontane alla nostra realtà, cosa stiamo vivendo a Bergamo in questi giorni di pandemia da Covid-19.
Capisco la necessità di non creare panico, ma quando il messaggio della pericolosità di ciò che sta accadendo non arriva alle persone e sento ancora chi se ne frega delle raccomandazioni e gente che si raggruppa lamentandosi di non poter andare in palestra o poter fare tornei di calcetto rabbrividisco.
Capisco anche il danno economico e sono anch’io preoccupato di quello. Dopo l’epidemia il dramma sarà ripartire. Però, a parte il fatto che stiamo letteralmente devastando anche dal punto di vista economico il nostro SSN, mi permetto di mettere più in alto l’importanza del danno sanitario che si rischia in tutto il paese e trovo a dir poco “agghiacciante” ad esempio che non si sia ancora istituita una zona rossa già richiesta dalla regione, per i comuni di Alzano Lombardo e Nembro (tengo a precisare che trattasi di pura opinione personale).
Io stesso guardavo con un po’ di stupore le riorganizzazioni dell’intero ospedale nella settimana precedente, quando il nostro nemico attuale era ancora nell’ombra: i reparti piano piano letteralmente “svuotati”, le attività elettive interrotte, le terapie intensive liberate per creare quanti più posti letto possibili. I container in arrivo davanti al pronto soccorso per creare percorsi diversificati ed evitare eventuali contagi. Tutta questa rapida trasformazione portava nei corridoi dell’ospedale un’atmosfera di silenzio e vuoto surreale che ancora non comprendevamo, in attesa di una guerra che doveva ancora iniziare e che molti (tra cui me) non erano così certi sarebbe mai arrivata con tale ferocia.
(apro una parentesi: tutto ciò in silenzio e senza pubblicizzazioni, mentre diverse testate giornalistiche avevano il coraggio di dire che la sanità privata non stava facendo niente).
Ricordo ancora la mia guardia di notte di una settimana fa passata inutilmente senza chiudere occhio, in attesa di una chiamata dalla microbiologia del Sacco. Aspettavo l’esito di un tampone sul primo paziente sospetto del nostro ospedale, pensando a quali conseguenze ci sarebbero state per noi e per la clinica. Se ci ripenso mi sembra quasi ridicola e ingiustificata la mia agitazione per un solo possibile caso, ora che ho visto quello che sta accadendo.
Bene, la situazione ora è a dir poco drammatica. Non mi vengono altre parole in mente.
La guerra è letteralmente esplosa e le battaglie sono ininterrotte giorno e notte.
Uno dopo l’altro i poveri malcapitati si presentano in pronto soccorso. Hanno tutt’altro che le complicazioni di un’influenza. Piantiamola di dire che è una brutta influenza. In questi 2 anni ho imparato che i bergamaschi non vengono in pronto soccorso per niente. Si sono comportati bene anche stavolta. Hanno seguito tutte le indicazioni date: una settimana o dieci giorni a casa con la febbre senza uscire e rischiare di contagiare, ma ora non ce la fanno più. Non respirano abbastanza, hanno bisogno di ossigeno.
Le terapie farmacologiche per questo virus sono poche. Il decorso dipende prevalentemente dal nostro organismo. Noi possiamo solo supportarlo quando non ce la fa più. Si spera prevalentemente che il nostro organismo debelli il virus da solo, diciamola tutta. Le terapie antivirali sono sperimentali su questo virus e impariamo giorno dopo giorno il suo comportamento. Stare al domicilio sino a che peggiorano i sintomi non cambia la prognosi della malattia.
Ora però è arrivato quel bisogno di posti letto in tutta la sua drammaticità. Uno dopo l’altro i reparti che erano stati svuotati, si riempiono a un ritmo impressionante. I tabelloni con i nomi dei malati, di colori diversi a seconda dell’unità operativa di appartenenza, ora sono tutti rossi e al posto dell’intervento chirurgico c’è la diagnosi, che è sempre la stessa maledetta: polmonite interstiziale bilaterale.
