martedì 22 novembre 2011

Da "La bottega dell'orefice"

I richiami

"Sono arrivato a Teresa per vie assai lunghe, non l'ho trovata subito.
Non mi ricordo nemmeno se il nostro primo incontro
fu accompagnato da un presentimento o qualcosa di simile.
Forse non so neanche cosa voglia dire " l'amore a prima vista".
Passato qualche tempo mi sono accorto che non usciva
più dal cerchio della mia attenzione,
questo vuol dire che fui costretto a interessarmi a lei,
e che non mi sono opposto a questa costrizione.
Sì, avrei potuto comportarmi diversamente
però mi pareva che sarebbe stato primo di senso.
Evidentemente Teresa aveva qualcosa che concordava con la mia personalità.
Allora pensavo molto al mio alter ego.
Sì, Teresa era un monto intero distante allo stesso modo
come ogni altro uomo, come ogni altra donna
- eppure qualcosa mi permetteva di pensare che potevo gettare un ponte.

Lasciavo che questo pensiero durasse, anzi - maturasse in me.
Lo facevo consapevolmente, non a caso.
Non cedevo solo all'impressione e all'incanto dei sensi
perché in tal caso non sarei stato in grado di uscire dal mio io
e di giungere ad un'altra persona. Questo non era facile.
Perché i miei sensi a ogni passo si nutrivano
del fascino delle donne incontrate.
Ma quando talvolta cercavo di seguirle
trovavo solamente isole deserte.
Ho pensato allora che la bellezza percepibile ai sensi
poteva essere un dono difficile e pericoloso;
lo sapevo - molti lo hanno pagnato con un male inflitto agli altri.
E così ho imparato man mano ad apprezzare la bellezza
percepibile con la ragione, cioè la verità

Allora ho deciso di cercare una donna  che fosse capace
di essere il mio alter ego, affiché il ponte fettato tra noi due
non diventasse una passerella vacillante tra canne e ninfee.
Ho incontrato già qualche ragazza che ha colpito la mia immaginazione
e ha riempito i miei pensieri - ma proprio nei momenti
in cui mi pareva di essere più impegnato
mi accorgevo di un tratto che solo Teresa  era presente nella mia mente, nel mio ricordo,
era lei la pietra di paragone per le altre.
Eppure desideravo che la scacciassero dalla mia mente;
forse me l'aspettavo.
Ed ero pronto a seguire solo le impressioni invadenti e forti.
Volevo considerare l'amore solo una passione,
un desiderio dominante  - tutto qui -
credevo che la passione fosse qualcosa di assoluto.
Ecco perché non riuscivo a capire
il perché della strana persistenza di Teresa dentro di me,
grazie a che cosa era sempre presente dentro di me,
che cosa le assicurava un posto nel mio io,
che cosa creava intorno a lei questa strana zona
di risonanza, questo tu devi.
Ecco perché la evitavo prudentemente, scansavo di proposito
ogni cosa da cui poteva nascere un'ombra di rivelazione.
Talvolta la maltrattavo nei miei pensieri
mentre mi sentivo la sua vittima.
Mi sembrava che mi perseguitasse con il suo amore
eche dovessi troncarlo una volta per sempre.
Intanto il mio interesse cresceva,
l'amore nasceva proprio dalla contestazione.
Perché l'amore può essere anche uno scontro
nel quale due esseri umani prendono coscienza
che dovrebbero appartenersi, malgrado la mancanza
di stati d'animo,  e di sensazioni comuni.
Ecco uno di quei processi che saldano l'universo,
uniscono le cose divise, arricchiscono quelle grette
e dilatano quelle anguste".

La Bottega dell'orefice
Andrzej Jawien
Karol Wojtyla

domenica 23 ottobre 2011

Numeri 19 - 20 - 21

Le ceneri della giovenca rossa
Nota. L'acqua lustrale, preparata con le ceneri di una giovenca rossa immolata e bruciata fuori dall'accampamento serve a cancellare l'impurità contratta per il contatto con un morto. La giovenca doveva essere rossa perché questo colore evoca il sangue, principio della vita.

Casi di impurità
Esempi. Nel caso di aver toccato un uomo morto. Nel caso in cui qualcuno sia entrato nella tenda dove vi sia un uomo morto.

Rituale delle acque lustrali

VII. DA CADES A MOAB

Capitolo 20
Le acque di Meriba
Il popolo ebbe una lite con Mosè e Aronne. Essi ricevono un'apparizione del Signore che gli dice di parlare alla roccia da dove lui farà sgorgare acqua. Mosé, invece di parlare alla roccia, la percuote. Da essa fuoriesce acqua per il popolo e il bestiame.

Castigo di Mosé e di Aronne
Dio dice a Mosé e Aronne: "Non avete fiducia in me quindi non introdurrete il popolo nella terra promessa"

Edom rifiuta il passaggio
Mosè manda a chiedere di passare per la Via dei Re nel tratto che attraversa Edom, ma Edom rifiuta di farli passare e muove contro Israele. Israele allora si allontana.

Morte di Aronne
Dio ordina a Mosé di salire sul monte Cor con Aronne e suo figlio Eleazaro. Lì Aronne muore.

Capitolo 21
Presa di Corma
Israele vota allo sterminio il popolo cananeo della città di Arad da cui aveva subito un attacco. Se Dio glielo avesse fatto vincere, le città sarebbero state votate allo sterminio. Così avvenne e quel luogo fu chiamato Corma.

Il serpente di bronzo
Il popolo parte verso il Mar Rosso. Si lamenta per la fame. Dio manda serpenti che mordono molti del popolo che muoiono. Il popolo và da Mose. Mosé prega il Signore che dice a Mosé di preparare un serpente e di issarlo. Chiunque avrebbe guardato il serpente sarebbe sopravvissuto. Mosé esegue.

Tappe verso la Transgiordania

Conquista della Transgiordania
Mosé chiede il permesso agli amorrei di seguire con il popolo la via Regia nel tratto che attraversava la loro terra. Sicon, il loro re, non dà il permesso, anzi li attacca. Israele lo vince conquistando il paese dal torrente Arnon allo Iabbok. Conquista la città di Chesbon.
Conquista anche i possedimenti di Og, re di Basan.
Poi Israle si accampa nelle steppe di Moab, oltre il Giordano, verso Gerico.

giovedì 13 ottobre 2011

"Status quo" in Terra Santa

La questione della proprietà dei Luoghi Santi è sempre stata molto accesa da parte delle diverse comunità cristiane che risiedevano a Gerusalemme. La contesa si acutizzava di più quando i sultani turchi si mostravano più brutali e venali. Infatti il sultano di Constantinopoli ( Istambul) considerava i Luoghi Santi come proprietà dello stato e li assegnava semplicemente a chi offriva di più.

Circa l'anno 1633 iniziò una lotta aperta tra greci e latini per l'egemonia su tali luoghi. Alcuni santuari cambiarono spesso di padrone in relazione agli alti e bassi della politica turca ed alla somma di denaro che veniva offerta.

In questa assurda situazione di intrighi, protrattasi per secoli, quelli che ne fecero le spese maggiori furono soprattutto i francescani, che in Terra Santa rappresentavano allora i cattolici.

Nel secolo scorso furono fatti deversi tentativo per reintegrarli nei loro diritti. Nel 1850, su interessamento del ministro di Francia a Costantinopoli, fu nominata una commissione di francesi e turchi per definire la questione.

L'opposizione violenta del governo russo, spise il sultano Abdul Magid, nel febbraio del 1852 ad emanare il famoso firmano che stabiliva in linea di massima il mantenimento delle condizioni di fatto ( status quo) in cui si trovavano le diverse comunità cristiane alla data del decreto.
 In altre parole, il firmano congelò i reclami dei francescani sui santuari da cui erano stati espropriati lungo i secoli.

Lo status quo è tuttora in vigore e praticamente riguarda la coesistenza nei tre santuari: Santo Sepolcro, Basilica e Grotta della Natività a Betlemme, la Tomba della Madonna ( o chiesa dell'Assunzione) nella quale però, per protesta, i francescani non hanno mai voluto esercitare il diritto di ufficiarvi.


