lunedì 29 luglio 2019

Intelligenza emotiva - Cosa sono le emozioni

FILM: La leggenda del pianista sull'oceano - 1998 - Giuseppe Tornatore
LIBRO: Intelligenza emotiva - Daniel Goleman - BUR Saggi, 1996 - Pag. 334 - Appendice A







FILM: La leggenda del pianista sull'oceano - 1998 - Giuseppe Tornatore
...Questa scena mi ispira a parlare, per quel poco che sto imparando, delle emozioni. Cosa sono le emozioni e quante sono quelle principali? Molto delle emozioni ce lo insegna la vita. Un pò lo si può imparare in appositi corsi di studio, o magari laboratori come quello di Luce che ho seguito quest'anno. Si tratta di un laboratorio pratico che è veramente fatto bene e che per mezzo di "esercizi pratici" fatti in piccoli gruppi tematizza vari concetti espressi nel famoso libro di Daniel Goleman Intelligenza emotiva. Irene mi ha regalato questo libro tanti anni fa e io lo sto aprendo solamente ora. Questo in fondo attesa che regalare libri utili è un'investimento a lunga scadenza che prima o poi porta frutto.
Le emozioni principali, base per così dire, sarebbero 8, inizio con la sesta. Lascio la parola al libro.
LIBRO: Intelligenza emotiva - Daniel Goleman - BUR Saggi, 1996 - Pag. 334 - Appendice A
-SOPRESA: shock, stupore, meraviglia, trasecolamento.
"Che cosa è un emozione?
...L'argomento a favore dell'esistenza di un gruppo di emozioni fondamentali dipende, entro certi limiti, dalla scoperta di Paul Ekman, della University California di San Francisco, che le espressioni facciali specifiche per quattro di esse ( paura, collera, tristezza, gioia) sono riconosciute in ogni culture del mondo, compresi popoli analfabeti che presumibilmente non sono influenzati dal cinema o dalla televisione. Ciò suggerisce l'universalità di queste emozioni. Ekman ha mostrasto fotografie che ritrevano con precisione tecnica colti esprimenti le quattro emozioni fondamentali a persone di culture lontanissime dalla nostra ccome i Fore della Nuova Guinea - una tribù isolata che vive in lontani altipiani ed è rimasta all'età della pietra - e ha constatato che dovunque la gente riconosceva le stesse emozioni fondamentali. Questa universailità delle espressioni facciali dell'emozione fu probabilmente notata per primo da Darwin, che la giudicò una prova del fatto che le forze evolutive avevano impresso questi segnali nel nostro sistema nervoso centrale..."

sabato 20 luglio 2019

Luca 10, 38-42 - Marta e Maria - Vangelo di Luca - Commento di don Fabio Rosini

Il testo risulta dalla trascrizione del file audio di Radiovaticana reperibile al link: audio del commento al Vangelo . Si resta a disposizione degli aventi diritto per l'immediata rimozione del testo. I neretti sono stati aggiunti al testo solamente con lo scopo di paragrafare il testo e non fanno parte del discorso originale.


In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Luca 10, 38-42

- L'incontro di Abramo con tre inviati di Dio ci prepara alla lettura del vangelo
In questa sedicesima domenica del tempo ordinario noi siamo introdotti al vangelo  dell'accoglienza di Marta e Maria al Signore Gesù dalla visita di tre signori ad Abramo al capitolo 18 del libro della Genesi. Allora noi abbiamo in questa storia un incontro tra questi signori che Abramo vede davanti a sé e che non sa essere degli inviati di Dio e quel che questi signori faranno per lui che è molto di più. Ed ecco che questo ci prepara perfettamente al tema di questo vangelo. La fine del capitolo decimo del vangelo di Luca, ci porta a questa duplicità. Queste due sorelle.