Ora, spiegatemi quale virus influenzale causa un dramma così rapido. Perché quella è la differenza (ora scendo un po’ nel tecnico): nell’influenza classica, a parte contagiare molta meno popolazione nell’arco di più mesi, i casi si possono complicare meno frequentemente, solo quando il VIRUS distruggendo le barriere protettive delle nostre vie respiratorie permette ai BATTERI normalmente residenti nelle alte vie di invadere bronchi e polmoni provocando casi più gravi. Il Covid 19 causa una banale influenza in molte persone giovani, ma in tanti anziani (e non solo) una vera e propria SARS perché arriva direttamente negli alveoli dei polmoni e li infetta rendendoli incapaci di svolgere la loro funzione. L’insufficienza respiratoria che ne deriva è spesso grave e dopo pochi giorni di ricovero il semplice ossigeno che si può somministrare in un reparto può non bastare.
Scusate, ma a me come medico non tranquillizza affatto che i più gravi siano prevalentemente anziani con altre patologie. La popolazione anziana è la più rappresentata nel nostro paese e si fa fatica a trovare qualcuno che, sopra i 65 anni, non prenda almeno la pastiglia per la pressione o per il diabete. Vi assicuro poi che quando vedete gente giovane che finisce in terapia intensiva intubata, pronata o peggio in ECMO (una macchina per i casi peggiori, che estrae il sangue, lo ri-ossigena e lo restituisce al corpo, in attesa che l’organismo, si spera, guarisca i propri polmoni), tutta questa tranquillità per la vostra giovane età vi passa.
E mentre ci sono sui social ancora persone che si vantano di non aver paura ignorando le indicazioni, protestando perché le loro normali abitudini di vita sono messe “temporaneamente” in crisi, il disastro epidemiologico si va compiendo.
E non esistono più chirurghi, urologi, ortopedici, siamo unicamente medici che diventano improvvisamente parte di un unico team per fronteggiare questo tsunami che ci ha travolto. I casi si moltiplicano, arriviamo a ritmi di 15-20 ricoveri al giorno tutti per lo stesso motivo. I risultati dei tamponi ora arrivano uno dopo l’altro: positivo, positivo, positivo. Improvvisamente il pronto soccorso è al collasso. Le disposizioni di emergenza vengono emanate: serve aiuto in pronto soccorso. Una rapida riunione per imparare come funziona il software di gestione del pronto soccorso e pochi minuti dopo sono già di sotto, accanto ai guerrieri che stanno al fronte della guerra. La schermata del pc con i motivi degli accessi è sempre la stessa: febbre e difficoltà respiratoria, febbre e tosse, insufficienza respiratoria ecc… Gli esami, la radiologia sempre con la stessa sentenza: polmonite interstiziale bilaterale, polmonite interstiziale bilaterale, polmonite interstiziale bilaterale. Tutti da ricoverare. Qualcuno già da intubare e va in terapia intensiva. Per altri invece è tardi...
La terapia intensiva diventa satura, e dove finisce la terapia intensiva se ne creano altre. Ogni ventilatore diventa come oro: quelli delle sale operatorie che hanno ormai sospeso la loro attività non urgente diventano posti da terapia intensiva che prima non esistevano.
Ho trovato incredibile, o almeno posso parlare per l’HUMANITAS Gavazzeni (dove lavoro) come si sia riusciti a mettere in atto in così poco tempo un dispiego e una riorganizzazione di risorse così finemente architettata per prepararsi a un disastro di tale entità. E ogni riorganizzazione di letti, reparti, personale, turni di lavoro e mansioni viene costantemente rivista giorno dopo giorno per cercare di dare tutto e anche di più.
Quei reparti che prima sembravano fantasmi ora sono saturi, pronti a cercare di dare il meglio per i malati, ma esausti. Il personale è sfinito. Ho visto la stanchezza su volti che non sapevano cosa fosse nonostante i carichi di lavoro già massacranti che avevano. Ho visto le persone fermarsi ancora oltre gli orari a cui erano soliti fermarsi già, per straordinari che erano ormai abituali. Ho visto una solidarietà di tutti noi, che non abbiamo mai mancato di andare dai colleghi internisti per chiedere “cosa posso fare adesso per te?” oppure “lascia stare quel ricovero che ci penso io”. Medici che spostano letti e trasferiscono pazienti, che somministrano terapie al posto degli infermieri. Infermieri con le lacrime agli occhi perché non riusciamo a salvare tutti e i parametri vitali di più malati contemporaneamente rilevano un destino già segnato.