Da Guida bibblica e turistica della Terra Santa - IPL

Me'a She'arim

Me'a She'arim ( in ebraico: Cento misure, cioè il centuplo, con riferimento a Genesi 26,12: " La seminagione di Isacco fruttò il centuplo"


Questo è il quartiere roccaforte degli ebrei di stretta osservanza che si comportano seguendo scrupolosamente il dettato della Legge e del costume ebraico. Le stradine sono brulicanti di ogni genere di attività; gli uomini vestono il caratteristico abito nero con larghi soprabiti anche d'estate e con un ampio cappello ( Shretraimel) segno di rispetto per la coscienza di essere continuamente alla presenza di Dio; fanno sfoggio di barbe fluenti e lunvhi capelli i cui riccioli ( pe'ot), dalle tempie, scendono fin sulle spalle. La bita sisvolge intessuta della preghiera e dello studio della Legge e dei suoi Commentari. Per questo si trovano nel quartiere molte sinagoche, accanto alle quali ivi sono le rispetttive scuoe accademiche takmudiche ( yeshivà) perché si è voluto conservare la vita dei vecchi ghetti d'Europa. Soprattutto al venerdì pomeriggio la vita si fa più intensa per la preparazione del Sabato che inizia all'apparire delle prime stelle.
Il sabato la vita si ferma, perché  l'osservanza del riposo è totale; per cui si vorrebbe consigliare di evitare la visita del quartiere in tale giorno e anche di telefonare.
La polizia israeliana è incaricata  di impedire l'accesso in tali giorni di festa o riposo ai mezzi mogili e di trasport, anche cittadini, per tutte le strade del quartiere.

Per diversi anni era stato cinto da mura munite di varie porte e porticine d'ingresso cosicché il nome storico e biblico di Me'a She'arim, fu letto dal popolo " cento porte" ( sha'ar in ebraico vuol dire porta).
Cartelli e scritte murali ( in ebraico, yiddish ed in inglese) raccomandano la modestia del vestito.

Da Guida bibblica e turistica della Terra Santa - IPL

Sukkot - Festa delle capanne o Tabernacoli

( 13-20 Ottobre 2011)

La festa di Sukkot, a differenza di Pesach e Shavuot che richiamano eventi specifici, non richiama nessun evento particolare, ma i quarant'anni che il popolo d'Israele ha trascorso camminando nel deserto, prima di arrivare alla terra promessa.
Il nome Sukkot deriva da Sukkah, la capanna o dimora temporanea che gli Ebrei costruiscono per la settimana in cui ricordano tale ricorrenza. La Sukkah richiama le fragili tende nelle quali gli Ebrei vivevano durante il cammino nel deserto. Diversamente dalle tende, oggi la Sukkah è sprovvista  di tetto. La parte alta della Sukkah è coperta da foglie e rami, distesi in modo diradato per permettere alle persone  di vedere il cielo.
Durante la settimana di Sukkot gli Ebrei lasciano la comodità delle loro case ed esprimono la loro fiducia a Dio, vivendo alcuni momenti della giornata sotto la Sukkah.
Per molti ebrei questo significa consumare lì i pasti, mentre altri, più tradizionalisti o semplicemente più disponibili all'avventura, si trasferiscono totalmente nella Sukkah e vi dormono per tutta la durata della festa.
Costruire una capanna  può rappresentare una simpatica esperienza per le famiglie; i bambini si divertono decorandola con immagini  e frutti pendenti dal soffitto.
Anche Sukkot ha un significato legato al mondo  della natura: è infatti la festività del raccolto. Per richiamare quest'aspetto, quattro specie di vegetali ( Arba minim) vengono raccolte e legate insieme, mentre si marcia in processione intorno alla sinogoga, ripetendo l'antico rito di Sukkot che si svolgeva nel tempio. I quattro vegetali sono: un ramo di palma, le foglie di salice, le foglie di mirto ed infine un raro agrume chiamato Etrog. I rabbini offrono diverse spiegazioni riguardo al significato simbilico di queste piante: esse vengono viste  come il simbolo di quattro tipolodie diverse di Ebrei, o di quattro parti del corpo umano. Sempre i rabbini sottolineano l'importanza dell'unità e la ricchezza della diversità, applicandole sia alla comunità sia alla singola personalità.

Come per Pesach, solo nel primo e nell'ultimo giorno di Sukkot non può essere svolto nessun tipo di lavoro. L'ultimo giorno è noto come Shmini Atseret ( 20 ottobre 2011) e coincide con l'inizio della stagione piovosa in Israele; si celebra infatti la speciale preghiera per la pioggia.

Subito dopo la festa ( o durante lo stesso giorno in Israele) viene celebrato uno dei giorni santi più importanti del calendario ebraico: il giorno di Simchat torah (quest'anno cade il 21 ottobre 2011). Questa festa celebra il giorno in cui giunge a termine il ciclo annuale delle letture settimanali della Torah e si avvia il nuovo ciclo.
In sinagoga viene letta l'ultima  sezione del libro del Deuteronomio, seguita dalla lettura dei primi versetti del libro della Genesi, per mostrare come l'apprendimento della Torah sia senza fine. Questo evento è celebrato con molta gioia: vengono presi i rotoli della Torah e portati intorno alla sinogoga  in una solenne processione e nessun bambino torna a casa dalla sinogoga senza aver le tasche piene di dolci e caramelle.

Da Daniel Taub - ABC per conoscere l'Ebraismo - San Paolo

martedì 20 settembre 2011

20/09/2011 -8° giorno - Jerusalem - Bethlehem - Ben Gurion e ritorno a Roma

20 settembre 2011.

Gerusalemme - Ottavo e ultimo giorno. Rapidissima visita a Betlemme. Decido di arrivarci prendendo il bus arabo appena fuori della Porta di Giaffa. Sul bus chiedo informazioni a due ragazze arabe. Confermano che sto sul bus giusto. Così il bus si ferma poco prima del check point di Betlemme. Le persone scendono. Non mi resta che seguire il flusso di quello che mi sembra un classico spostamento abituale a cui tutti sono ormai abituati. In cinque minuti attraverso il piazzale semi vuoto che separa lo spazio israeliano da quello palestinese. Le due ragazze camminano davanti a me. Sono un pò la mia sicurezza se eventualmente avessi bisogno di ulteriori informazioni. Sul pulman mi erano sembrate contente di potermi aiutare.

Ho modo di vedere il muro da vicino.
Cerco al Caritas Baby Hospital di Betlemme.
Non resisto e ad un certo punto  decido di chiedere alle ragazze il modo per raggiungere la mia meta. Mi aiutano volentieri, e mi fanno prendere insieme a loro un taxi. Sono così gentili che chiedo loro anche di fare una foto.

Dopo qualche scatto al muro raggiungo l'ufficio dell'uscere. Chiedo di poter parlare con suor Lucia. Al telefono gli dico che sono un medico italiano e che sono un caro amico di Don Fabio. Mi chiede di poter aspettare un pochino.

Mi accomodo nella sala di attesa degli ambulatori. Le mamme stanno aspettando il turno dei bambini che hanno portato. Intanto qualcuno di loro inizia a puntare i giochi messi a loro disposizione nella sala. Timidamente se ne iniziano ad impossessare. Piano piano assisto ad un convincimento generale da parte di ciascuno di loro. Si può giocare tranquilli.

Suor Lucia ad un certo punto arriva sorridente. Occhi vivaci, super sorriso, movimenti rapidi. Dopo una rapida presentazione, gentilmente mi mostra  l'ospedale e mi spiega l'attività che svolge.

L'ospedale, fondato nel 1952, è gestito da personale religioso con la collaborazione di medici e paramedici locali. Offre un importantissimo servizio sanitario alla popolazione palestinese. Esso fa da filtro per tutti i problemi sanitari pediatrici della giudea. Molte mamme arrivano anche da Gerico con i loro bambini. Le malattie che possono essere trattate nell'ospedale vengono trattate qui.
Funge anche però da smistamento per i casi che necessitano di interventi chirurgici. In questo senso si mette al servizio della popolazione la rete di contatti e le conoscenze nel campo della salute per rintracciare l'ospedale dove può essere affrontato lo specifico caso clinico che si presenta.
L'ospedale è gestito secondo le regole della spiritualità cristiana, ma all'interno non ci sono simboli religiosi e sono accette persone di ogni confessione religiosa senza alcuna distinzione nel trattamento. 

