martedì 14 marzo 2023

La basilica dell'agonia a Gerusalemme - Osservatore Romano

Articolo tratto dall'Osservatore Romano del 14/03/2023. Si resta a disposizione dell'immediata rimozione qualora richiesto dagli aventi diritto.

 Lo stretto cañón all’interno del quale scorre il torrente Kedron, limitato a ovest dall’area più antica e venerabile della Città Santa — il Monte Moriah con i massicci resti del Tempio oggi sigillati dal piazzale del Haram esh-Sharif, il Nobile Recinto nel quale sono state erette la Cupola della Roccia e la moschea al-Aqsa — e a est dall’altura conosciuta come Monte degli Olivi, è molto ripido nel suo settore settentrionale mentre, più a sud, si allarga in una modesta spianata di fondovalle in corrispondenza con la zona nella quale il corso d’acqua, scendendo da settentrione, si dirige verso ovest lasciandosi sulla destra l’altura del Monte Sion, propaggine meridionale della Gerusalemme storica. 

In corrispondenza con tale area si avvia la strada che conduce alla sommità del Monte degli Olivi: ed è appunto quello il crocevia che separa la bellissima e commovente Chiesa della Dormizione della Vergine (che i crociati chiamarono Santa Maria Latina), la quale ancor oggi si presenta nel suo aspetto romanico-gotico con la sua vertiginosa navata in ripida discesa, ch’è in realtà una sola gradinata al fondo della quale si venera il Sepolcro di Maria (da lì si accede alla grotta del Getsemani vera e propria, assegnata nel 1392 dalle autorità mamelucche ai francescani), dall’attiguo complesso comprendente il giardino degli olivi — acquisito dai frati nel 1966 — che custodisce otto venerabili piante ultracentenarie e, a esso attigua immediatamente a sud, quella che tradizionalmente si denomina Basilica dell’Agonia ma ch’è ormai conosciuta piuttosto come Chiesa delle Nazioni.

Siamo quindi nell’ambito di uno dei più venerabili luoghi santi: quello deputato a ricordare l’area del frantoio (in ebraico Gat-shmanim, torchio per le olive) dove Gesù e gli apostoli usavano riunirsi e dove avvennero gli episodi salienti della Notte dell’Agonia, il Giovedì santo. Un’area archeologicamente ricchissima, situata quasi esattamente di fronte alla sezione delle mura cittadine nella quale si apre dall’altra parte della valle, in alto, la Porta Aurea di accesso al Tempio (peraltro oggi murata). 

Nel quadro della riorganizzazione urbana di Gerusalemme come città-santuario cristiana, avviata da Costantino su impulso (come tradizionalmente si ricorda) della madre Elena, l’imperatore Teodosio dispose qui la fondazione di una chiesa dedicata al Salvatore, l’altare maggiore della quale era disposto sulla pietra su cui Cristo si era disteso durante l’Agonia. L’edificio misurava una larghezza di 16,5 metri e una profondità di 22,5. Esso fu uno dei primi luoghi santi che i persiani distrussero durante la loro conquista della città, nel 614; quel che ne rimaneva fu cancellato da un sisma nel 746. Una piccola cappella crociata, costruita nel XII secolo, venne spazzata via nel corso del Trecento. I resti dell’edificio vennero scoperti durante la campagna di scavi archeologici tra il 1891 e il 1901. 

Nel 1912, dopo la crisi determinata dalla guerra italo-turca per il controllo di Tripolitania e Cirenaica, le autorità italiane avevano concordato con il sultano d’Istanbul l’edificazione di un gruppo di nuovi edifici in Gerusalemme nuova, subito a nord delle mura, in quello ch’era allora il quartiere italiano: era prevista fra l’altro la fondazione di un moderno ospedale, la costruzione del quale venne affidata all’architetto romano poco più che trentenne Giulio Barluzzi (1878-1953); dopo la parentesi bellica, i lavori ripresero sotto la guida sua e del fratello, nonché collega, Antonio (1884-1960). 

Con la pace del 1918 e il successivo affidamento della Palestina al governo britannico sotto la forma del Mandato, i Paesi europei e americani che avevano ritrovato una concordia (anche se purtroppo destinata a durare poco) ritennero di celebrare il nuovo clima erigendo una grande chiesa sul luogo stesso dell’antico edificio teodosiano consacrandolo alla Passione del Cristo e all’istituzione dell’Eucarestia. I lavori, su progetto e sotto la direzione di Antonio Barluzzi, si conclusero nel 1924. In quel contesto di amicizia e d’iniziale entusiasmo i vari governi occidentali, sostenuti da donazioni popolari, concorsero alle spese per il nuovo sacro edificio e se ne distribuirono gli spazi. La gestione venne affidata all’Ordine francescano.