Non esistono più turni, orari. La vita sociale per noi è sospesa.
Io sono separato da alcuni mesi, e vi assicuro che ho sempre fatto il possibile per vedere costantemente mio figlio anche nelle giornate di smonto notte, senza dormire e rimandando il sonno a quando sono senza di lui, ma è da quasi 2 settimane che volontariamente non vedo né mio figlio né miei familiari per la paura di contagiarli e di contagiare a sua volta una nonna anziana o parenti con altri problemi di salute. Mi accontento di qualche foto di mio figlio che riguardo tra le lacrime e qualche videochiamata.
Perciò abbiate pazienza anche voi che non potete andare a teatro, nei musei o in palestra. Cercate di aver pietà per quella miriade di persone anziane che potreste sterminare. Non è colpa vostra, lo so, ma di chi vi mette in testa che si sta esagerando e anche questa testimonianza può sembrare proprio un’esagerazione per chi è lontano dall’epidemia, ma per favore, ascoltateci, cercate di uscire di casa solo per le cose indispensabili. Non andate in massa a fare scorte nei supermercati: è la cosa peggiore perché così vi concentrate ed è più alto il rischio di contatti con contagiati che non sanno di esserlo. Ci potete andare come fate di solito. Magari se avete una normale mascherina (anche quelle che si usano per fare certi lavori manuali) mettetevela. Non cercate le ffp2 o le ffp3. Quelle dovrebbero servire a noi e iniziamo a far fatica a reperirle. Ormai abbiamo dovuto ottimizzare il loro utilizzo anche noi solo in certe circostanze, come ha recentemente suggerito l’OMS in considerazione del loro depauperamento pressoché ubiquitario.
Eh sì, grazie allo scarseggiare di certi dispositivi io e tanti altri colleghi siamo sicuramente esposti nonostante tutti i mezzi di protezione che abbiamo. Alcuni di noi si sono già contagiati nonostante i protocolli. Alcuni colleghi contagiati hanno a loro volta familiari contagiati e alcuni dei loro familiari lottano già tra la vita e la morte.
Siamo dove le vostre paure vi potrebbero far stare lontani. Cercate di fare in modo di stare lontani. Dite ai vostri familiari anziani o con altre malattie di stare in casa. Portategliela voi la spesa per favore.
Noi non abbiamo alternativa. E’ il nostro lavoro. Anzi quello che faccio in questi giorni non è proprio il lavoro a cui sono abituato, ma lo faccio lo stesso e mi piacerà ugualmente finché risponderà agli stessi principi: cercare di far stare meglio e guarire alcuni malati, o anche solo alleviare le sofferenze e il dolore a chi non purtroppo non può guarire.
Non spendo invece molte parole riguardo alle persone che ci definiscono eroi in questi giorni e che fino a ieri erano pronti a insultarci e denunciarci. Tanto ritorneranno a insultare e a denunciare appena tutto sarà finito. La gente dimentica tutto in fretta.
E non siamo nemmeno eroi in questi giorni. E’ il nostro mestiere. Rischiavamo già prima tutti i giorni qualcosa di brutto: quando infiliamo le mani in una pancia piena di sangue di qualcuno che nemmeno sappiamo se ha l’HIV o l’epatite C; quando lo facciamo anche se lo sappiamo che ha l’HIV o l’epatite C; quando ci pungiamo con quello con l’HIV e ci prendiamo per un mese i farmaci che ci fanno vomitare dalla mattina alla sera. Quando apriamo con la solita angoscia gli esiti degli esami ai vari controlli dopo una puntura accidentale sperando di non esserci contagiati. Ci guadagniamo semplicemente da vivere con qualcosa che ci regala emozioni. Non importa se belle o brutte, basta portarle a casa.
Alla fine cerchiamo solo di renderci utili per tutti. Ora cercate di farlo anche voi però: noi con le nostre azioni influenziamo la vita e la morte di qualche decina di persone. Voi con le vostre, molte di più".