L'ospedale offre una accoglienza straordinaria ai bambini e alle loro famiglie. L'impressione che si ha è che ciascuno degli ospiti si senta a proprio agio. Vi è un settore dell'ospedale con delle stanze dove le mamme possono dormire in caso di ricovero prolungato dei bambini senza essere costrette a ritornare a casa, magari a 50-60 Km dall'ospedale.

Nel reparto isolamento, ci fermiamo davanti ad una bambina desiderosa di saluti. Quando mi vede con la macchinetta mostra tutta la sua decisione nel non farmi andare via senza che prima le abbia dato la garanzia che le ho fatto una foto.

Anche se in ritardo, ho voluto fare un rapido saluto alla Natività. Sono i giorni della richiesta  del riconoscimento dello stato della Palestina all'UN.

Durante questo giro ho incontrato anche un nuovo amico, con cui ho condiviso un rapidissimo pranzo e un ritorno concitato verso il chek point per Gerusalemme per arrivare in tempo allo sherut che avevo prenotato per l'aereoporto.

Sullo sherut insieme a Orlando e Stefano, pellegrini di Pisa. Hanno fatto un bel percorso a piedi, prima in Italia, da Pisa a Bari  e poi, in Israele, da Akko fino a Gerusalemme e tornano a casa e alle loro vite. Così mentre si attraversa la città e si prendono gli altri passeggeri dello sherut, si saluta Gerusalemme e si condividono un pò le sintesi fatte durante questi giorni.
All'aereoporto poi mi mostrano fieri tutta la documentazione riguardante il loro pellegrinaggio.


giovedì 15 settembre 2011

15/09/2011 - 3° giorno - Gerusalemme

Ore 9.00 esco di casa. Percorro i cento metri che mi separano dal Sepolcro. Dopo cinque minuti sono arrivato. Inizio le Lodi seduto sul gradino di marmo accanto alla sacrestia francescana.

Salmo 142

...Ricordo i giorni antichi,
ripenso a tutte le tue opere
medito sui tuoi prodigi...

...Rispondimi presto Signore,
viene meno il mio Spirito...

Non nascondermi il tuo volto
perché non sia come chi scende nella fossa.

Fammi conoscere la strada da percorrere
perché a te s'innalza l'anima mia
salvami dai miei nemici Signore
a te mi affido.


Isaia 66, 10

Rallegratevi con Gerusalemme,
esultate per essa quanti l'amate
Sfavillate di gioia con essa
voi tutti che avete partecipato al suo lutto.

Così succhierete al suo petto
 e vi sazierete delle sue consolazioni
succhierete con delizia
all'abbondanza del suo seno.

Poiché così dice il Signore:
" Ecco io farò scorrere verso di essa
la prosperità come un fiume,
come un torrente in piena, la ricchezza dei popoli

I suoi bimbi saranno portati in braccio,
sulle ginocchia saranno accarezzati,
come una madre consola il figlio,
così io vi darò consolazione
In Gerusalemme sarete consolati.

Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore
le vostra ossa saranno  rigogliose
come erba fresca".

La lettura dei salmi e la vicinanza con la "tomba vuota" sono un estremo invito a rallegrarsi, stare contenti. Stare sereni. Si può godere ancora fino ad essere sazi. Per questo motivo è inutile preoccuparsi. Le parole chiave sono: benedizione di Dio, discendenza. E' bello essere consolati in Gerusalemme.

Spiego una cosa. E' esperienza comune, che è difficile organizzare il tempo a Gerusalemme. Sembra infatti che capiti spesso, almeno a sentire alcune persone con cui mi sono confrontato, che in una città dai mille volti, e mille voci, una persona possa perdere facilmente di vista il proprio obbiettivo.
Anche io sono entrato in questo vortice di smarrimento. Ero impensierito e dubbioso quella mattina. Con questo stato d'animo sono entrato nella basilica che contiene la roccia nella quale la croce santa è stata piantata, la roccia che ha accolto il corpo cadavere del figlio di Dio e la roccia che costituiva il basamento della tomba che per tre giorni lo ha ospitato. E il mio cuore instabile si è adagiato e riposato sulla stabilità di quelle tre rocce.
Infatti la preghiera è stata utile.
Cosa è la preghiera? E' entrare nella tua stanza segreta. Come chi piano piano entra nell'intimità della propria casa. Aprendo le porte delle stanze piano piano si dirige verso il cuore della casa. Là dove può trovare se stesso. Può trovare le proprie motivazioni più profonde. Il cuore pulsante delle proprie energie.
Là avviene l'incontro che cambia. Là si ritrova la forza che poco prima mancava. Là la chiarezza che non c'era.
Questo per me è stata la preghiera quella mattina del 15 settembre 2011. Ed è stata la preghiera di tanti altri momenti della mia vita.

Il III salmo delle Lodi di quella mattina recitava

Salmo 146

"Il Signore ricostruisce Gerusalemme
raduna i dispersi d'Israele.
Risana i cuori affranti
e fascia le loro ferite.

Egli conta il numero delle stelle
e chiama ciascuno per nome".


Ho ripreso in mano il fazzoletto in cui il 30 agosto 2011, due settimane prima, durante un pranzo a Siviglia, Fabio aveva segnato i luoghi che avrei potuto visitare. Un fazzoletto preso dalla tavola prima di iniziare il pranzo e una penna su cui aveva scritto: Museo dell'olocasto, Sinagoga con le vetrate di Chagal, San Giorgio in Koziba, Gerico, Eremo del Getzemani, Mea sherim, Ein Gedi, Suor Lucia del Baby Caritas Hospital. E decido che cercherò di vedere questi luoghi e incontrare quelle persone. Farò il possibile per vederli.

L'esperienza che ho vissuto lì è stata proprio quella della persona che improvvisamente sà che cosa deve fare in quel momento. Quale è la piccola cosa da fare arrivati a quel punto.
Dio ti chiama. Ti chiama per nome. Chiama te. Chiama me. Ha chiamato me quel giorno a Gerusalemme. Inoltre, e qui il sentiero si fa leggermente più ripido, nel mondo dei salmi Gerusalemme è il cristiano. Per me che leggevo quel salmo, Gerusalemme ero io. Dio quella mattina mi aveva chiamato a Gerusalemme fisicamente, questo era il dato di fatto. Però, oltre questo mio essere lì fisicamente, attraverso il salmo  mi invitava ancora a Gerusalemme. Cioè mi stava invitando ad entrare ancora di più in me. A ciò che ero io. A me. Cioè a seguire la mia strada. E quel fazzoletto con quei nomi in quel momento rappresentava ai miei occhi qualcosa di scritto apposta per me. Da un mio amico. Qualcosa di unicamente e originalmente mio. Fatto su misura.
Un invito interessante che non si poteva rifiutare.

Così sono partito.
Uscito dal Santo Sepolcro, ho percorso la strada del mercato cristiano dirigendomi ancora una volta sui tetti di Gerusalemme. Ho incontrato i gruppi di soldati che fanno un percorso di formazione a Gerusalemme. Sono gruppi di 40 ragazzi e ragazze circa. Giovani. Le loro guide hanno 3 - 4 anni più di loro. Almeno questa è l'idea che mi sono fatta. Dopo alcuni scatti, arrivo al muro del pianto. Entro nella galleria dove gli uomini vanno a pregare. Ho onorato una promessa fatta a Roma e ho inserito un biglietto nel muro contentente una preghiera per la persona che me l'aveva chiesto.

Abbandonata la piazza del muro sono arrivato alla Dung Port. La porta del letame.
Internamente mi sono  incamminato verso la Porta di Sion. Prima di arrivarvi ho deciso di visitare alcune vie del quartiere ebraico della Città vecchia con cui non avevo ancora molta dimestichezza. Ho percorso in salita, costeggiando le mura Battei Makhase. Di lì inboccando Ha-Yehudim ( Jewis quartier Road). Mi sono fermato a contrattare con Dodi, per un eventuale acquisto nel suo negozio. Poi  Mishmerot Ha-Kehuna. Hurva Square. Dove era in corso un'intervista girata con la Canon 5D ad un rabbino giovane, piuttosto noto, seduto ai tavolini della piazza il quale mentre mentre stavo passando diceva in inglese al giornalista che lo stava intervistando  che anche lui possedeva una Canon 5D.