- Marta ha accolto Gesù e si arrabbia che Maria non l'aiuti. Esprime questa rabbia a Gesù. Marta è rimasta nel suo sistema
Una è evidentemente la primogenita. Dovunque la troviamo, la troviamo con  questo carattere, operativo, logico, razionale, pronto all'azione. E nello stesso tempo operoso, servizievole se vogliamo. Ecco, Marta è fatta così. Questo fa sì che lei ospiti Gesù. E' lei che lo ospita. E che sua sorella invece non si metta a collaborare con lei, ma si metta seduta ai piedi del Signore, ascoltando la sua parola. La storia che conosciamo molto bene, ci porterà poi al momento che uscirà fuori la rabbia di Marta che rimprovera il Signore che non si interessa a questa ingiustizia domestica: che la sorella la abbia lasciata sola a servire. Allora Gesù sta parlando e Marta ha da ridire sulla predica di Gesù. Siccome a te non ti interessa che c'è un'ingiustizia in corso quel che dici è sbagliato. Perché non parli del fatto che lei mi deve aiutare. Dille dunque che mi aiuti. Le cose che stai dicendo non mi interessano.

- Gesù dà una risposta salata a Marta: le cose che per lei contano sono tutte secondarie
Allora che cosa dice Gesù a Marta. Ha accolto Gesù fisicamente, ma è restata nel suo mondo, è restata nel suo sistema. Il Signore deve entrare nelle sue categorie, perché il Signore gli darà una risposta salata, terribile. E anche profonda e profetica. Gli dirà che ci sono altre cose che contano. O meglio che le cose a cui lei bada, sono tutte secondarie, sono tutte cose che verrano tolte, sono tutte cose di questa terra.

- Il problema di Marta è che lei ha già uno schema religioso: la nostra voglia di giustizia
Ma capiamo meglio Marta. Il suo problema è il servizio? No. Il suo problema è la rabbia. Anche questo senso di giustizia per cui lei sa meglio di Gesù di cosa debba parlare Gesù.
Una forma di sclerosi mentale, che è la nostra, fa sì che noi abbiamo già uno schema del religioso. Cosa è incontrare Gesù? Che cosa succederà se Gesù ci si avvicina? Bè che mettiamo a posto tutto, premiamo i buoni, puniamo i cattivi, rendicontiamo tutto, e le cose saranno fatte per benino come vanno fatte. Ma questo non è uno schema evangelico, questa è la furia di mettere a posto la casa da massaie che è insomma sacrosanta da certi punti di vista, ma non è l'assoluto per la vita eterna.
Questa è la voglia di vedere tutto in ordine, la voglia di vedere giustizia, ma il Signore non porterà giustizia.

- Marta accoglie il Signore, ma non lo ascolta, non si lascia toccare il cuore
Il Signore porterà un'altra cosa. Il Signore non farà tornare i conti delle nostre micro ingiustizie quotidiane, ci porterà la parte migliore. Ma il problema è che Marta, fondamentalmente, non accoglie il Signore, lo alloggia, ma non lo accoglie, non lo ascolta. Continua a parlare lei, cioè non lo ascolta, ed è questo un aspetto tragico. Noi possiamo dare spazio, anche molto spazio al Signore nella nostra vita, ma non ascoltarlo, ma non lasciarci toccare il cuore, stare sempre sull'operativo. Essere sempre e comunque quella serie di servizi che uno ha pensato di dover essere in questa vita.

- E se il Signore nella mia vita mi stesse chiedendo altro: stare con un bambino, stare attenti alla relazione con un povero non dargli semplicemente dei soldi
E se il Signore mi chiede altro?  Ci sono delle cose che sono inutili e che sono molto più importanti di tante cose che facciamo.  Fermarsi con un bambino a raccontargli una storia è inutile, non è così incisiva quanto scrivere meglio una relazione per fare una figura migliore con il capo il giorno dopo e forse avere un avanzamento di carriera. Ma questa cosa inutile è molto più importante  dell'avanzamento di carriera o del benessere economico che questo può portare. Perché? Perché nel cuore di un bambino sarà importante quel tempo speso a stare lì con lui.  A parlare con il suo linguaggio bimbesco, infantile, a stare lì a perdere il tempo con un bambino. E così tante volte, le cose più importanti sono apparentemente inutili. Sono i dettagli, sono le forme con cui noi veramente accogliamo e rifiutiamo la persona dell'altro. Molto spesso, molto più importante che risolvere un problema di un povero è ascoltarlo, lasciarlo parlare,  anche dei suoi fatti, della sua storia. Tante volte la cosa più importante è sulla base della relazione, quella relazione che si stabilisce fra le persone. Potrebbe essere che ospitiamo il Signore Gesù e che non entriamo in relazione con lui. Potremmo essere che stiamo in parrocchia a fare mille servizi perfetti e tutto è messo al posto giusto e le candele tutte uguali perfettamente funzionanti e tutte le cose devono stare al posto loro, ma non ascoltiamo né il Signore né le persone, siamo incastrati dentro al nostro sistema operativo.

