giovedì 7 ottobre 2010

Luca 17, 5-10 - Essere servi inutili - Commento al vangelo di don Fabio Rosini

27° domenica del Tempo ordinario - 3 ottobre 2010 –

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Luca 17, 5-10 Siamo servi inutili
5Gli apostoli dissero al Signore: 6«Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe. 7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? 8Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? 9Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».

Il brano che ascolteremo è tratto dal capitolo 17 secondo Luca. Gli apostoli chiedono a Gesù di accrescere la loro fede. La risposta di Gesù non è immediatamente comprensibile.
Si. Loro chiedono la fede, ma gli apostoli rispondono in un modo paradossale “ Se aveste fede come un granello di senape potreste dire a questo gelso sradicati e va a piantarti nel mare” ed esso vi obbedirebbe. Cosa vuol dire questa risposta? Questa è una risposta con un linguaggio paradossale, tipico semitico, ma sradicare un gelso, se uno ha presente come è fatto un gelso, è una cosa enorme, uno degli alberi dalle radici più poderose, e piantarsi nel mare siamo assolutamente nell’assurdo. Cosa vuol dire? Fare una cosa difficilissima, assurda, assolutamente inarrivabile.
Questo è legato ad una quantità. Avere fede quanto un granello di senape. Un granello di senape è un oggetto infinitesimale, è piccolissimo. Altre volte viene paragonato al regno dei cieli in quanto una cosa piccola che produce una cosa grande, ma qui è preso semplicemente come un’unità di misura. E’ una cosa quasi non guardabile con l’occhio. Si vede poco con gli occhi. Si perde. Si può confondere.
Allora i discepoli hanno chiesto: “Accresci la nostra fede!” introducendo un argomento quantità. Accrescere, aumentare. La fede, risponde Gesù, non è una quantità. Quantificare la fede. Avere la fede quanto un granello di senape, poter fare chissà che cosa, poter fare le cose più impossibili e assurde, peraltro inutili, non è qui il punto. La fede non è una quantità. La fede, non ne dobbiamo avere tanta o non so quanta. La fede è un atto. La fede è adesso fidarsi di Dio. Tu mi dici:”Aumenta la mia fede!” e Cristo risponde “ E io ti dico: pratica la fede!”. Questo è vivere la fede. Non è una questione di quantità. Perché la fede non ce l’abbiamo mai in tasca. La fede non ce l’abbiamo per certa. Quante volte tocca sentire: “ Ah, io ho tanta fede!” Mammamia. Beato te, una quantità di fede..quanti kili dimmi?
Non è questo il punto, infatti questo testo, ci introduce in una logica che è una logica di un servizio. Non è un risultato quello che dobbiamo ottenere, ma è entrare in una logica di servizio. Il servizio che siamo chiamati a fare ci porta a capire una cosa. Non è che uno una volta che ha fatto un atto di fede in Dio, una volta che si è aperto alla fiducia in Dio, ha aperto il cuore all’amore di Dio, questa cosa porta ad uno status che è definitivo. Allora io, siccome ho fatto queste cose sono arrivato. No! Si ricomincia sempre da capo. La fede è così. Fai delle cose straordinarie? Fai delle meraviglie? Resti un povero. La fede non la possiedi mai. La fede è una cosa che ti chiede sempre di crescere, di camminare. Ti svegli la mattina e devi entrare nella fede. Ti svegli la mattina e la fede di ieri non è la fede di oggi. E’ la fede di oggi che ti serve, non è la fede di ieri. Anche se la fede di ieri ti aiuta, ti sostiene, ti incoraggia, ti rende più facile l’atto.
E qui arriviamo così a questo termine celeberrimo, questo dei servi inutili. Mi si permetta di dire qualche cosa di un pochino insolito a riguardo di questa definizione.
