domenica 10 ottobre 2010

Luca 17, 11-19 - Il lebbroso sanato e salvato - Commento al vangelo di don Fabio Rosini

28° domenica del Tempo ordinario - 10 ottobre 2010 –

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Luca 17, 11-19
11 Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. 12 Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, 13 alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». 14 Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. 15 Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; 16 e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17 Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? 18 Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse: 19 «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».
Noi abbiamo in questo vangelo il racconto di dieci lebbrosi che si fermano a distanza e gridano:” Gesù, maestro abbi pietà di noi!” Ecco. Attraverso questa situazione già abbiamo degli elementi. I lebbrosi si fermano a distanza. Certo. Regola del lebbroso era stare lontani dai sani. Il lebbroso era un uomo solo, che doveva allontanare. L’immagine della lebbra è un’immagine esistenziale molto forte, molto profonda. Parla di questa malattia dell’io che non permette all’altro di avvicinarsi. Parla del contagio. Parla di un male che lascia alla larga il prossimo. Infatti questi a distanza chiedono pietà. Gesù dice loro:” Andate a presentarvi ai sacerdoti”. Questi vanno e mentre vanno vengono purificati. Notate bene. Perché dice “Andate a presentarvi ai sacerdoti”?. L’antico rito della purificazione del lebbroso indicava che nel caso di guarigione di un lebbroso, colui che doveva dire “il lebbroso è guarito può essere riammesso nel villaggio” era il sacerdote il quale doveva verificare le piaghe e dichiarare ufficialmente la guarigione. È interessante che Gesù non è che li guarisce e quindi li manda. Li manda e quindi li guarisce. I lebbrosi dovranno partire, avviarsi verso il sacerdote, ma partono da lebbrosi. E qui c’è il segreto di questa guarigione. E' una storia che torna in vari passi della Scrittura. Ce ne è una in particolare, proprio che riguarda un lebbroso. Naaman il siro, che viene guarito dal profeta Eliseo e viene guarito su un atto di semplice obbedienza. Lavarsi sette volte nel Giordano. Questa cosa qui indica un atto stupido, piccolo, infinitesimale che dovrebbe risolvere un grande problema come la lebbra. Ed è proprio nell’obbedienza che risiede la cifra di questa guarigione. Altri casi di obbedienza li abbiamo nell’antico testamento. Però il caso di questo lebbroso il quale è uno straniero che viene guarito. Perché? Perché fa una cosa che a lui sembrava stupida.
Questi signori partono per andare verso i sacerdoti e c’è in questo un piccolo atto di obbiedienza. Fare una cosa illogica. Perché avrebbero dovuto dire: ”Prima guariscimi, poi andrò dal sacerdote!” Loro vanno. Mentre essi andavano furono purificati.
Ma la parte più nobile della storia viene qui.
Uno di loro vedendosi guarito torna indietro lodando Dio a gran voce. Ed ecco che cosa succede? Che si può guarire, ma malgrado questo può non cambiare il nostro cuore. Molta gente si aspetta miracoli nella vita. Ma! Sarà così importante? Cosa serve avere un corpo sano e un cuore malato? Meglio avere magari un corpo malato e un cuore sano. Ho visto persone in un letto di ospedale con un cuore pieno d’amore.
Allora dieci sono sanati, ma uno solo torna a ringraziare. Uno solo torna perché capisce che la cosa ha una portata più grande. Non basta la guarigione qui ci vuole la relazione. Non basta essere stati guariti, questo uomo vuole tornare da Gesù, vuole prostrarsi a Lui. Vuole avvicinarsi e curiosamente questo uomo è un samaritano, uno straniero. “Gli altri dove sono?” dice Gesù. Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio all’infuori di questo straniero? Ecco. È interessante che è lo straniero che torna a ringraziare. Così come nell’antico testamento la storia del lebbroso guarito per eccellenza è quella che abbiamo citato in precedenza, di Naaman il siro, uno straniero che viene guarito e dirà Gesù proprio nella sinagoga a Nazareth “ C’erano molti lebbrosi al tempo di Eliseo eppure nessuno fu guarito se non Naaman il siro”, è uno straniero che ha capito la storia. Perché dieci, appunto, ripetiamo la storia, sono stati sanati, uno solo riceve però una parola un po’ più grande. Infatti dopo che Gesù ha detto: “ non si è trovato nessuno che sia tornato indietro a rendere gloria a Dio al di fuori di questo straniero”, gli dice: ”Alzati e va, la tua fede ti ha salvato! Gli altri sono solo sani. Tu sei salvo!" Dieci sanati, uno salvato.