Un giro per le stradine fino ad arrivare a Battei Makhase Square. Qui sorgeva la Nea, la grande basilica fatta costruire dall imperatore Costantino
La fame si è fatta sentire ed è stata soddisfatta inizialmente con una bella falafel comprata davanti al portico commerciale del cardo. Qualche dubbio l'ho avuto quando ho visto le unghie nere del venditore, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.

Sono andato a visitare le stradine della zona. Molte case, erano scuole della torah e avevano delle porte fatte di metallo lavorato.
Ho visitato le Sinagoghe sefardite.

Per togliermi proprio tutti gli sfizi mi sono infilato in un forno antistante dove ho preso  una specie di piccola pizzetta, un dolce al cioccolato e un succo al mango dolcissimo.

Poi sono ripartito alla volta della Porta di Sion.

Sono entrato alla Tomba di Davide di sfuggita e subito al Cenacolo e sopra il tetto dell'edificio dove non ero mai salito prima.
Poi una rapida visita alla Chiesa della Dormizione di Maria.

Rientrato nelle mura ho seguito  Armenian Patriachate Road arrivando alla Porta di Giaffa. Di lì al Patriarcato Latino dove ho riconosciuto la chiesa che avevo visto nelle foto di "Conversando con Gerusalemme".

Sulla strada per Porta Nuova sono stato inglobato in una partitella di alcuni bambini arabi cristiani insieme ad un altro ragazzo che mi precedeva.

Dalla Porta Nuova poi in Giaffa Road ho preso il tram per andare a Makhane Jehuda ( Campo di Giuda), il mercato ebraico dedicato quasi esclusivamente agli alimenti. Lì mi sono buttato alla grande. Ero felicissimo. Ho comperato più di mezzo Kg di petto di pollo, una spezia apposta buonissima per condirlo, due manghi, il pane, olive verdi e olive nere e infine il pesto.

Contentissimo mi sono avviato verso casa.

Appena posso metterò anche le foto.

mercoledì 14 settembre 2011

14/09/2011 - 2° giorno - Gerusalemme


Ore 08.30. Accompagno Miriam al lavoro alla porta di Giaffa e torno a casa dopo aver comprato l'occorrente per la colazione: fette biscottate e marmellata.
L'esperienza di vivere la vita quotidiana di una città come Gerusalemme per me è qualcosa di straordinario. Di impagabile. Vicino al Santo Sepolcro ci sono alcuni negozi che assomigliano molto agli alimentari italiani. Così per la spesa inizio a comprare da loro in attesa di sciogliere le riserve anche con i venditori ebrei e arabi.


09.30-10.30. Sistemo la camera e faccio delle foto dal terrazzo di casa. Che bello.

Port of  Damascus from the Maria Bambina

Cambio i soldi. Giro per il suck facendo le foto. Mentre sto leggendo un messaggio di Giada sul cellulare a tre metri da dove mi sono fermato sulla via del mercato, una finestra staccatasi dalla sua sede, si schianta producendo un rumore pazzesco e sfiorando una turista americana a cui per pochissimo non cede la coronaria discendente anteriore. La scena che segue è stupenda. I commercianti arabi usciti capiscono piano piano che cosa è successo e guardano il muro da dove è caduta la finestra. Uno di loro la raccoglie e la mette da parte. Cose che succedono. La signora americana allora ripresasi inizia a dire che sono cose da matti, che non si può camminare in una città così. I negozianti cercano di tranquillizzarla. Lei però commette un errore. Non si ferma. Continua a dire che sono matti. Improvvisamente allora loro cambiano atteggiamento e la invitano ad andarsene e non fare troppi problemi.





Alle 11 decido di andare a pregare al Santo Sepolcro.



Faccio le Lodi nella cappella francescana. Immerso nella preghiera  ad un certo punto mi ritrovo incastrato in una messa di pellegrini messicani. Utile però. A venti metri dalla tomba vuota  il vangelo di Giovanni 20, 11-19 arriva bene. Mi immagino la scena. Maria arriva convinta di trovare il cadavere di Gesù. Si china sul sepolcro e vede due angeli in bianche vesti, seduti. Uno dalla parte del capo. L'altro dalla parte dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Prima Maria parla con gli angeli. Spiega loro perché sta piangendo.
Poi si volta. Vede Gesù. Pensa che sia il giardiniere. A questo punto parla direttamente con lui. " Donna perché piangi?" - "Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto".

Pensavo, seduto proprio vicino all'ipotetico posto dove questo dialogo è avvenuto, che a volte succede questo nella vita spirituale. Prima si parla di Gesù con qualcuno che si incontra. Con degli angeli con cui ci capita di parlare. Delle persone. Un conoscente. Un amico. Un collega. Un estraneo.

Però ad un certo punto, inaspettatamente, arriva un momento nella nostra vita in cui si parla proprio con Lui. Senza saperlo. Si parla con lui e magari all'inizio non se ne ha coscienza. Ma ad un certo punto si crea il contatto giusto e quasi lo vediamo. Quasi lo percepiamo. Tutto si svela in quel momento. Tutto si fa chiaro. Sappiamo che stiamo in contatto nel profondo del nostro essere con qualcosa di profondamente vero che ci supera, che è più grande di noi. La cosa bella però è che non ti senti sopraffatto. No. Ti senti a casa tua. Finalmente a casa.


13.00. Torno a casa per pranzo dopo aver comprato 1 kg di riso (8 NIS) , 750 gr di fichi + 350 gr di uva ( 20 NIS)  e  due barattoli di marmellata ( 34 NIS)  sempre al solito negozietto e nel suck arabo. Forse non ho fatto grandi affari però posso sempre migliorare!

14.30 - 17.30. Mega dormita nel pomeriggio per riprendersi anche della stanchezza del viaggio del giorno precedente non ancora ammortizzato.

18.00 Mi faccio un nuovo giro nel suck. Ormai ci ho preso gusto.

 
Compro quasi un 1 kg di zucca. Primo iniziale abbozzo di contrattazione con il venditore arabo al quale ho detto che abitavo lì e che se mi avesse abbassato il prezzo nei giorni successivi sarei tornato. Così da 4 NIS siamo scesi a 3. Vado benissimo!

Quando torno a casa raggiuno Miriam che studia l'arabo sul terrazzo della casa. Intorno il tramonto su Gerusalemme.




20.00. Ceniamo insieme con gli altri abitanti, amici compresi, della casa con risotto alla zucca "araba".


La giornata si conclude con una passeggiata notturna sui tetti di Gerusalemme. I ragazzi che stanno con me, mi insegnano una strada nuova che passa sui tetti del del mercato arabo. Attraverso le feritoie se ne riconoscono in basso le vie. Poi si  arriva nella zona ebraica e attraverso le stradine  camminiamo fino al Muro del Pianto.
Prima lo vediamo dall'alto grazie ad una terrazza che da sulla piazza. Poi scendiamo.




Si torna a casa.

 
Per guardare una sintesi delle foto della giornata cliccare sulla foto sotto e sul quadratino in basso a destra che permette una visione a tutto schermo della presentazione delle foto.

martedì 13 settembre 2011

13/09/2011 - 1° giorno - Da Roma a Gerusalemme

Roma - Sveglia alle 5 e partenza alle 06.00 per l'aereoporto. Papà mi accompagna ricordandomi il regalo che desidera. E' la prima volta che insiste così per un regalo. Ha scaricato la foto da internet e l'ha stampata perché non me la dimentichi. Ha un nome strano: " Pettorale di giustizia". Mi immagino che appartenga al genere di cose che chiamo paccottiglia. Spero di accontentarlo perché è troppo entusiasta. Arriviamo all'aeroporto di Fiumicino. Ci facciamo fare una foto insieme. Poi mi accompagna alla fila per il controllo sicurezza. Rimane al di là della cordicella e assiste da lontano a tutto lo spettacolo dell'interminabile interrogatorio della sicurezza israeliana.

Segue  1 ora e 30 minuti di controllo del bagaglio e di domande da parte dell'addetta alla sicurezza dei voli  della Israir, studente di medicina. Contemporaneamente, senza che io me ne accorga, gli agenti della sicurezza voli israeliani hanno invitato mio padre in una stanza e gli stanno facendo le stesse domante e controllano che le risposte che diamo coincidano. Finalmente arrivo all'aereo che alle ore 12 inizia a muoversi verso la pista.