Al termine di questo testo che parla del fare quanto Dio ci dà da fare, questo è la fede, compiere il nostro servizio e in quello esser contenti e in quello vivere la fede. “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite, siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. L’idea è quella di essere inutili. Ecco, ne deriva un concetto molto umile di non essere imprescindibili, cosa sicuramente importante, che ci serve, però proprio perché inutile, già nel latino vuol dire una cosa un po’ diversa. In utilis, cioè colui che non ha utile. Nel termine acreios, c’è un alfa privativo rispetto ad un termine che indica chi ha diritto a salario. Siamo senza diritto a salario. Non mi si deve pagare. Siamo senza utile. Inutili per questo. E infatti dicono:” Siamo servi che non devono esser pagati perché abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
Ovverosia. Qua si tratta di capire che la ricompensa della fede, è la fede stessa. Che non ho bisogno di avere una quantità di risultato, non ho nessun bisogno di esser pagato, per vivere la vita della fede. È vivere la vita della fede la ricompensa a se stessa. Cioè la realtà di vivere le cose di Dio, di lavorare nella sua vigna, già è salvezza.
Quando noi vediamo persone, che anche nella Chiesa, fanno servizi e poi fanno rimostranze, passano il conto, presentano, appunto, i loro diritti perché hanno fatto dei servizi, abbiamo di fronte persone che non hanno ricevuto la vera ricompensa. Loro la ricompensa la vogliono dagli uomini, dai riconoscimenti, la vogliono in questo mondo, anche se sono nella Chiesa. La vera ricompensa è proprio il servizio. Il servizio che Dio ci dà da fare. È quella la nostra gioia, il nostro tesoro. Lavorare nella vigna del Signore. San Paolo dice queste cose qui. “Non è per me un vanto, ma come potrei vivere senza fare questo? Come potrei vivere senza evangelizzare, senza annunziare il Vangelo”. Infatti, dice la seconda lettera ai Corinzi, Dio ama chi dona con gioia. Dio ama questo ilare donatore che è colui che da volentieri, colui che da essendo felice di dare. Noi abbiamo un esercito di cristiani con la busta paga in mano che vogliono essere pagati, che vogliono il pagamento dei loro atti cristiani, dei loro atti di fede.
Questo è essere abbastanza ingannati sulla fede. Vivere servendo Dio è il dono. Vivere potendo fare le cose belle che Dio ci dà da fare, ma che altro vogliamo avere? Ma che cosa c’è di più bello di poter servire l’unico che va servito. Di andare la sera a letto pensando:” Ho compiuto la mia missione!” Ma cosa voglio di più io dalla vita. La fede è vivere così. Se io voglio qualcosa da mettere in tasca come conseguenza, una quantità che mi possa dare una certa sicurezza, non ho capito cosa Dio mi dà da fare. Dio deve esserci grato a noi per quello che facciamo? Mah! Poi Lui lo è perché è buono, è generoso, è magnanimo. Ma noi dobbiamo essere, come dire, riscattati da questa mentalità economica per cui tutto deve essere pagato. Per cui tutto deve avere un riscontro. Non siamo entrati nella logica della fede. Dio ha diritto di chiedermi dei servizi? Certo! Certo! Dio ha diritto di chiedermi di compiere una missione? Sicuramente si! Quale sarà la mia ricompensa? Compiere la missione. Le cose che Dio mi chiede, sono regali che mi fa. Le cose che Dio mi chiede di fare sono le sue grazie che mette nella mia vita. Guai a me, se servo qualcun altro. Guai a me, se sto davanti a Dio come chi pretende, noi siamo chiamati ad essere contenti delle cose buone che abbiamo l’occasione di fare. Quella è la nostra ricompensa. La fede? Si esercita lì. La fede, cresce lì. La fede aumenta, se deve aumentare, lì. Nella pratica di quello che è ciò che Dio ci chiama a fare. 

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica.

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1 commento:

Anonimo ha detto...

Chiaro così chiaro che di più non si può … grazie.. vado ad esercitare il servizio di fede che è un dono immenso del Signore..

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