- Accogliere qualcuno che è più grande. Nelle persone che dobbiamo accogliere c'è sempre qualcosa di più grande
Il problema non è il servizio. E' l'ascolto. Il servizio di Marta è santo e benedetto, ma lei non ascolta Gesù. E soprattutto lei ha delle priorità che sono secondo il suo sistema di giustizia. Certamente  il servizio va condiviso, certamente bisogna aiutarsi, ma il problema è che c'è una cosa più importante in ballo. Oggi c'è la parola del Signore che è arrivata. Il punto è che si tratta di accogliere qualcuno che è più grande. Nelle persone che dobbiamo accogliere c'è sempre qualcosa di più grande.

- Di tutto quello che facciamo potrebbe restare niente o molto poco o tanta stanchezza o amarezza o delusione perché hai fatto solo cose
Se il nostro tempo è il tempo della efficacia e dell'efficienza, diventa un tempo molto piccolo. Un tempo che passa. Passano gli anni e tutto ci viene tolto. Uno potrebbe guardare indietro certi anni della propria vita, anche all'interno della chiesa, o a fortiori nel mondo, dove uno ha fatto cose, ha fatto cose, ha fatto cose, ha fatto cose, e poi cosa resta? Niente. O molto poco, o tanta stanchezza. O amarezza e delusione. Perché hai solo fatto cose. Non hai incontrato il Signore nelle cose. Il problema quel giorno era prepara il pranzo  del secolo, non era fare una bella figura con questo ospite e con tutti coloro che erano con lui, ma accoglierlo, ascoltarlo.

- Lasciarsi interrogare ed interpellare dai problemi. Vivere le cose prendendoci la parte migliore, quella che nessuno ci toglierà
Molto spesso nella vita i problemi vengono per parlare con il nostro cuore. Noi ci fissiamo con la soluzione dei problemi, quella va bene, quella è importante, ma la cosa più importante è quella di lasciarci cambiare dai problemi, lasciare che i problemi interpellino l'uomo interiore, vivere nello Spirito le cose, facendole tutte, meglio che possiamo, ma nello Spirito, prendendoci la parte migliore, quella che nessuno ci può togliere, l'eternità. 

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sabato 13 luglio 2019

Walter Bonatti - Intervista


Walter Bonatti - Cosa serve per essere un alpinista

Il testo risulta dalla trascrizione dell'intervista pubblicata nel video a cui rimanda il link presente nel post. Si rimane a disposizione per la rimozione del testo qualora richiesto dagli aventi diritto.


I: Allora in montagna hai avuto paura qualche volta?
WB: Naturalmente. Non avere paura presuppone incoscienza.  Anzi dirò di più che la prima difficoltà dell'alpinismo è vincere la propria paura.
I: Ci vogliono delle doti eccezionali per fare dell'alpinismo?
WB: Indubbiamente occorre un fisico sano, una certa idoneità fisica. Ma soprattutto questa idoneità deve essere accompagnata da doti morali. La volontà soprattutto, spirito di sacrificio e una forte passione.
I: La gente però continua a vedere comunemente l'alpinismo come lo sport del rischio per eccellenza, dove bisogna essere dei professionisti del rischio. E' proprio questo che distingue l'alpinismo dagli altri sport?
WB: E' vero però non bisogna pensare che per fare dell'alpinismo bisogna essere degli eroi. E' vero però che l'alpinismo è una forma ideale dove si impegnano tutta la personalità dell'individuo.