sabato 14 marzo 2020

Luca 15, 1-3.11-32 - Vivere da "homo viator" o da "homo vagator"? - Commento al vangelo del giorno di don Luigi Zucaro

Il testo risulta dalla trascrizione della registrazione di un commento al vangelo. La trascrizione non è stata rivista dall'autore. Si rimane a disposizione dell'immediata rimozione del testo qualora richiesto dagli aventi diritto. 

Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
Parola del Signore

Vincere la tentazio del “questo già lo so”- 
Cari fratelli buon giorno, buon sabato.
Questa mattina la liturgia ci ha regalato un bellissimo vangelo che conosciamo quasi a memoria. E’ il vangelo del figlio prodigo. Tutti lo conosciamo molto bene, abbiamo sentito, tante volte, tanti commenti. Per cui a volte ti si chiude un po’ l’orecchio per cui dici: “ Vabbé questo già lo so!”
E quindi è difficile ascoltarlo e pensare che cosa dice alla nostra vita.

Parla di mali presenti nei nostri tempi - 
Questa mattina ascoltandolo e poi dopo rileggendolo mi sono venute in mente due cose solamente sulla prima parte. Cioè sulla dinamica di cosa succede a questo giovane, a questo ragazzo e mi è sembrato molto interessante perché mi sembra un po’ lo specchio della nostra generazione, di questi tempi. E’ quasi profetico perché si vedono un po’ i mali dei nostri tempi. 
Allora volevo riflettere un po’ con voi su questo.


L’impazienza dell’avere tutto e subito - 
Prima di tutto la cosa strana che non ci avevo mai pensato, invece oggi mi è balzata agli occhi è che è un po’ strano che uno chieda al proprio padre la parte di eredità che mi spetta del patrimonio, perché il padre è vivo, non è ancora morto quindi è una cosa che non si può fare. Quindi il primo male di questo uomo è la fretta di avere, non sa aspettare, è impaziente. L’impazienza di potersi godere le cose, di poter avere cose da spendere, cose da utilizzare. Ed è vero che tante cose, tanti peccati, li facciamo un po’ spinti come da un’urgenza interiore. Cioè di solito il demonio spinge il piede sull’acceleratore. A volte se sapessimo aspettare un po’, avere un po’ di pazienza, tanti peccati non li faremmo. E quindi forse dobbiamo imparare a gestire questa urgenza che abbiamo e che anche la società un po’ ce la sollecita. Avere tutto e subito.

Rinvedicare la propria essenza, la propria autonomia - 
E poi in fondo questo uomo che gli chiede. Gli dice: “Dammi la parte del patrimonio che mi spetta”. Ecco in italiano traduce patrimonio, una parola che in realtà significa essenza. Cioè questo uomo vuole avere in mano se stesso. La sua natura. Non vuole che vi siano altri che lo gestiscono. E’questo miraggio dell’autonomia che è tanto tanto presente in tutte le cose della nostra vita oggi. Siamo sempre spinti ad essere autonomi, autonomi, autonomi. Dagli anni sessanta in poi, tutto, la società, la morale, i costumi, alla fine si sono tanto impoveriti, talmente annichiliti, non sappiamo più cosa è bene e cosa e male, e in questo assoluta impossibilità di capire, in questa assenza di strumenti per capire cosa è bene e cosa è male, non abbiamo più gli strumenti per poterlo capire, che cosa ci rimane? Ognuno faccia quello che vuole. Se piace a te allora va bene se tu sei contento, allora è giusto. Ognuno è misura di se stesso.
E abbiamo sempre vissuto e sempre viviamo qualunque autorità e qualunque regola come una etero nomia, una legge che ci viene da qualcun altro e quindi illecita perché non parte da noi.  Viviamo sempre in un conflitto profondo tra una auto-nomia e una etero-nomia e con la fede lo stesso. Qualunque legge che Dio ci dà, o che qualcuno ci dà, magari un genitore, un catechista a nome di Dio, lo viviamo come una usurpazione, una violenza sulla nostra auto-nomia intollerabile. E questo uomo dice quindi: “ Togli le mani dalla mia vita, io voglio essere mio”, “ Io sono mia”, questo slogan che dagli anni sessanta ci perseguita fino ad adesso. 