La città, frattanto, nelle sue aree moderne stava trasformandosi in cantiere. Nel 1927 si fondò a nord della città vecchia il Museo Rockfeller, che ospita reperti dalla preistoria all’epoca dei crociati; una serie di archeologi compì molte importanti ricerche e notevoli scoperte; i musulmani restaurarono sia la moschea al-Aqsa (utilizzando anche colonne di marmo di Carrara donate dal Duce, che mirava a risolvere uno dei problemi lasciati aperti dallo status quo: il ritorno del Cenacolo ai francescani attraverso una donazione all’Italia) sia la Cupola della Roccia. Frattanto, a Barluzzi furono commissionati i progetti per la costruzione di due basiliche: quella del Getsemani e quella del Monte Tabor, entrambe consacrate nel 1924. 

Successivamente, egli avrebbe continuato a lavorare in Palestina e più in generale in Medio Oriente. Negli anni Trenta eseguì lavori sul Monte Calvario, nel santuario delle Beatitudini; nel 1938-1940 costruì il santuario della Visitazione e nel decennio successivo restaurò il chiostro medievale di Betlemme. Certamente la sua opera ha lasciato un segno nell’architettura della Palestina, sempre improntato a una prospettiva tradizionalista lontana da ogni sperimentalismo, anche da quelli più in voga fra le due guerre.

È un dato che si registra anche per la Chiesa delle Nazioni, nell’abside della quale fu incorporata la sezione di roccia sulla quale secondo la tradizione Gesù pregò prima del suo arresto, come testimoniato dal vangelo di Marco (14, 32-42). 

Nel 1920, durante i lavori sulle fondamenta, sotto il pavimento della cappella crociata fu rinvenuta una colonna due metri. Vennero trovati anche i frammenti di un magnifico mosaico. In seguito a questa scoperta, Barluzzi fece rimuovere le opere nuove e iniziò gli scavi della chiesa precedente. Dopo che i resti della chiesa bizantina furono completamente scavati, i piani per la nuova chiesa furono modificati e i lavori per l’attuale basilica proseguirono fino al giugno 1924, giorno (come detto) della consacrazione. Gli scavi sono continuati fino ai nostri giorni; nel 2020 sono stati rinvenuti i resti delle fondamenta di un bagno rituale e alcune iscrizioni di pellegrini cristiani.

Gli emblemi nazionali dei Paesi che contribuirono alle spese di costruzione sono incorporati nel soffitto, ciascuno in una piccola cappella separata, e tornano nei mosaici interni. Le cappelle, distribuite l’una accanto all’altra nello spazio rettangolare interno (che si configura come una vasta sala dal soffitto sostenuto da colonne) sono da est a ovest, cioè a partire dall’abside settentrionale fino all’ingresso: a nord (quindi a sinistra di chi entri nell’edificio) Argentina, Brasile, Cile e Messico; al centro Italia, Francia, Spagna e Regno Unito; a sud (cioè a destra) Belgio, Canada, Germania e Stati Uniti. I mosaici delle absidi sono stati donati da Irlanda, Ungheria e Polonia e la balaustra di ferro intorno al basamento, che delimita la roccia dell’Agonia, dall’Australia.

L’edificio nel complesso può essere definito di aspetto neoclassico. La facciata è caratterizzata da tre archi delimitati da tre colonne-pilastro di stile corinzio, sopra ognuna delle quali si trovano le statue dei quattro evangelisti; sopra il frontone vi è un mosaico che raffigura Gesù come intermediario tra l’uomo e Dio, opera del pittore e decoratore Giulio Bargellini. L’interno si presenta in ultima analisi come uno spazio ripartito, diviso da colonne disposte in tre navate di quattro campate ciascuna, con un soffitto uniforme privo di cleristorio in modo da conferire l’idea di una grande sala aperta. 

Per la costruzione della chiesa furono utilizzati due tipi di pietra: all’esterno una pietra rosa proveniente da Betlemme, all’interno una pietra proveniente dalle cave di Lifta (a nord-ovest di Gerusalemme), all’epoca un villaggio arabo-palestinese poi spopolato durante la prima parte della guerra civile del 1947-1948 e oggi non più esistente. Per le finestre sono stati utilizzati pannelli di alabastro color viola per evocare l’agonia di Cristo, mentre il soffitto è dipinto di un blu intenso per simulare il cielo notturno.

La basilica è tuttora sotto il controllo della Custodia francescana di Terra Santa, che in loco controlla anche l’orto degli Ulivi e la Grotta del Getsemani, identificata come il luogo in cui fu arrestato Gesù. Tuttavia, nel giardino della Chiesa delle Nazioni si situa un altare utilizzato per la preghiera da tutte le altre confessioni cristiane. Nel dicembre 2020 la chiesa è stata oggetto di un incendio doloso quando un colono estremista ebreo ha versato un liquido infiammabile sulle panche di legno della chiesa; tuttavia alcuni palestinesi che vivono nella zona e i fedeli che vi si trovavano sono riusciti a fermare l’incendio che non ha provocato danni rilevanti. L’edificio, sia pur criticato per le linee convenzionali e per una sua certa pesantezza, ben si adatta tuttavia al tono evocativo e solenne al quale s’ispira. 

di FRANCO CARDINI

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