Walter Bonatti in una intervista in televisione dopo il 1954 parla dell'alpinismo
e di quello che è necessario per essere un alpinista


Reinold Meissner - Intervista: il camminare

Il camminare


Walter Bonatti - Breve intervista





Walter Bonatti - Raccontato da Scordavelli

Il testo è la trascrizione del video reperibile su YouTube cliccando su questo link (clicca qui).  Si resta a disposizione per l'immediata rimozione della stessa. I titoletti in grigio sono stati messi arbitrariamente in fase di trascrittura per facilitare una sintesi del discorso.


Se voi andate a prendere un grande alpinista, come Bonatti. E' un filosofo Bonatti. Lui dice che andava in montagna. Sapete perché è andato in montagna a fare la scalata del Drus? Una scalata impossibile a quell'epoca. Impossibile. Cinque giorni di scalata da solo. E, tra le cose, le disgrazie e difficoltà che gli son capitate che una pietra ha colpito una sua borraccia e si è trovato quasi senza liquidi per cinque giorni. Cinque giorni, di scalata da solo, in cui doveva salire, mettere i chiodi, scendere, toglierli, risalire su con il sacco. In una via nuova. Lo spigolo sud ovest del Drus. Una via allora ritenuta impossibile.
Sapete perché andò a fare il Drus? Perché aveva perso se stesso. Sapete perché aveva perso se stesso?

Perché Bonatti decide di scalare il Drus - 
Perché lui era un uomo molto aperto, molto affabile. Detto da tutti così. Ma scoprì la perversione umana a ottomila metri. La scopri sulla sua pelle. Lacedelli e Compagnoni, nella tenda più in alto della sua, a ottomilaquattrocento metri aspettavano che lui e il suo sherpa portassero le bombole di ossigeno. Ma era venuto tardi per varie circostanze e loro non avevano la tenda. Quindi chiamarono i compagni di sopra. Non ci fu nulla da fare (era il 30 luglio 1954, ndr). Questi si richiusero nella tenda e non fecero nulla per aiutarli. E poi così conquistarono la vetta del K2 avendo onori ovunque. Ma questi uomini si macchiarono di un peccato terribile: avere una vittoria al prezzo di porre a repentaglio la vita di due compagni.
Bonatti si sentì tradito, perché era stato tradito nella sua fiducia. Ci fu un processo che durò più di venti anni (in realtà la vicenda si concluse nel 2008, quindi più di 54 anni dopo) fino a che finalmente potè essere data giustizia di quello che era successo. 
Ma putroppo Bonatti cambiò carattere. Quando siete a ottomilacento metri, e sapete che la morte è praticamente certa, perché lì la morte è praticamente certa, perché lì la notte non la puoi passare all'aperto, già dentro una tenda è molto dura, senza sacco da bivacco, c'è morte certa, qualcosa ti succede dentro. Si spezza quel legame di fiducia e solidarietà che gli esseri umani hanno sempre avuto quando affrontano difficoltà, quando la natura li pone di fronte all'estremo. Due compagni di fronte all'estremo hanno preferito la gloria, il successo all'aiutare due compagni che sarebbero morti di sicuro.  Questo riesce a fare l'essere umano per l'ambizione.
In Bonatti il cuore si spezzò quella volta. Non aveva più voglia di avere a che fare con i suoi simili e quindi decise di fare qualcosa per ritrovare se stesso. E per ritrovare se stesso si mise nell'impresa più difficile che ci fosse stata fino ad allora. Scalata dello spigolo ovest del Drus. Mille metri di granito verticale. Da solo, senza compagni. Un'impresa praticamente impossibile. Fece questo, non per ambizione, ma lo fece perché dice soltanto così io riesco a rimettermi, a ritrovarmi. Questo era stato il suo modo. 