La salvezza è molto più che la salute. La salvezza che è aver trovato il Signore, aver trovato l’ axis autentico della vita, aver trovato il punto di riferimento e aver trovato la vita che va verso il bene e non va a casaccio, questo dipende dalla gratitudine, dipende dall’aver accolto il vero segno dei benefici ricevuti.
Quanta gente ingrata che c’è in questo mondo. Quanta gente ingrata verso Dio. Quanta gente che non ringrazia. Che non conosce ringraziamento. Chi è che ringrazia? Uno straniero. È tipico. Questo è molto importante. Perché, di fatto, lo straniero è quello che è imbarazzato. È quello che vive tutto come una cosa che non gli spetta perché lui è straniero. Gli israeliti, vedendosi guariti, non hanno da ringraziare, ma un samaritano, si vede guarito da un israelita, che dovrebbe essere un suo antagonista, torna a ringraziarlo perché capisce che è regalo quello che riceve.
Per avere il cuore pieno di gratitudine, bisogna mantenersi stranieri. Bisogna mantenersi persone sorprese da quello che ricevono. Noi abbiamo questa tendenza a banalizzare tutto. A rendere tutto ovvio. A diventare gente così, che tanto tutto è acquisito, tutto è possesso, tutto è proprietà, tutto è già mio. Mi salvi? Certo che mi salvi. Ho diritto. Questa è una cosa che me la prendo, me la metto nella saccoccia e vado avanti. Che mi importa a me? Lo straniero, l’estraneo, quello che è nuovo. Quando arriva una persona nuova in un ambiente è nuova, è attenta, misura le sua parole, i suoi passi, poi, dopo un mese, non si ricorda più niente. Dopo un mese è sciatto, non ci bada più. Mantenersi stranieri, nella vita cristiana, sapere le grazie che riceviamo. Noi diamo per scontato tutto ciò che riceviamo. Tante volte, quando una cosa la perdiamo, capiamo di averla. Solamente quando un arto ci fa male capiamo quanto è bello avere quell’arto. Quando una cosa ci viene sottratta capiamo la grazia di averla. Per questo dobbiamo mantenere un’anima lucida, mantenerci stranieri, mantenerci estranei, mantenerci sorpresi dal fatto che Dio ci dia di fare le cose che facciamo. Sorpresi della parola che ci rivolge, della grazia di poter celebrare questa santa messa di questa domenica. Della grazia di avere la Parola, la fraternità cristiana a tutto quello che ne consegue. Mantenersi stranieri ed imparare che quando uno è avvezzo, uno non vede più niente.
Quando due coniugi si sposano, i primi tempi sono molto attenti l’uno all’altro, poi diventano abitudinari, questa routine, allora iniziano a mancarsi di rispetto, iniziano a non essere più curati l’uno verso l’altro e poi magari poi succede che c’è il rischio di vita dei due coniugi e l’altro si rende conto quanto è bello avere accanto l’altro.
Per questo la nostra vita è precaria. Per questo Dio ci artiglia molto spesso con cose che ci fanno tremare. Ringraziamo Dio che la vita, molto spesso, ci balli sotto i piedi, ringraziamo Dio che le cose non siano mai sicuri. Per mantenerci stranieri, sorpresi e grati di quello che abbiamo. Ringraziamo Dio che niente ci è dato in possesso definitivo, ringraziamo Dio di essere stranieri anche se ce lo dimentichiamo. Stranieri rispetto alla salvezza, stranieri rispetto alla bellezza, alla vita e al paradiso. La vita di un cristiano è la vita di un pellegrino che sa di non stare a casa sua e di andare verso una meta. Se mi dimentico di essere un pellegrino e mi istallo, dimentico la gratitudine, dimentico la bellezza della meta.
Possa il Signore donarci di svegliarci spesso, di essere vigili, molto spesso al riguardo della nostra reale condizione ed accettare quello che è verità. che tutto è grazia, tutto è dono, e noi lo possediamo perché Lui è magnanimo e non perché ce lo meritiamo. 

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica.

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