Vivere da “asotos” o da  “homo viator”? - 
E poi dice ad un certo punto questo se ne va e comincia a vivere da dissoluto. Ancora una volta una lettura moraleggiante. Dissoluto fa riferimento ad uno che va con le prostitute, che beve, che gioca d’azzardo. Dissoluto, sei in dissoluto. Ma in realtà l’avverbio, dissolutamente, in greco, lo sono andato a vedere perché mi ha incuriosito  “asotos”, sapete che vuol dire? A è alfa privativo, sotos deriva dal verbo “sozo”, che significa salvare. Quest’uomo comincia a vivere come uno che non spera più in un dopo, in una salvezza, senza speranza. Allora mi è venuto in mente questo modo di dire che va tando di moda adesso: “ Facciamolo come se non ci fosse un domani”, che sembra  una cosa positiva. Fare una cosa come se non ci fosse un domani. Amiamoci come se non ci fosse un domani. Facciamo l’amore come se non ci fosse un domani. Suona molto romantico, molto fico. Ma in realtà è proprio vero. Molti di noi viviamo proprio come se non ci fosse un domani. Come se non ci fosse un progetto nella nostra vita. Come se la nostra vita non puntasse da nessuna parte. E allora ogni cosa diventa fine a se stessa. Il divertimento diventa una cosa fine a se stesso. Non è una cosa per ricaricarsi, per riprendere le energie per tornare a camminare su una strada che ha una meta, che andiamo verso qualcosa, che abbiamo uno scopo nella vita, che c’è un progetto che si deve realizzare. No così. Ogni giorno senza speranza. Come se non ci fosse un domani. Perso in un vuoto. Ecco questo mi ricorda un pochino questa distinzione fondamentale della teologia medioevale. Cioè vivere come  un “Homo viator” o come un “homo vagator”. Noi spesso siamo così, siamo vagator, vaghiamo senza una meta. La conversione è tornare ad essere “homo viator” cioè incamminati, perché c’è un progetto, perché che tu ci sei o non ci sei nel mondo non è uguale, perché Dio ti ha pensato perché tu realizzi una missione e ti realizzi in una missione. Questo ci fa veramente felici. Tutto il resto è un inganno vuoto che ci porta a vivere “asotos”, disperati. 


martedì 10 marzo 2020

Clemente d'Alessandria - Scegliti un esercito disarmato

Tito Flavio Clemente, meglio conosciuto come Clemente Alessandrino (Atene150 circa – Cappadocia215 circa), è stato un teologofilosofosantoapologeta e scrittore cristiano greco antico del II secolo. È uno dei Padri della Chiesa.

                          

Apri il tuo cuore a tutti coloro che sono registrati fra i discepoli di Dio, senza guardare  con sospetto al loro corpo, senza guardare con diffidenza alla loro età. E se qualcuno ti appare povero o cencioso o brutto o malandato, non infastidirtene nel tuo animo e non ritrarti indietro.
Questo aspetto visibile inganno la morte e il diavolo, perché la ricchezza e la bellezza che abitano dentro di noi sono invisibili per loro. E mentre smaniano intorno a ciò che è materiale e che disprezzano perché sanno che è cosa prima di forza, sono ciechi rispetto alle ricchezze interiori e non conoscono " che tesoro" è mai quello che è trasportato " in un vaso di creta", e difeso dalla potenza di Dio Padre, dal sangue di Dio Figlio e dalla rugiada dello Spirito Santo. Ma non lasciarti ingannare tu, tu che hai gustato la verità e sei stato stimato degno del grande riscatto, ma al contrario di ciò che fanno gli altri uomini scegliti un esercito disarmato, pacifico, incruento, calmo, incontaminato: vecchi venerandi, orfani pii, vedove armate di mitezza, uomini adorati di carità.


( Testo tratto da: Clemente d'Alessandria - C'è salvezza per il ricco? - XXXII-IS., passim)

IL CAMMINO DELL'UOMO

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Marcia francescana 25 luglio - 4 agosto 2003