L'imprevisto incontrato nella scalata del Drus - 
E lui si trovò diciamo a cento metri, centocinquanta metri dalla vetta, in una specie di abside, senza fessure, senza più possibilità di tornare indietro perché aveva fatto dei pendoli e mille metri non si scendono in quel modo, è impossibile. E si trovò di fronte, per la seconda volta alla sua morte. Sul K2 era resistito a causa del suo DNA. Nel senso che Bonatti aveva un fisico del tutto eccezionale e quindi riuscì a reggere a temperature spaventosamente basse, senza morire, senza congelarsi. E' qualcosa di assolutamente impensabile. Lo sherpa aveva la stessa caratteristica.
Sul Dru si ritrovò di nuovo di fronte all'impossibile, ma questa volta non era stato costruito da altri esseri umani, non dipendeva dal tradimento di altri esseri umani, semplicemente si era trovato di fronte al limite che l'uomo incontra quando si pone da solo di fronte alle sfide estreme della natura.
Sapete cosa fece Bonatti? Si mise a piangere. Per un'ora. Vedete questo uomo forte che si sente sconfitto. Sarebbe morto lì. Era giovane. Aveva ventiquattro anni. Un uomo giovane che muore su un pilastro di roccia. Dopo aver superato le più grandi difficoltà. Sapete perché sarebbe morto lì? Perché Bonatti era una persona onesta, nel profondo, e non si era portato dietro sotterfugi e mezzi per superare quello che con i mezzi propri non si può. Non si era portato i chiodi ad espansione che già all'epoca erano diffusi. Lui voleva confrontarsi con la montagna onestamente. Chiodi tradizionali, corde tradizionali e basta. Lì si trovò di fronte all'impossibile e pianse per un'ora. 

La voce che lo invita a tentare l'impensabile -
Poi dentro di sé sentì una voce. "No, vai avanti. Gioca il tutto per tutto. Non sei ancora morto". Così gli venne in mente qualcosa di assolutamente assurdo. Aveva visto che sopra questa abside, c'erano delle scaglie di roccia. E pensò di lanciare una corda lassù per vedere se, per caso, si agganciava. Una probabilità piuttosto scarsa. Lanciò una corda fatta con dei nodi, in modo che si incastrasse. Provò a tirare. Si era incastrata. Provò di nuovo e venne giù. Provò centinaia di volte finché si era incastrata proprio bene. Allora che fece? Non aveva più molto tempo. Decise. Si attaccò alla corda e si lanciò nel vuoto senza nessuna protezione. E cominciò a salire. Per salire una corda da montagna così bisogna essere veramente forti. Provate se volete. Provate. Provate. Così, nel vuoto. Mille metri sotto le gambe. Mille metri. Mentre saliva si rendeva conto che il pericolo cresceva perché le oscillazioni impresse alla corda avrebbero potuto farla staccare. Gli ultimi metri. La corda si muove. Queste scaglie, così del tutto infide, arrivano. All'ultimo, proprio all'ultimo si tiene con una mano. Lancia la mano più sopra, riesce a prendere un appiglio. E' fuori. Si tira via.

Bonatti in quell'episodio ha trovato se stesso - 
Se leggete questo passo di Bonatti, sentite chi è Bonatti. 
Un uomo integro per chi lo ha conosciuto. Uscì da questa scalata cambiato, perché aveva trovato la cosa più importante di tutte. Che è più importante al mondo, più di un amore, più di un successo esteriore qualunque esso sia. Perché senza trovare quella cosa lì di cui vi sto parlando non siamo niente.  Come un'altra volta vi ho detto noi siamo sapete cosa? Una maschera. Ecco. Un burattino tirato su da dei fili: quelli dell'ambizione, quelli della paura, quelli della tristezza. I fili. Lì ha trovato se stesso e da quel momento, naturalmente, la sua vita è di nuovo cambiata. 
E però da lì ha iniziato a sviluppare una visione più grande. E' diventato un filosofo. Direi un sapiente. Colui che assapora come è fatta la realtà. Cioè ha un contatto con la realtà che non è più mediato dai concetti, ma passa direttamente dai nostri recettori animali più profondi.
Se vi leggete gli ultimi libri di Bonatti, in particolare, Un mondo perduto vedete che queste avventure Bonatti, da dopo i trentasei anni, continuò a farle in giro per il mondo. E si trovò di fronte a situazioni estreme veramente. 