Il mio pellegrinaggio inizia con la lettura dell'ora media di martedì della 4° settimana: Isaia 55, 10-11

"Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano  senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare,perché dia il seme al semnatore e pane da mandiare, così sarà della Parola uscita dalla mia bocca, non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desiderl e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata".

Aereoporto Ben Gurion - Ore 17.00 Fuori dell'aereoporto Ben Gurion di Tel Aviv salgo sullo Sherut ( taxi collettivo israeliano) che mi condurrà per 58 SIN ( 11 Euro) fino a Porta Nuova a Gerusalemme.

Gerusalemme - Accompagnamo i vari ospiti del taxi. Io scenderò per ultimo. La maggior parte sono ebrei, alcuni ortodossi e per portarli a destinazione percorriamo le vie della Gerusalemme nuova, quella dei quartieri nati negli ultimi anni e  abitati, almeno questa è l'impressione che ho, prevalentemente da ebrei ortodossi.
Questi quartieri si assomigliano. Sono costituiti da file di case bianche spesso a due piani. Case di pietra bianca. Per le strade si vedono uomini vestiti con gli abiti ebrei tradizionali. Vestiti in nero. A volte con cappello. Con cappelli di fogge diverse. Questo me lo aspettavo. Lo sapevo.

Quello che mi ha colpito subito è stata la grande quantità di bambini che vedevo. Bambini di tutte le età. Molti non indossavano vestiti tradizionali, ma dalle magliette di ciascuno pendevano le frange del tallit.

Tantissime giovani mamme, con uno, due, tre bambini. L'impressione che ti comunicato è che c'è vita. Che c'è movimento. Senso del tempo.
Era il tardo pomeriggio. Si vedevano le famiglie tornare a casa con la spesa. Intuivo anche che era l'ora in cui i genitori o i fratelli maggiori andavano a predere i più piccoli in quelli che in Italia definirei asili.

Vedo quindi questi nuclei famigliari, con bambini di età progressivamente maggiore, che si muovono per tornare verso casa. Intanto penso alle città italiane. Penso allo spettacolo che nelle nostre città non è più dato di vedere, se non in limitatissime eccezionali situazioni.

Ogni tanto in qualche punto, alla fermata dell'autobus o magari davanti  una scuola di Torah vedo agglomerati di persone. Chi si saluta, chi ride, chi parla al cellulare, chi guarda l'orologio e corre veloce.

Alle 18.45 Porta nuova. Prima strada a sinistra, una volta entrato nelle mura e arrivo alla Custodia di Terra Santa. Attendo Miriam. Sentivo l'eco  dell'invito alla preghiera. Ora che ci penso nei giorni successivi mi ci sono abituato. In quel momento mi ha colpito. Come musica, si diffondeva. Un bel venticello fresco. Il sole che scendeva mandava la sua luce morbida che colorava di caldo la pietra bianca dei palazzi della custodia.

Ore 19.20 Si fa buio e io sono seduto davanti alla porta della custodia. Ad un certo punto la porta si apre. Al volo riconosco Padre Pizzaballa. Mi saluta. Io lo saluto. Ci eravamo visti ad Assisi qualche anno prima. " Sanno che lei è qui?". "Si. Stavo aspettando una persona che aveva una riunione con lei". Mi dice che la riunione per loro è quasi finita e, dopo avermi salutato, si allontana verso il convento.

Ore 19.30 Esce padre Hibraim. Continuo a dire che aspetto delle persone che stanno alla riunione. Arriva Miriam.

Dopo i saluti decidiamo di andare a cena con i suoi colleghi. Lascio le valigie. Camminiamo insieme verso Giaffa Street. E' la prima volta che cammino per la città nuova di Gerusalemme come se fosse una città qualunque.

Dopo la cena prendiamo la valigia lasciata alla Custidia e andiamo in quella che sarà la casa che mi avrebbe ospitato. Miriam mi mostra la casa e la stanza.  Sono all'ultimo piano. Miriam mi indica il balcone che dà su Gerusalemme. Alle 11 ci salutiamo. Esco sul balcone. Foto su vista notturna di Gerusalemme.

Ore 11.45. Vado con altri ospiti della casa al Santo Sepolcro perché mi dicxono che per la Festa dell'Esaltazione della Croce il Sepolcro apre alle 24.00 e sarebbe rimasto aperto tutta la notte. Vado. Preghiera. Foto.

Ritorno a casa e praticamente svengo sul letto.

martedì 9 agosto 2011

Flaviano Taccone - Sidera


SIDERA

Lascia questo sogno alla tua notte,
porgi presto l’altra guancia,
a chi ti sta invadendo il cuore.
Triste questo giorno e il suo risveglio,
francamente non lo accetto,

piango sempre e mi lamento.
Esco con due briciole d’amore,

tre gettoni d’allegria
ed  un sorriso falso per l’occasione,

cerco quello che mi sento dentro
per fare pace col mio aspetto,

ed intanto sono sempre lo stesso!

Lascia questo giorno alla tua sorte,
porgi sempre l’altra faccia
a chi ti sta ingannando il cuore.
Finto questo mondo non ha sdegno
francamente non lo accetto,

piango sempre e mi rassegno!
Esco per due briciole d’amore,

mendicando l’allegria
con un sorriso plastico come un attore.

Cerco ciò che mi conforma meglio,
alla tendenza del  momento,

ed intanto imbroglio solo me stesso.

Ma dimmi cosa fare, adesso che ho scoperto, che nulla mi soddisfa
di ciò che vivo, e cerco un desiderio vero,
che mi basti interamente, per spendermi sul serio.


Dammi pienezza che non finisca
cambiami il cuore scontento in letizia!
Quanto bisogno c’è del tuo amore
paziente, che annuncia la buona notizia!

questo è ciò che vivo; in un lampo tutto quanto…
emozioni virtuali, per non pensare più al domani!
Siamo in libertà apparente, prigionieri del presente
io sono stufo di ingannarmi, seguire mode e falsi sogni.

Ma dimmi cosa……
Dammi pienezza….
Ma dimmi cosa……
Dammi pienezza….

giovedì 21 luglio 2011

La fede - Trilussa

Quella vecchietta cieca, che incontrai la notte che me spersi in mezzo ar bosco,
me disse: - Se la strada nun la sai,
te ciaccompagno io, ché la conosco.
Se ciai la forza de venimme appresso,
de tanto in tanto te darò 'na voce,
fino là in fonno, dove c'è un cipresso,
fino là in cima, dove c'è la Croce…
Io risposi: - Sarà … ma trovo strano
che me possa guidà chi nun ce vede … -
La cieca allora me pijò la mano
e sospirò: - Cammina! - Era fa Fede.

mercoledì 29 giugno 2011

Pietro liberato dal carcere

At 12, 1-11
 
In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Àzzimi. Lo fece catturare e lo gettò in carcere, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua.
Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. In quella notte, quando Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, stava dormendo, mentre davanti alle porte le sentinelle custodivano il carcere.
Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Àlzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. L’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e légati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Metti il mantello e seguimi!». Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva invece di avere una visione.
Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui.
Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva».

San Pietro e Paolo - Omelia di Benedetto XVI

Cappella papale nella solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, 29.06.2011
Alle ore 9.30 di oggi, Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, e nella ricorrenza del 60° anniversario della Sua Ordinazione presbiterale, il Santo Padre Benedetto XVI presiede nella Basilica Vaticana la Concelebrazione Eucaristica con 41 Arcivescovi Metropoliti ai quali, nel corso del Sacro Rito, impone i Palli presi dalla Confessione di San Pietro.
Come di consueto in occasione della Festa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, Patroni della Città di Roma, è presente alla Santa Messa una Delegazione del Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli composta da: Sua Eminenza Emmanuel (Adamakis), Metropolita di Francia; S.E. Athenagoras (Yves Peckstadt), Vescovo di Sinope, Ausiliare del Metropolita del Belgio; Rev.do Archimandrita Maxime Pothos, Vicario Generale della Metropolia della Svizzera.
Dopo la lettura del Vangelo e prima del Rito di benedizione e imposizione dei Palli agli Arcivescovi Metropoliti, il Papa tiene l’omelia.
Ne riportiamo di seguito il testo:


OMELIA DEL SANTO PADRE

Cari fratelli e sorelle,

Non vi chiamo più servi ma amici” (cfr Gv 15,15).

