giovedì 30 aprile 2020

Andrej Tarkovskij - Stalker - Commento di don Fabio Pieroni - Puntata 1


Se vuoi e ti fa piacere, lasciami un commento sotto il post. Basta cliccare sulla scritta Posta un commento che vedi sotto. 
Per me è un aiuto e uno stimolo ricevere un commento di ritorno. 
Se scriverai il tuo indirizzo email ti potrò anche rispondere. Se vuoi lasciare un commento privatamente puoi scrivermi alla mia email: andreapiola@yahoo.it

lunedì 27 aprile 2020

Francesco De Gregori - Viaggi e miraggi

Dietro a un miraggio c'è sempre un miraggio da considerare,
Come del resto alla fine di un viaggio
C'è sempre un viaggio da ricominciare.
Bella ragazza, begli occhi e bel cuore,
Bello sguardo da incrociare,
Sarebbe bello una sera doverti riaccompagnare.
Accompagnarti per certi angoli del presente,
Che fortunatamente diventeranno curve nella memoria
Quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente,
Ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria.
Perciò partiamo, partiamo che il tempo è tutto da bere,
E non guardiamo in faccia nessuno che nessuno ci guarderà.
Beviamo tutto, sentiamo il gusto del fondo del bicchiere
E partiamo, partiamo, non vedi che siamo partiti già?
E andiamo a Genova coi suoi svincoli micidiali,
O a Milano con i suoi sarti ed i suoi giornali,
O a Venezia che sogna e si bagna sui suoi canali
O a Bologna, Bologna coi suoi orchestrali.
E andiamo a Genova coi suoi svincoli micidiali,
O a Milano con i suoi terroni settentrionali,
Oppure a Modena coi suoi motori fenomenali,
O a Bologna, Bologna coi suoi orchestrali.
Dietro a un miraggio c'è sempre un miraggio da desiderare,
Come del resto alla fine di un viaggio,
C'è sempre un letto da ricordare.
Bella ragazza ma chi l'ha detto che non si deve provare?
Ma chi l'ha detto che non si deve provare a provare?
Così partiamo, partiamo che il tempo potrebbe impazzire,
E questa pioggia da un momento all'altro potrebbe smettere di venir giù.
E non avremmo più scuse allora per non uscire.
Ma che bel sole, ma che bel giallo, ma che bel blu!
Perciò pedala, pedala che il tempo potrebbe passare,
E questa pioggia paradossalmente potrebbe non finire mai.
E noi con questo ombrelluccio bucato che ci potremmo inventare?
Ma partiamo, partiamo, non vedi che siamo partiti ormai?
E andiamo a Genova coi suoi spiriti musicali,
O a Milano con i suoi sarti e i suoi industriali,
Oppure a Napoli con i suoi martiri professionali,
O a Bologna, Bologna coi suoi orchestrali.
E andiamo a Genova coi suoi svincoli musicali,
O a Firenze coi suoi turisti internazionali,
Oppure a Roma che sembra una cagna in mezzo ai maiali,
O a Bologna, Bologna coi suoi orchestrali.


sabato 25 aprile 2020

Mauro Scardovelli - Intervista a Giovanni Allevi - Il ritorno all'unicità di ognuno di noi