Quella volta in Africa con le leonesse - 
Una volta in Africa, da solo, come al solito, gira dietro una collina e si trova davanti due leonesse a cento metri di distanza. Le quali lo scrutano con un certo interesse. Capisce che lui potrebbe scappare, ma sai, quelle lo raggiungerebbero in quattro secondi. Il leone compie cento metri più o meno in tre secondi e mezzo, quattro, quindi fa presto. 
Si fermò. Le leonesse stavano lì ad aspettare. Ad un certo punto sentì una voce interna che disse: "Vai avanti" era la stessa voce che parlava quando stava nell'abside. E probabilmente la stessa voce che lo ha salvato, perché non è solo il fisico che ti salva,  sul K2 e questa dice: "Vai avanti", ma era contro ogni buon senso. 
Lui assecondò questa voce e cominciò a camminare, verso le leonesse. Dove stavano le leonesse. Dietro le leonesse c'era un piccolo bosco.
La voce continua a dire: "Vai avanti!". Le leonesse lo guardano. Perplesse, non capiscono. Siamo in due. Siamo armate. Cosa fa questo qua? Lui continua a camminare perché la voce dice: "Vai avanti. Vai avanti!". Lui continua a camminare. Ad un certo punto sai cosa fanno le leonesse? Si guardano e se ne vanno loro. E la voce dice:"Vai avanti". Entrano nel bosco le leonesse. Poco dopo escono in cinque. Cinque leonesse. La voce gli dice: "Vai avanti!". Lui continua. Questa è fede eh! "Vai avanti". Ad un certo punto le cinque leonesse si guardano e se ne vanno.

Sul ghiacciaio del Freney - 
Una volta Bonatti era sul ghiacciaio del Freney, uno dei più tormentati delle Alpi, con il suo compagno di cordata, la guida alpina Cosimo Zappelli (clicca qui per alcune informazioni su Cosimo Zappelli), sono le quattro del mattino, stanno attraversando una zona crepacciata. Sopra c'erano dei seracchi di ghiaccio che possono cadere. Raramente, ma possono cadere. Di notte no. Di solito no. Cadono quando è giorno quando c'è sole. C'era una specie di Partenone di colonne di ghiaccio. Ad un certo punto Bonatti, si volge al suo compagno e dice: "Vieni via, di corsa, di corsa!" e gli fa fare una corsa di cento metri. L'altro lo segue. Non capisce, ma lo segue. Finita la corsa, si fermano e in quel momento si sente il classico rumore: tutta quella seraccata viene giù, quel Partenone si disfa e dove erano passati loro passano migliaia di tonnellate di ghiaccio.

Tutti possiamo diventare Bonatti distinguendo bene le voci dentro di noi - 
Questo è stato Bonatti. Un uomo che da ragazzi ha patito la fame. Un uomo che ha vissuto pienamente e di cui non so perché questa sera vi parlo. Forse perché tutti possiamo diventare Bonatti, facendo una cosa: distinguendo bene le voci dentro di noi. 

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domenica 7 luglio 2019

Luca 10,1-12.17-20 - Come si porta e come arriva la vita nuova - Commento di don Fabio Rosini

Il testo risulta dalla trascrizione della trasmissione radiofonica  di Radiovaticana. Il testo scritto non è stato rivisto dall'autore. Si resta a disposizione degli aventi diritto per la rimozione del testo qualora richiesto


Omelia di Don Fabio Rosini tratto dalla registrazione di Radio Vaticana
14 domenica del Tempo ordinario 
Lc 10,1-12.17-20


Nella 14 domenica del tempo ordinario noi iniziamo un viaggio iniziato già domenica scorsa nella sequela di Cristo. Il rapporto con lui è quello di un discepolo che si lascia guidare ad una vita che lui non ha, una vita nuova. Questa vita ha delle coordinate.