A sessant’anni dal giorno della mia Ordinazione sacerdotale sento ancora risuonare nel mio intimo queste parole di Gesù, che il nostro grande Arcivescovo, il Cardinale Faulhaber, con la voce ormai un po’ debole e tuttavia ferma, rivolse a noi sacerdoti novelli al termine della cerimonia di Ordinazione. Secondo l’ordinamento liturgico di quel tempo, quest’acclamazione significava allora l’esplicito conferimento ai sacerdoti novelli del mandato di rimettere i peccati.

Non più servi ma amici”: io sapevo e avvertivo che, in quel momento, questa non era solo una parola “cerimoniale”, ed era anche più di una citazione della Sacra Scrittura. Ne ero consapevole: in questo momento, Egli stesso, il Signore, la dice a me in modo del tutto personale. Nel Battesimo e nella Cresima, Egli ci aveva già attirati verso di sé, ci aveva accolti nella famiglia di Dio. Tuttavia, ciò che avveniva in quel momento, era ancora qualcosa di più.

Egli mi chiama amico. Mi accoglie nella cerchia di coloro ai quali si era rivolto nel Cenacolo. Nella cerchia di coloro che Egli conosce in modo del tutto particolare e che così Lo vengono a conoscere in modo particolare. Mi conferisce la facoltà, che quasi mette paura, di fare ciò che solo Egli, il Figlio di Dio, può dire e fare legittimamente: Io ti perdono i tuoi peccati.

Egli vuole che io – per suo mandato – possa pronunciare con il suo “Io” una parola che non è soltanto parola bensì azione che produce un cambiamento nel più profondo dell’essere. So che dietro tale parola c’è la sua Passione per causa nostra e per noi. So che il perdono ha il suo prezzo: nella sua Passione, Egli è disceso nel fondo buio e sporco del nostro peccato. È disceso nella notte della nostra colpa, e solo così essa può essere trasformata.

E mediante il mandato di perdonare Egli mi permette di gettare uno sguardo nell’abisso dell’uomo e nella grandezza del suo patire per noi uomini, che mi lascia intuire la grandezza del suo amore. Egli si confida con me: “Non più servi ma amici”. Egli mi affida le parole della Consacrazione nell’Eucaristia. Egli mi ritiene capace di annunciare la sua Parola, di spiegarla in modo retto e di portarla agli uomini di oggi. Egli si affida a me. “Non siete più servi ma amici”: questa è un’affermazione che reca una grande gioia interiore e che, al contempo, nella sua grandezza, può far venire i brividi lungo i decenni, con tutte le esperienze della propria debolezza e della sua inesauribile bontà.

Non più servi ma amici”: in questa parola è racchiuso l’intero programma di una vita sacerdotale.

Che cosa è veramente l’amicizia?

Idem velle, idem nolle – volere le stesse cose e non volere le stesse cose, dicevano gli antichi. L’amicizia è una comunione del pensare e del volere. Il Signore ci dice la stessa cosa con grande insistenza: “Conosco i miei e i miei conoscono me” (cfr Gv 10,14). Il Pastore chiama i suoi per nome (cfr Gv 10,3). Egli mi conosce per nome. Non sono un qualsiasi essere anonimo nell’infinità dell’universo. Mi conosce in modo del tutto personale. Ed io, conosco Lui?

L’amicizia che Egli mi dona può solo significare che anch’io cerchi di conoscere sempre meglio Lui; che io, nella Scrittura, nei Sacramenti, nell’incontro della preghiera, nella comunione dei Santi, nelle persone che si avvicinano a me e che Egli mi manda, cerchi di conoscere sempre di più Lui stesso.

L’amicizia non è soltanto conoscenza, è soprattutto comunione del volere. Significa che la mia volontà cresce verso il “sì” dell’adesione alla sua. La sua volontà, infatti, non è per me una volontà esterna ed estranea, alla quale mi piego più o meno volentieri oppure non mi piego.

No, nell’amicizia la mia volontà crescendo si unisce alla sua, la sua volontà diventa la mia, e proprio così divento veramente me stesso. Oltre alla comunione di pensiero e di volontà, il Signore menziona un terzo, nuovo elemento: Egli dà la sua vita per noi (cfr Gv 15,13; 10,15).


Signore, aiutami a conoscerti sempre meglio! Aiutami ad essere sempre più una cosa sola con la tua volontà! Aiutami a vivere la mia vita non per me stesso, ma a viverla insieme con Te per gli altri! Aiutami a diventare sempre di più Tuo amico! La parola di Gesù sull’amicizia sta nel contesto del discorso sulla vite.

Il Signore collega l’immagine della vite con un compito dato ai discepoli: “Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16). Il primo compito dato ai discepoli – agli amici – è quello di mettersi in cammino, di uscire da se stessi e di andare verso gli altri. Possiamo qui sentire insieme anche la parola del Risorto rivolta ai suoi, con la quale san Matteo conclude il suo Vangelo: “Andate ed insegnate a tutti i popoli…” (cfr Mt 28,19s). Il Signore ci esorta a superare i confini dell’ambiente in cui viviamo, a portare il Vangelo nel mondo degli altri, affinché pervada il tutto e così il mondo si apra per il Regno di Dio. Ciò può ricordarci che Dio stesso è uscito da sé, ha abbandonato la sua gloria, per cercare noi, per portarci la sua luce e il suo amore. Vogliamo seguire il Dio che si mette in cammino, superando la pigrizia di rimanere adagiati su noi stessi, affinché Egli stesso possa entrare nel mondo. Dopo la parola sull’incamminarsi, Gesù continua: portate frutto, un frutto che rimanga! Quale frutto Egli attende da noi? Qual è il frutto che rimane? Ebbene, il frutto della vite è l’uva, dalla quale si prepara poi il vino. Fermiamoci per il momento su questa immagine. Perché possa maturare uva buona, occorre il sole ma anche la pioggia, il giorno e la notte. Perché maturi un vino pregiato, c’è bisogno della pigiatura, ci vuole la pazienza della fermentazione, la cura attenta che serve ai processi di maturazione. Del vino pregiato è caratteristica non soltanto la dolcezza, ma anche la ricchezza delle sfumature, l’aroma variegato che si è sviluppato nei processi della maturazione e della fermentazione.

Non è forse questa già un’immagine della vita umana, e in modo del tutto particolare della nostra vita da sacerdoti?

Abbiamo bisogno del sole e della pioggia, della serenità e della difficoltà, delle fasi di purificazione e di prova come anche dei tempi di cammino gioioso con il Vangelo. Volgendo indietro lo sguardo possiamo ringraziare Dio per entrambe le cose: per le difficoltà e per le gioie, per le ore buie e per quelle felici.

In entrambe riconosciamo la continua presenza del suo amore, che sempre di nuovo ci porta e ci sopporta. Ora, tuttavia, dobbiamo domandarci: di che genere è il frutto che il Signore attende da noi? Il vino è immagine dell’amore: questo è il vero frutto che rimane, quello che Dio vuole da noi. Non dimentichiamo, però, che nell’Antico Testamento il vino che si attende dall’uva pregiata è soprattutto immagine della giustizia, che si sviluppa in una vita vissuta secondo la legge di Dio! E non diciamo che questa è una visione veterotestamentaria e ormai superata: no, ciò rimane vero sempre.

L’autentico contenuto della Legge, la sua summa, è l’amore per Dio e per il prossimo. Questo duplice amore, tuttavia, non è semplicemente qualcosa di dolce. Esso porta in sé il carico della pazienza, dell’umiltà, della maturazione nella formazione ed assimilazione della nostra volontà alla volontà di Dio, alla volontà di Gesù Cristo, l’Amico. Solo così, nel diventare l’intero nostro essere vero e retto, anche l’amore è vero, solo così esso è un frutto maturo. La sua esigenza intrinseca, la fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, richiede sempre di essere realizzata anche nella sofferenza. Proprio così cresce la vera gioia.