"Ecco. Hai parlato di giovani. Oggi i giovani si trovano in una delle epoche più difficili che si conoscano. Perché a livello planetario è diventato questo pensiero. Un pensiero unico, economista. E quindi significa che un giovane non ha ricevuto nemmeno un briciolo dell'educazione che serve per poter svolgere una critica al mondo esterno che non sia una esternazione di rabbia allo stato grezzo, ma che sia la comprensione di cosa succede fuori e quindi la comprensione anche di cosa succede nel proprio mondo interno. Ma per fare questo i giovani hanno bisogno di guide, hanno bisogno di persone più grandi. Noi non è che a venti anni abbiamo sviluppato pienamente la personalità. Non è così. Ci si arriva passo a passo, facendo errori. Soprattutto in una società che ti insegna l'opposto, di quello che dovresti fare. Una società sana dovrebbe essere quella comunitaria dove ognuno è incoraggiato, sostenuto a capire quali sono i suoi veri talenti, le sue aspirazioni che così potrà dare il meglio di sé. Perché il bene di ogni persona è il bene di tutta la comunità che si arricchisce dal fatto che ognuno di noi si realizza. Altrimenti è una falsa comunità. E' una società, nei termini di Gandhi sarebbe una ... society, una società infame, una società falsa, in cui sembra che siamo una comunità, ma siamo in realtà delle entità isolate in lotta le une con le altre e, ovviamente, al nostro interno. Cioè dal punto di vista psicologico quello che vedo più grave è proprio la distruzione della psiche. Che non c'è più un Io unitario, collegato con l'anima, che sia in grado di ascoltare, riconoscere, sostenere e incoraggiare le voci delle parti piccole, le voci della parti emotive. No basta, queste si mettono sotto il tappeto. E bisogna tirare fuori i muscoli, bisogna essere forti, è tutto falso questo. Credo che oggi c'è molto bisogno di persone che parlino una nuova lingua. Una lingua che non è quella dei numeri, quella del successo, queste robe qua. Loro parlano che questo è un nuovo mondo. Questo è un mondo visto e rivisto. E' un mondo che sta finendo. Per questo parliamo di un mondo nuovo. Tu spessissimo usi il termine bellezza. La bellezza è il simbolo centrale di questo"


domenica 19 aprile 2020

Massimo Recalcati - Intervista fatta da Monica Mondo




"...Il perdono è un lavoro atroce per l'essere umano. Solo Gesù perdona dalla croce chi lo uccide, ma l'essere umano ha bisogno di tempo per perdonare. Di tempo di dolore. Non è possibile perdonare in tempi giornalistici. Il perdono nella vita umana esige tempo. Assomiglia un pò al lavoro del lutto. Quando noi perdiamo una persona cara abbiamo necessità di tempo per elaborare questo dolore. Ma io dico anche laicamente che il perdono è la sola esperienza per un essere umano che ci permette di toccare qualcosa della Resurrezione. Perché nel perdono noi facciamo esperienza di qualcosa che è morto, per esempio un amore, un amore tradito, qualcosa che è morto e che grazie al perdono ritorna in vita. Noi diamo la chance di un ricominciamento assoluto...". E altri temi...