Nella prima lettura noi parliamo di una abbondanza, di una consolazione, di una gioia che è una realtà nuova per la città di Gerusalemme. Ci sarà un fiume di pace, come un torrente in piena. E tanta gente che arriverà e che conoscerà la bellezza del Signore. Sarà gioia per il cuore. Ma come arriva questa gioia?
Ecco c’è un doppio aspetto nel vangelo di questa domenica.
Da una parte il fatto che c’è qualcuno che deve portare questa vita nuova. Vita che arriva con il Messia, vita che arriva con il Signore Gesù Cristo.
E dall’altra parte c’è qualcuno che la deve accogliere questa vita.
Possiamo leggere il Vangelo che consiste nella istruzione data con tutte le regole e con tutte le indicazioni date da Gesù, perché settantadue suoi discepoli vadano ad annunziare il regno,  vadano ad annunziare il suo arrivo e vadano in certe condizioni. E questa è la sequela di coloro che annunziano il vangelo. Di coloro che vivono la vita evangelica.
Ma sono anche le note di chi deve ricevere questa vita nuova, che arriva per mezzo di un annunzio. Gli operai che vengono chiamati in questa messe sono mandati come agnelli in mezzo ai lupi, non dovranno portare borsa né sacca, né sandali, e non si dovranno  fermare a salutare lungo la strada. Quando arriveranno diranno: “ Pace a questa casa”, perché la pace sia offerta e non imposta. Quando saranno accolti, condivideranno la vita di chi li accoglie. E quel che faranno sarà occuparsi del dolore degli uomini. Annunziando il regno di Dio, guariranno i malati.
Quando saranno rifiutati dovranno oggettivizzare questo rifiuto in atti che rendano manifesta la situazione che si è creata: vi abbiamo annunziato la pace, voi non l’avete voluta.
E si racconta in questo vangelo che i settanue partono, vivono questa stranissima esperienza con queste coordinate così peculiari e tornano così felici, così pieni di gioia perché hanno visto l’efficacia della parola. Eppure, dice il Signore Gesù, non è questo il punto. Anche se lo stesso demonio si è dovuto sottomettere alla vostra parola, il punto è che voi siete del cielo, siete per il cielo, questa è la cosa più importante. Non il fatto che abbiate vinto una battaglia, ma che c’è un destino, il vostro nome è scritto nei cieli.
Allora tutte queste cose qui sono il discrimine fra ciò che è assoluto e ciò che è secondario nella vita di chi annunzia.
Però proviamo a leggere tutto questo testo dalla parte di chi debba accogliere questo annunzio. Chi mi arriva con la parola,  chi mi annunzia la parola non è un lupo più forte. E’ un agnello. E’ fragile, non è un vincente. Non è uno che usa le tecniche di questo mondo e batte otto a zero le tecniche degli altri perché è il più bravo a parlare. Se andiamo a vedere il libro dell’Apocalisse, troveremo che quando abbiamo un comunicatore che si impone, stiamo parlando dell’emissario del serpente antico, del  drago, della bestia che seduce gli abitanti della terra per cui non è questo il nostro stile. 
Noi molto spesso abbiamo provato l’influsso del fascino dei mezzi terreni. Non è questo quel che serve. Quel che serve è essere persone che non manifestano i tratti, le caratteristiche della vittoria di questo mondo. Ma qualcosa di molto più serio. Sono agnelli, non sono lupi, non sono persone che si impongono. Non sono persone vincenti. Sono persone rifiutabili. Ed è interessante che non portano borsa, né sacca, né sandali. Che vuol dire? La borsa è per il denaro, la sacca è per il pane. E i sandali vuol dire che sono i sandali di riserva. Portare degli altri sandali. Hanno una strada sola, non hanno cammini di riserva. Sono semplici. Lineari. Hanno una cosa da fare. Camminano in quella strada e la loro forza non è né il denaro, né le risorse materiali. Sono persone che rinunciano ai beni, sono persone che rinunciano alle compensazioni, sono persone che rinunciano ai proprii progetti.