Nel fondo, l’essenza dell’amore, del vero frutto, corrisponde con la parola sul mettersi in cammino, sull’andare: amore significa abbandonarsi, donarsi; reca in sé il segno della croce. In tale contesto Gregorio Magno ha detto una volta: Se tendete verso Dio, badate di non raggiungerlo da soli (cfr H Ev 1,6,6: PL 76, 1097s) – una parola che a noi, come sacerdoti, deve essere intimamente presente ogni giorno.
Cari amici, forse mi sono trattenuto troppo a lungo con la memoria interiore sui sessant’anni del mio ministero sacerdotale. Adesso è tempo di pensare a ciò che è proprio di questo momento. Nella Solennità dei Santi Apostoli Pietro e Paolo rivolgo anzitutto il mio più cordiale saluto al Patriarca Ecumenico Bartolomeo I e alla Delegazione che ha inviato, e che ringrazio vivamente per la gradita visita nella lieta circostanza dei Santi Apostoli Patroni di Roma. Saluto anche i Signori Cardinali, i Fratelli nell’Episcopato, i Signori Ambasciatori e le Autorità civili, come pure i sacerdoti, i compagnia della mia prima Messa, i religiosi e i fedeli laici. Tutti ringrazio per la presenza e la preghiera. Agli Arcivescovi Metropoliti nominati dopo l’ultima Festa dei grandi Apostoli viene ora imposto il pallio. Che cosa significa? Questo può ricordarci innanzitutto il giogo dolce di Cristo che ci viene posto sulle spalle (cfr Mt 11,29s). Il giogo di Cristo è identico alla sua amicizia. È un giogo di amicizia e perciò un “giogo dolce”, ma proprio per questo anche un giogo che esige e che plasma. È il giogo della sua volontà, che è una volontà di verità e di amore. Così è per noi soprattutto anche il giogo di introdurre altri nell’amicizia con Cristo e di essere a disposizione degli altri, di prenderci come Pastori cura di loro. Con ciò siamo giunti ad un ulteriore significato del pallio: esso viene intessuto con la lana di agnelli, che vengono benedetti nella festa di sant’Agnese. Ci ricorda così il Pastore diventato Egli stesso Agnello, per amore nostro. Ci ricorda Cristo che si è incamminato per le montagne e i deserti, in cui il suo agnello, l’umanità, si era smarrito. Ci ricorda Lui, che ha preso l’agnello, l’umanità – me – sulle sue spalle, per riportarmi a casa. Ci ricorda in questo modo che, come Pastori al suo servizio, dobbiamo anche noi portare gli altri, prendendoli, per così dire, sulle nostre spalle e portarli a Cristo. Ci ricorda che possiamo essere Pastori del suo gregge che rimane sempre suo e non diventa nostro. Infine, il pallio significa molto concretamente anche la comunione dei Pastori della Chiesa con Pietro e con i suoi successori – significa che noi dobbiamo essere Pastori per l’unità e nell’unità e che solo nell’unità di cui Pietro è simbolo guidiamo veramente verso Cristo.

Sessant’anni di ministero sacerdotale – cari amici, forse ho indugiato troppo nei particolari. Ma in quest’ora mi sono sentito spinto a guardare a ciò che ha caratterizzato i decenni. Mi sono sentito spinto a dire a voi – a tutti i sacerdoti e Vescovi come anche ai fedeli della Chiesa – una parola di speranza e di incoraggiamento; una parola, maturata nell’esperienza, sul fatto che il Signore è buono. Soprattutto, però, questa è un’ora di gratitudine: gratitudine al Signore per l’amicizia che mi ha donato e che vuole donare a tutti noi. Gratitudine alle persone che mi hanno formato ed accompagnato.

E in tutto ciò si cela la preghiera che un giorno il Signore nella sua bontà ci accolga e ci faccia contemplare la sua gioia. Amen.

© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana

mercoledì 15 giugno 2011

Isaia 40, 28-31 - Il riposo di chi confida in Dio

"Dio eterno è il Signore,
creatore di tutta la terra.


Egli non si affatica e non si stanca,


la sua intelligenza è inscrutabile.


Egli dà forza allo stanco

e moltiplica il vigore dello spossato.


Anche i giovani faticano e si stancano,
gli adulti inciampano e  cadono;

 
ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza,
mettono ali come aquile,


corrono senza affannarsi,

  
camminano senza stancarsi".
Isaia 40, 28-31

lunedì 13 giugno 2011

Oratorio di S. Antonio da Padova - La Verna

In onore a tutti gli Antonio che conosco, e che festeggiano, l'Antonio portoghese, e non l'abate, inserisco una foto, che ho scattato durante il mio recente periodo di riposo alla Verna e che ho trovato per caso proprio oggi. Si tratta di una piccola cappella chiamata Oratorio di S. Antonio

Oratorio di S. Antonio alla Verna

Sant Antonio dimorò alla Verna, vicino al luogo della seconda cella di Francesco l'anno prima della sua morte avvenuta a Padova il 13 giugno 1231.

Chiuse, cieche e sorde - da "Vivi con passione!" di Valerio Albisetti

Riporto un capitoletto del libro. Spero che Valerio non si arrabbi. Una riflessione che mi sembra interessantissima. Il suo punto di vista sulla questione di fare quello che siamo chiamati a fare. 
Un tema declinabile in maniere diversissime. Presente in tante opere cristiane. Mi viene in mente la famosa frase che Elrond dice ad Aragorn ne Il signore degli anelli - Il ritorno del Re: "Metti da parte il ramingo... diventa ciò che sei nato per essere...".
La frase di Santa Caterina da Siena "Se sarete quello che dovete essere voi incendierete il mondo!"  e ancora  Martin Buber che dice: " Se non ora quando? Se non qui, dove? Se non io, chi?"
Mi rendo conto che se in molte occasioni avessi tenuto bene presente queste parole, queste frasi, sarei stato molto più incisivo, coraggioso, tempestivo. Meno vigliacco in fondo.
Forse avrei amato di più me stesso e così facendo avrei comunicato vita, coraggio, forza  anche alle persone che mi stanno vicino. Forse le avrei disorientate inizialmente, deluse. Alcune le avrei fatte arrabbiare.  Però, e parlo delle occasioni in cui avevo ragione, avrei comunque dato loro un'occasione di sentire un'opinione diversa. Uno stimolo diverso. Fuori dal coro.
Questo l'ho provato quelle volte in cui la parte più profonda di me non ha potuto tacere di fronte ad una palese verità oltraggiata da un'altrettanto palese menzogna. Lì dove queste due forze, scontrandosi, hanno obbligato la parte più profonda di me, a venire fuori, ad emergere, scegliendo la verità, ho provato l'esperienza di chi segue la propria vocazione. Di chi si lancia nel vuoto. Di chi sceglie di aderire ad una verità più profonda. Che sente dentro se stesso e che tante volte, parlo per me, sacrifica agli dei del voler vivere tranquillo, adeguandosi all'opinione comune, al creare meno problemi possibili. 
Qualche volta, forse proprio quando ero forse più pressato dagli eventi ho vissuto l'esperienza di scegliere la verità. Costi quel che costi. E "chissene", come  dicono a Roma, di quello che succede.
Per questo sono entrato in risonanza con queste parole di Valerio Albisetti. Per questo le ripropongo sul blog. Buona meditazione.