martedì 14 aprile 2020

Vittorio Lingiardi - Il trauma di chi guarda l'inguardabile e deve intervenire

Il Prof. Vittorio Lingiardi, parla di trauma secondario nelle professioni di aiuto. E' importante prendere coscienza che le risorse psicologiche a disposizione della persona che svolge una professione di aiuto non sono illimitate. Chi cura va preservato dall'esaurimento psico-fisico e qualora ce ne fosse bisogno aiutato ad uscirne. Ho trovato tanti spunti che condivido in queste parole. Vi è una negligente carenza di attenzione a questi aspetti sia da parte degli stessi operatori coinvolti, che prendono coscienza di questi aspetti quando costretti purtroppo a chiedere aiuto solamente in una fase post traumatica ovvero quando il danno è avvenuto. Spesso purtroppo vi è una colpevole carenza di attenzione da parte di alcune istituzioni sanitarie, di chi il lavoro lo organizza, di chi ha gestito in questi ultimi trenta anni le politiche sanitarie. Le scelte di far quadrare i bilanci riducendo le assunzioni o risparmiando su formazione del personale, non progettando strutture adeguate, non fornendo presidi indispensabili, si sono tradotte in un peggioramento della qualità della vita dei cittadini, ma anche degli operatori sanitari. I farmacisti, gli infermieri, il personale sanitario, i medici, non sono eroi, sono persone. Chi fa questi lavori, e li svolge per anni, ha necessità di equipaggiarsi di strumenti di conoscenza di sé, di sostegno psicologico e psicoterapeutico, di strumenti per affrontare la relazione nel gruppo di lavoro e con i pazienti per non rischiare di cadere nel burn-out o alternativamente nel cinismo. Bisogna ripensare alcuni aspetti della formazione delle figure sanitarie sia nelle fasi iniziali sia poi nel corso dello svolgimento della professione. Spero che il sacrificio di tante persone lasci questa sensibilità nei cittadini, nei sanitari, nelle persone che dovranno governare la sanità pubblica nei prossimi anni. E' una sfida difficile perché quello a cui faccio riferimento è una formazione integrale che affianca alla formazione tecnica, una formazione umana, relazionale, emotiva. Spesso il reperimento di tale equipaggiamento è lasciato all'intraprendenza della singola persona che da sola deve cercare la propria via per ottenerlo. Spesso è il genio, l'illuminazione di alcune persone concrete a trasformare queste conoscenze in vita concreta, in modi di lavorare, nella capacità di dare vita a squadre di lavoro che funzionano e producono eccellenza senza schiacciare la persona nella sua unicità, senza calpestare il singolo componente del gruppo, rispettandone i bisogni, valorizzandone il talento, le inclinazioni naturali, le predisposizioni, favorendo anche un progressivo apprendimento di modi più evoluti di progettare il lavoro, di relazionarsi fra collaboratori, di offrire servizi ai cittadini e nel caso specifico, di curare le persone senza fare ammalare gli operatori che forniscono queste cure. Tutto questo è un sogno?

venerdì 10 aprile 2020

Raniero Cantalamessa - Omelia della Passione del venerdì santo in San Pietro - Una perla in fondo al dolore - 10 aprile 2020

04/10/2020
Celebrazione del venerdì santo nella Basilica di San Pietro

Padre Raniero Cantalamessa, omelia

San Gregorio Magno diceva che la Scrittura cum legentibus crescit, cresce con coloro che la leggono.[1] Esprime significati sempre nuovi a seconda delle domande che l’uomo porta in cuore nel leggerla. E noi quest’anno leggiamo il racconto della Passione con una domanda –anzi con un grido – nel cuore che si leva da tutta la terra. Dobbiamo cercare di cogliere la risposta che la parola di Dio dà ad esso.
Quello che abbiamo appena riascoltato è il racconto del male oggettivamente più grande mai commesso sulla terra. Noi possiamo guardare ad esso da due angolature diverse: o di fronte o di dietro, cioè o dalle sue cause o dai suoi effetti. Se ci fermiamo alle cause storiche della morte di Cristo ci confondiamo e ognuno sarà tentato di dire come Pilato: “Io sono innocente del sangue di costui” (Mt 27,24). La croce si comprende meglio dai suoi effetti che dalle sue cause. E quali sono stati gli effetti della morte di Cristo? Resi giusti per la fede in lui, riconciliati e in pace con Dio, ricolmi della speranza di una vita eterna! (cf. Rom 5, 1-5)
Ma c’è un effetto che la situazione in atto ci aiuta a cogliere in particolare. La croce di Cristo ha cambiato il senso del dolore e della sofferenza umana. Di ogni sofferenza, fisica e morale. Essa non è più un castigo, una maledizione. È stata redenta in radice da quando il Figlio di Dio l’ha presa su di sé. Qual è la prova più sicura che la bevanda che qualcuno ti porge non è avvelenata? È se lui beve davanti a te dalla stessa coppa. Così ha fatto Dio: sulla croce ha bevuto, al cospetto del mondo, il calice del dolore fino alla feccia. Ha mostrato così che esso non è avvelenato, ma che c’è una perla in fondo ad esso.

E non solo il dolore di chi ha la fede, ma ogni dolore umano. Egli è morto per tutti. “Quando sarò elevato da terra, aveva detto, attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Tutti, non solo alcuni! “Soffrire –scriveva san Giovanni Paolo II dopo il suo attentato – significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente sensibili all’opera delle forze salvifiche di Dio offerte all’umanità in Cristo”[2]. Grazie alla croce di Cristo, la sofferenza è diventata anch’essa, a modo suo, una specie “sacramento universale di salvezza” per il genere umano.

