domenica 25 giugno 2023

I promessi sposi - Questo romanzo ci insegna ad essere noi Provvidenza

Tratto dalla pagina dell'Osservatore Romano del 25/06/2023. Si rimane a disposizione degli aventi diritto per l'immediata rimozione del testo.

 Per completare l’ampio e variegato coro delle celebrazioni manzoniane è necessario aggiungere alcune riflessioni che ci riportano alla “teologia” sottesa alla Commedia e aI promessi sposi. Ci spingono in codesta direzione la vicinanza del VII centenario dantesco al 150° manzoniano, ma soprattutto la profonda ammirazione che i Pontefici dell’ultimo secolo, fino a Papa Francesco, hanno avuto sia per Dante che per Alessandro. Secondo le Testimonianze (1985) del cardinale Colombo, Paolo VI fin da quando era arcivescovo di Milano, si faceva leggere dal segretario, monsignor Macchi, un canto della Commedia o un capitolo de I promessi sposi, come poi avrebbe fatto anche da Papa. Se il Poema sacro lo affascinava, per la “fulgente concezione piramidale della verità teologica che congiunge il centro della terra al sommo del cielo” ai Promessi sposi si sentiva legato nel sentire e vivere la carità: «Questo romanzo (…) c’insegna a credere che sotto ogni evento dell’esistere umano si nasconde un gesto d’amore della Provvidenza; c’insegna a essere noi Provvidenza». 

Ricostruire la storia del dantismo manzoniano (G. Petrocchi, Classici del credere. Tasso, Manzoni, gli eredi di Dante, 2021) permette di comprendere la straordinaria storia spirituale di Dante e Alessandro, tutta incentrata sulla conversione, vissuta nell’esercizio delle virtù cardinali e teologali. L’evoluzione di questo dantismo diventa emblematica di una condizione esistenziale vissuta all’interno di un contesto storico, le vicende legate all’unità d’Italia, politico, la nascita dei movimenti neoghibellino e neoguelfo, culturale, la grande riscoperta di Dante, in Europa, nella prima metà dell’Ottocento (cfr. J.C.L, Sismonde de Sismondi, Histoire des Républiques italiennes du moyen-âge, 1809). 

Fin dagli anni dell’infanzia, presso i padri Somaschi, e dell’adolescenza, presso i Barnabiti, attraverso gli insegnamenti del Padre Francesco Soave, Manzoni risente l’influsso del dantismo di Vincenzo Monti (cfr. i calchi danteschi del Trionfo della Libertà, 1801) e di Ugo Foscolo (cfr. il ritratto di Dante in Urania, 1809). Tra il Trionfo Urania si colloca la conoscenza di Claude Fauriel, e del suo coinvolgente dantismo (il carteggio comincia nel 1806), all’interno dei fervidi scambi di idee tra Manzoni, Fauriel, Sismondi, Mme de Stäel e gli Schlegel. Quanto ciò fosse determinante per il dantismo cattolico lo dimostra la presenza di Frédéric Ozanam, autore di Dante et la philosophie catholique au treizième siècle (1839), alle lezioni accademiche di Claude Fauriel su Dante e la sua opera negli anni 1833-1834 e 1834-1835, pubblicate postume da Jules Mohl (Dante et les origines de la langue et de la littérature italiennes, trad. ital. 1856).

Dalle Lettere al Fauriel sappiamo che l’avvicinamento del Manzoni ai canti del riscatto morale di Dante (Purg.XXX XXXI XXXII ), precede di poche settimane la supplica al Papa, l’autorizzazione a ricelebrare il matrimonio col rito cattolico: Alessandro va avanti così nella sua conversione. Un riscontro testuale di ciò è presente nei capitoli dedicati alla conversione dell’Innominato, attraverso la parola-chiave riconoscenza: «Di penter sì mi punse ivi l’ortica, / che di tutte altre cose qual mi torse/ più nel suo amor, più mi si fè nemica. / Tanta riconoscenza il cor mi morse, / ch’io caddi vinto» (Purg.XXXI , 85-89) e «Ed ecco, appunto sull’albeggiare, (…) ecco che stando così immoto a sedere, sentì arrivarsi all’orecchio come un’onda di suono (…). Provava un misto di sentimenti indefinibile (…) una coscienza nuova (…) una riconoscenza, una fiducia in quella misericordia che (…) gli aveva già dati tanti segni di volerlo» (I promessi sposi, capitoli XXI XXIV ). 

Pertanto il tema della conversione costituisce lo zoccolo duro della vicinanza teologica Manzoni-Dante. Ciò si evidenzia in primo luogo nello “spirito di citazione” delle Sacre Scritture: «Quello di Manzoni è sostanzialmente il metodo adottato dai teologi del tempo che sostenevano le loro tesi ricorrendo alle Scritture, considerandole come il fondamento (…) della speculazione sistematica propria della teologia» (G. Ravasi, Luoghi dell’Infinito, maggio 2023). Affermazione che, in tutto e per tutto, può essere riferita a Dante, proprio perché il pensiero teologico di Entrambi si effonde attraverso il “velo” della creatività poetica e narrativa: «Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, / che ‘l velo è ora ben tanto sottile,/ certo che ‘l trapassar dentro è leggero» (Purg.VIII , 19-21) e «Una classe sola di Lettori (…) in ogni argomento debba cercare di scoprire e di esprimere il vero storico e il vero morale, non solo come fine, ma come più ampia e perpetua sorgente del bello» (Lettera al marchese D’Azeglio, 1823). 

In secondo luogo vediamo come l’impostazione del rapporto teologia-filosofia sia vissuto secondo un habitus morale conoscitivo, antidogmatico, libero. Che il rapporto tra Dante e il Tomismo sia dialettico è confermato dalla presenza, in Paradiso, dell’averroista Sigieri di Brabante, condannato da Giovanni XXI e da Tommaso, nell’opuscolo De unitate intellectus. Di contro Alessandro Manzoni, autore delle Osservazioni sulla morale cattolica, fu amico del filosofo e teologo Antonio Rosmini. Riguardo alla questione del presunto giansenismo, «questo elemento polemico (…) che accomuna il Rosmini e l’autore deI promessi sposi, costituisce l’avvisaglia di polemiche ben più acerrime, che riusciranno a screditare agli occhi dell’autorità ecclesiastica il pensiero teologico rosminiano nel suo insieme e a determinarne l’estromissione dai circuiti teologici cattolici» (G. Lorizio, Luoghi dell’Infinito). 

Infine la suggestione poetica. Nel capitolo XVII si narra della fuga di Renzo attraverso una “selva oscura”: «A un certo punto, quell’uggia / quell’orrore indefinito con cui l’animo combatteva da qualche tempo, parve che a un tratto lo soverchiasse. Era per perdersi affatto» (I promessi sposiXVII ). Eppure spunta la speranza della salvezza e Renzo, attraversa l’Adda: «Si fermò un momentino sulla riva opposta, quella terra che prima scottava tanto sotto i piedi, Ah! Ne son proprio fuori! fu il suo primo pensiero». E Dante: «E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva / si volge a l’acqua perigliosa e guata, / così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, / si volse a retro a rimirar lo passo / che non lasciò già mai persona viva» (Inf. , 22-27). 

di GABRIELLA M. DI PAOLA DOLLORENZO


Fonte: https://www.osservatoreromano.va/it/news/2023-06/quo-145/questo-romanzo-c-insegna-a-essere-noi-provvidenza.html

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