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"Chiuse, cieche e sorde.
Questo è il ritratto che mi appare delle persone che vivono senza passione.
Perché la vocazione, la passione,  la chiamata sono in tutti noi!
   Chi pensa di non sentirle è appunto perché non le sente!
   Ma ci sono.
   E spingono dentro, interiormente.
   Per mesi, per anni.
   Si zittiscono per causa nostra, per il nostro continuo reprimerle, nasconderle, rimuoverle.
    In nome di chi? di che?
    Spesso per le buone forme, per il quieto vivere,  per conformismo,  per seguire ciò che hanno fatto i nostri padri, ma tutto ciò è... mortale.
    Sotto sta sempre la paura.
    La vigliaccheria.
    Chiudersi alla propria vocazione è il peggior peccato.
   E' come essere già morti.
   Significa chiudersi alla vita.
   Quella vera.
   Quella veramente personale.
   Che porta solo il nostro nome.
   Non quella dettata dalle mode e dalla società in cui si vive, ma dettata dal proprio cuore.
   Unico e irripetibile.
   Tra l'altro, chi vive senza passione,  non cercando la propria vocazione è di poco aiuto anche agli altri, a chi gli sta vicino.
   Come si fa ad amare se non si vive con passione, non seguendo la propria vocazione?
   Crederemo di amare, ma ci illuderemo, e comunque il nostro amore non avrà forza, non possederà energia.
   Così per il percorso spirituale, perun cammino di crescita psicospirituale,  se non si vive la propria chiamata si è fasulli, persi, senza centro, privi di orientamento.
   D'altra parte la missione per cui siamo venuti sulla terra nessun altro può realizzarla...
   Riguardo alla propria vocazione siamo insostituibili...
   Eppure sono molte le persone che non seguono la propria chiamata. Perché?
   Perché hanno paura di soffrire.
   Aver paura di soffrire è come morire.
   Peggio.
   E' non vivere.
   Solo se si segue la propria vocazione non si prova più paura.
   Se si sapesse  questo forse molte vite cambierebbero.
   Per esempio, chissà quanti vivrebbero in prima persona piutttosto che vivere da comprimari o addirittura per interposta persona: un celibe che piuttosto di sposarsi e far figli si accontenta di fare lo zio o l'educatore, una moglie che spinge il marito a fare la carriera che avrebbe voluto fare lei...
   Oppure quelli che hanno abbandonato una professione a cui erano chiamati, o hanno lasciato una persona a cui erano destinati per vocazione...
   Infine  coloro che non vogliono seguire la propria chiamata pur riconoscendola..."

Estratto da: "Vivi con Passione!" di Valerio Albisetti
Capitolo IV

Copertina del libro

giovedì 9 giugno 2011

Giovanni Paolo II - Parole dopo il concerto in occasione del 50° anniversario dell'ordinazione sacerdotale - 31 ottobre 1996

A cinquant'anni dal giorno benedetto un cui lo Spirito Santo, mediante l'imposizione delle mani dell'arcivescovo di Cracovia Adam Stefan Sapieha, mi ha consacrato sacerdote di Cristo, rivolgo a Dio il mio grazie commosso per quanto egli ha voluto compiere in me. Nello stesso tempo, estendo la mia gratitudine alle tante persone che ho incontrato sulla mia strada e che in diversa misura,  mi hanno aiutato nel cammino percorso in tutti questi anni.

Continui l'eterno Padre, per intercessione di Maria, regina di tutti i santi, a guidare i miei passi perché possa essere ministro fedele dei doni divini e servo generoso del gregge che Egli mi ha affidato.

Giovanni Paolo II

lunedì 6 giugno 2011

Giovanni Paolo II - New Orleans - Discorso ai giovani - 12 settembre 1987

E' con la verità di Gesù, cari giovani, che dovete affrontare i grandi problemi della vostra vita, come pure i problemi pratici. Il mondo cercherà di ingannarvi su molte cose importanti:  sulla vostra fede,  sul piacere e sulle cose materiali, sui pericoli della droga.
A un certo punto le  false voci del mondo cercheranno di sfruttare la vostra umana debolezza dicendovi che la vita per voi non ha alcun significato. Il furto più grande nella vostra vita avrà luogo se riusciranno a strapparvi la speranza. Essi cercheranno di farlo, ma non vi riusciranno se vi tenete uniti strettamente a Gesù e alla sua verità.

La verità di Gesù è in grado di  rafforzare tutte le vostre energie. Unificherà la vostra vita e consoliderà il vostro senso di missione. Potrete sempre essere vulnerabili agli attacchi che vengono dalle pressioni del mondo, dalle forze del male,  dal potere del diavolo. " Ma sarete invincibili nella speranza: in Cristo Gesù nostra speranza" ( 1 Tm 1,1).

Cari giovani: la parola di Gesù, la sua verità e le sue promesse di realizzazione e di vita sono la risposta della chiesa alla cultura della morte, agli assalti del dubbio e al cancro della disperazione.

Il Papa il 15 settembre 1997 cammina tra i giovani al Universal Amphitheatre in Los Angeles, Calif. 
Giovanni Paolo II visitò questa cattedrale e celebrò una messa all'aperto per più di 200.000 giovani davanti al lago.

domenica 5 giugno 2011

Ti ricordiamo così, Karol - A novantanni dalla nascita di Giovanni Paolo II


Inserisco il link a you tube, di un interessante speciale prodotto nel 2008, se non sbaglio, in occasione dei novanta anni dalla nascita di Giovanni Paolo II.
E' stata un'occasione per vedere piccoli inediti e per ricordare il nostro amato Karol.

Ti ricordiamo così, Karol - A novant'anni dalla nascita di Giovanni Paolo II

Il documento è prodotto da Raidue e Rai Vaticano. Uno dei due autori è  il  nostro caro Giuseppe De Carli, morto il 13 luglio 2010, e che salutiamo con tanto affetto e stima. Il coautore è Ivano Balduini.  Verso le loro figure si indirizza la mia gratitudine per il lavoro di livello e per l'esempio di professionalità e di cura.


Una delle tantissime foto reperibili sul web

Diventa ciò che sei - Valerio Albisetti - Decalogo


Estratto da
Valerio Albisetti,
Diventa ciò che sei,
Un cammino di spiritualità cristiana
Copertina del libro fotografata sullo sfondo del Monte Penna, località la Verna
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PRIMA DI CONTINUARE

Le mie parole probabilmente ti stanno inquietando perché senti che hai perso tanto tempo, che gai sbagliato lavoro, che hai scelto un prtner sbagliato, che hai indirizzato male la tua vita, che ti sei perso, che ti sei impigrito, impaurito, immobilizzato... Forse vorresti un lavoro più gratificante, forse vorresti più visibilità, forse vorresti più soldi, più prestigio sociale.
Bene.
Tutto ciò indica che hai bisogno di cambiamento.
Di trasformarti.
Non preoccuparti.
Non credere di essere uscito dal tuo viaggio della vita.
Perché ti senti bloccato, fermo, inutile, insoddisfatto...
Va tutto bene.
Il viaggio che intendo io prevede fermate, sofferenze, dolori tradimenti...
Certo, quando ti accorgi che stai affrontando solo ostacoli, che tutto va male e in modo continuo e costante, allora sarà meglio fermarsi un attimo e rivedere il tuo modo di pensare.
Quando ti accorgi che sono anni che attiri solo insuccessi e persone sbagliate..., forse vuol dire che devi cambiare mentalità.
Allora è necessario farsi un decalogo mentale, che io ho tratto e traggo dai miei dolori, dalle mie sofferenze, dai miei insuccessi, dai miei errori, dalla mia esperienza di vita e che ti dono, caro lettore/lettrice, con piacere, sperando che ti sia utile, come lo è per me:

      1. Credo di essere unico e irripetibile, essere di origine divina, anche se tutto il mondo continua a dirmi che valgo poco o nulla.
      1. Deve essere semplice e non uscire dal percorso verso il mio scopo, costi quel che costi. Anche se sembra impossibile, perché, per esempio, mi sono sposato, ho un figlio, non più l'età, non ho gli studi, ecc …

      2. Devo ammettere onestamente ciò che funziona nella mia vita e ciò che non funziona..., devo entrare dentro di me e trasformarmi.

      3. Devo cominciare a fare, seppur piccoli, passi verso lo scopo per cui mi sento venuto sulla terra.
      1. Non devo farmi condizionare dalle persone negative che mi stanno intorno, non devo farmi influenzare da sensi di colpa o di inferiorità che qualcuno vorrebbe insinuare in me.

      2. Devo guardarmi dagli ipocriti e da persone fasulle, non vere, non autentiche, mascherate da persone per bene.

      3. Devo guardarmi da quelli che si mettono sempre dalla parte della ragione. Sotto sotto, vogliono mantenere il controllo su di me.

      4. Devo stare con persone che mi fanno crescere.

      5. Devo ricordarmi che ho sempre la possibilità di scelta.
         
      6. Devo ricondarmi di essere figlio adottivo di Dio.

La copertina del libro

IL CAMMINO DELL'UOMO

IL CAMMINO DELL'UOMO
Marcia francescana 25 luglio - 4 agosto 2003