Qual è la luce che tutto questo getta sulla situazione drammatica che stiamo vivendo? Anche qui, più che alle cause, dobbiamo guardare agli effetti. Non solo quelli negativi, di cui ascoltiamo ogni giorno il triste bollettino, ma anche quelli positivi che solo una osservazione più attenta ci aiuta a cogliere.
La pandemia del Coronavirus ci ha bruscamente risvegliati dal pericolo maggiore che hanno sempre corso gli individui e l’umanità, quello dell’illusione di onnipotenza. Abbiamo l’occasione – ha scritto un noto Rabbino ebreo – di celebrare quest’anno uno speciale esodo pasquale, quello “dall’esilio della coscienza”[3]. È bastato il più piccolo e informe elemento della natura, un virus, a ricordarci che siamo mortali, che la potenza militare e la tecnologia non bastano a salvarci. “L’uomo nella prosperità non comprende –dice un salmo della Bibbia -, è come gli animali che periscono” (Sal 49, 21). Quanta verità in queste parole!

Mentre affrescava la cattedrale di San Paolo a Londra, il pittore James Thornhill, a un certo punto, fu preso da tanto entusiasmo per un suo affresco che, retrocedendo per vederlo meglio, non si accorgeva che stava per precipitare nel vuoto dall’impalcatura. Un assistente, inorridito, capì che un grido di richiamo avrebbe solo accelerato il disastro. Senza pensarci due volte, intinse un pennello nel colore e lo scaraventò in mezzo all’affresco. Il maestro, esterrefatto, diede un balzo in avanti. La sua opera era compromessa, ma lui era salvo.
Così fa a volte Dio con noi: sconvolge i nostri progetti e la nostra quiete, per salvarci dal baratro che non vediamo. Ma attenti a non ingannarci. Non è Dio che con il Coronavirus ha scaraventato il pennello sull’affresco della nostra orgogliosa civiltà tecnologica. Dio è alleato nostro, non del virus! “Io ho progetti di pace, non di afflizione”, dice nella Bibbia (Ger 29,11). Se questi flagelli fossero castighi di Dio, non si spiegherebbe perché essi colpiscono ugualmente buoni e cattivi, e perché, di solito, sono i poveri a portarne le conseguenze maggiori. Sono forse essi più peccatori degli altri?
No! Colui che un giorno pianse per la morte di Lazzaro, piange oggi per il flagello che si è abbattuto sull’umanità.
Sì, Dio “soffre”, come ogni padre e ogni madre. Quando un giorno lo scopriremo, ci vergogneremo di tutte le accuse che gli abbiamo rivolte in vita. Dio partecipa al nostro dolore per superarlo. “Essendo supremamente buono, –ha scritto sant’Agostino – Dio non permetterebbe mai che un qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e buono, da trarre dal male stesso il bene”[4].
Forse che Dio Padre ha voluto lui la morte del suo Figlio sulla croce, a fine di ricavarne del bene? No, ha semplicemente permesso che la libertà umana facesse il suo corso, facendola però servire al suo piano, non a quello degli uomini. Questo vale anche per i mali naturali, terremoti ed epidemie. Non le suscita lui. Egli ha dato anche alla natura una sorta di libertà, qualitativamente diversa, certo, da quella morale dell’uomo, ma pur sempre una forma di libertà. Libertà di evolversi secondo le sue leggi di sviluppo. Non ha creato il mondo come un orologio programmato in anticipo in ogni suo minimo movimento. È quello che alcuni chiamano il caso, e che la Bibbia chiama invece “sapienza di Dio”.