Allora chi viene a me non mi porta denaro, non mi porta pane, non ce l’ha nemmeno per se. Non mi porta progetti alternativi. Mi porta il suo cammino.
La vita nuova non è questione di cibo o di bevanda, dice San Paolo.  Non è questione di compensazioni. Non mi verrà a portare qualcosa che mi fa tornare meglio i conti su questa terra. Molto spesso noi dobbiamo prendere atto che abbiamo pensato che fosse questa la priorità.
Ora, l’amore da solo ci impone di aiutare i poveri. E di sfamare gli affamati. Non c’è bisogno di essere uomini di Cristo per sapere che chi è povero va aiutato e chi è affamato va sfamato. Questo non è lo specifico dei cristiani, ma degli uomini.
Infatto quando nel vangelo di Matteo al capitolo 25 compaiono questi uomiche che “ avevo sete  e mi avete dato da bere, avevo fame e mi avete dato da mangiare, ero nudo e mi avete vestito” questi uomini non sapranno: “ Ma quando te lo abbiamo fatto?”. Erano quelli che non conoscevano Cristo.
Allora noi sappiamo a priori comunque di doverci occupare dei problemi materiali e dei bisogni delle persone, per non c’è bisogno di conoscere il vangelo per farlo. Quando porto il vangelo non sto portando questo che pure devo portare come uomo, se posso, come posso, meglio che posso. Il problema è che questo non basta. Che l’uomo ha bisogno di qualcosa che è oltre il pane, oltre il denaro, oltre i progetti  umani, qualcosa che è tanto prioritario che dica questa strana frase Gesù: “ Non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada” e perché mai bisgna essere così maleducati. Perché in oriente i saluti sono un rituale complicato e perché nella vita molto spesso ci disperdiamo a salutare mille cose lungo la strada. Come certe volte che si parte per fare una cosa e nella strada per arrivare a fare questa cosa se ne fanno mille altre e non si arriva a quella cosa. E nella vita bisogna essere semplici, unificati, buttare le zavorre, eliminare le perdite di tempo. Allora chi mi porta il vangelo non viene per futilità, non viene a perdere tempo, a fare chiacchiericcio a parlare di secondarietà con me. Mi sta portando una cosa semplice. Il suo saluto non sarà un convenevole, ma sarà la pace, come dice il vangelo, proseguendo la pace. Sembra qualcosa di importante, ma non è vero che noi uomini cerchiamo a priori la pace. Molto spesso cerchiamo la guerra. A noi ci interessa chi ci aiuta a combattere meglio, ad aggredire meglio, ad affermarci di più, ad essere ancora più dotati di supremazia, di affermazione. La pace spesso non ci interessa. Molto spesso ci interessa molto più affermare le nostre ragioni piuttosto che trovare la pace con l’altro. Trovare la riconciliazione. 
Il vangelo non mi porta denaro, pane, progetti alternativi. Mi porta pace e non si perde su secondarietà. E io debbo sempre decidermi di centrarmi sulla pace. Perché è la cosa più importante di tutto. Dicono, chissà se è vero, che nella sua predicazione Francesco fosse molto semplice. Che fosse anche capace Francesco di Assisi, di ripetere la stessa frase più volte. La pace è tutto. Ecco se io fatto questo esperimento, guarda che la pace è tutto. Ricordati: la pace è tutto. La pace deve entrare in questa casa. La pace è il problema. Ecco io piano piano con questa ripetizione martellante, un po’ ossessiva, mi libero di cose seconde. Ecco.

Che bello questo vangelo di questa domenica che ci permette un pochino di semplificarci su ciò che conta e ci pone di fronte a questa realtà.
Molta parte del vangelo sarà occupata da questa tragedia: il rifiuto della pace. In molti cuori anche tanti cuori di credenti la pace non è una priorità. Ci sono altre priorità, ma il Signore quando ci manda la sua parola viene per la pace, non viene per altro. 

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IL CAMMINO DELL'UOMO

IL CAMMINO DELL'UOMO
Marcia francescana 25 luglio - 4 agosto 2003