L’altro frutto positivo della presente crisi sanitaria è il sentimento di solidarietà. Quando mai, a nostra memoria, gli uomini di tutte le nazioni si sono sentiti così uniti, così uguali, così poco litigiosi, come in questo momento di dolore? Mai come ora abbiamo sentito la verità di quel grido di un nostro poeta: “Uomini, pace! Sulla prona terra troppo è il mistero”.[5] Ci siamo dimenticati dei muri da costruire. Il virus non conosce frontiere. In un attimo ha abbattuto tutte le barriere e le distinzioni: di razza, di religione, di ricchezza, di potere. Non dobbiamo tornare indietro, quando sarà passato questo momento. Come ci ha esortato il Santo Padre, non dobbiamo sciupare questa occasione. Non facciamo che tanto dolore, tanti morti, tanto eroico impegno da parte degli operatori sanitari sia stato invano. È questa la “recessione” che dobbiamo temere di più.
Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,
delle loro lance faranno falci;
una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione,
non impareranno più l’arte della guerra. (Is 2,4)
 È il momento di realizzare qualcosa di questa profezia di Isaia, di cui da sempre l’umanità attende il compimento. Diciamo basta alla tragica corsa verso gli armamenti. Gridatelo con tutta la forza, voi giovani, perché è soprattutto il vostro destino che si gioca. Destiniamo le sconfinate risorse impiegate per gli armamenti agli scopi di cui, in queste situazioni, vediamo l’urgenza: la salute, l’igiene, l’alimentazione, la lotta contro la povertà, la cura del creato. Lasciamo alla generazione che verrà un mondo, se necessario, più povero di cose e di denaro, ma più ricco di umanità.
* * *
La parola di Dio ci dice qual è la prima cosa che dobbiamo fare in momenti come questi: gridare a Dio. È lui stesso che mette sulle labbra degli uomini le parole da gridare a lui, a volte parole dure, di lamento, quasi di accusa. “Àlzati, Signore, vieni in nostro aiuto! Salvaci per la tua misericordia![…] Déstati, non ci respingere per sempre!” (Sal 44, 24.27). “Signore, non ti importa che noi periamo?” (Mc 4,38).
Forse che Dio ama farsi pregare per concedere i suoi benefici? Forse che la nostra preghiera può far cambiare a Dio i suoi piani? No, ma ci sono cose che Dio ha deciso di accordarci come frutto insieme della sua grazia e della nostra preghiera, quasi per condividere con le sue creature il merito del beneficio accordato.[6] È lui che ci spinge a farlo: “Chiedete e otterrete, ha detto Gesú, bussate e vi sarà aperto” (Mt 7,7).
Quando, nel deserto, gli ebrei erano morsi dai serpenti velenosi, Dio ordinò a Mosè di elevare su un palo un serpente di bronzo e chi lo guardava non moriva. Gesú si è appropriato di questo simbolo. “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3, 14-15). Anche noi, in questo momento siamo morsi da un invisibile “serpente” velenoso. Guardiamo a colui che è stato “innalzato” per noi sulla croce. Adoriamolo per noi e per tutto il genere umano. Chi lo guarda con fede non muore. E se muore, sarà per entrare in una vita eterna.
Dopo tre giorni risorgerò”, aveva predetto Gesú (cf. Mt 9,31). Anche noi, dopo questi giorni che speriamo brevi, risorgeremo e usciremo dai sepolcri che sono ora le nostre case. Non per tornare alla vita di prima come Lazzaro, ma per una vita nuova, come Gesù. Una vita più fraterna, più umana. Più cristiana!

[1] Commento morale a Giobbe, XX, 1.
[2] Lettera apostolica Salvifici doloris, n. 23.
[4] Enchiridion, 11,3 (PL 40, 236).
[5] Giovanni Pascoli, “I due fanciulli”.
[6] Cf. S. Tommaso d’Aquino, S.Th. II-IIae, q. 83, a.2).

IL CAMMINO DELL'UOMO

IL CAMMINO DELL'UOMO
Marcia francescana 25 luglio - 4 agosto 2003