sabato 6 gennaio 2024

Carlo Carretto: l'entusiasmo di poter essere cristiano. Un'esperienza idealmente condivisa con Terence Hill - 30/12/2023

Si resta a disposizione per l'immediata rimozione del testo dell'intervista, qualora richiesto dagli aventi diritto. 

Cercando in rete qualcosa su Carlo Carretto, ho trovato una video-intervista a Terence Hill. Condivido il pensiero che il noto attore esprime nell'intervista che si può seguire nel video di YouTube che ho riportato più avanti e la cui trascrizione si può leggere in calce.
Carlo Carretto, con i suoi scritti, ha avuto anche per me questa funzione: farmi ritrovare l'entusiasmo di essere cristiano.
E' mia esperienza personale, quella di vivere momenti in cui mi sembra che essere cristiano sia una cosa per la quale, una parte di me, non si sa bene perché, prova una sorta di vergogna. Per dirla in altro modo, è come se essere cristiano, per come lo intende la mia mente, in quei momenti, e per come vedo che lo intendono molte persone nella vita concreta di tutti i giorni, non sia proprio una cosa fica, onorevole, capace di portare effetti positivi nella propria e nell'altrui vita. Sembra, alla mia mente in quei millisecondi però sufficienti a farmene assaporare emotivamente le conseguenze, che una persona cristiana, sia un cretino. E se ti senti un cretino non è che ti senti a posto. Rischi di identificarti con l'immagine che alcuni hanno di un cristiano, ovvero, di una specie di allocco che abbocca agli inganni perpetrati, da secoli, da una chiesa che manipolerebbe le coscienze, che ingannerebbe per ottenere, in realtà, solo potere, denaro, vantaggi umani che poco hanno a che fare con ciò che si attenderebbe da una sincera ricerca spirituale. Un cristiano sarebbe un credulone. Un sempliciotto. Un colpevolmente illuso. Una specie di pirla, mi disse, confidenzialmente, un maestro che tanto ho amato. Un cristiano sarebbe una persona che, peggio, alcune volte, sarebbe addirittura spinto a vivere alla luce di qualcuno o qualcosa che lui stesso non conosce bene o a cui non crede fino in fondo,  con il vantaggio subdolo che facendo ciò non è costretto a mettere in discussione quello su cui avrebbe fondato, anche male e a torto, le scelte della sua vita, seguendo una chiesa che assoggetta le persone per fargli fare quello che vuole. Ecco. Tutto questo, forse inconsciamente, è il conto che la mia mente mi passa quotidianamente, quando meno me lo aspetto, come una tassa da pagare. Per spiegare il senso subdolo e sotto traccia di vergogna e di frustrazione che avverte il mio animo per il suo scegliere di tentare di essere cristiano, potrei suggerire di immaginare che, in quei momenti, mi sembra quasi che io, i soldi per pagare questa tassa giustamente imposta dalla società per l'adesione a questa fede, non li ho, perché, cosa ancor più disdicevole, li ho persi, come Pinocchio, ingannato dal gatto e dalla volpe di turno. Pur scegliendo liberamente di essere cristiano, dicendomi tale, subdolamente, a volte, provo, per questo, un senso di inadeguatezza, vergogna, imbarazzo, proprio per questa mia scelta, di fronte a chi cristiano non lo è e non lo vuole essere. Ma questo mio sentire,  è qualcosa di quasi impercettibile alla mia coscienza, molto nascosto e molto subdolo, poco evidente, perché, contemporaneamente io sono convinto di quanto giusto sia credere.
Come se ne esce da tutta questa complicazione? Da questa impasse? Da questo conflitto? Il fatto vero è che il punto non è questo. Che credere non è giusto, né sbagliato. Non è così. Credere veramente appartiene ad un'altro campo della realtà. Credere è un'esperienza che si fa o non si fa. Credere è un dono che si è ricevuto o non si è ricevuto. Credere è certamente un dono che si può chiedere in ogni momento e che si può  ricevere. E a volte, guardare o ascoltare l'esperienza di chi ha ricevuto il dono di credere e vive alla luce di questo dono, può aiutare tanto a credere. 
Carlo Carretto si riferisce a Dio, per l'appunto, non in termini di giusto o sbagliato, ma in un altro modo e scrive di un Dio che ha incontrato attraverso la lettura e la meditazione della Bibbia che invita a considerare come la storia singola di ogni persona che le si avvicina, come la storia propria anima e di quella di ciascuno di noi. Essa, per lui, è una grande storia d'amore e come tutte le storie d'amore è un continuo succedersi di pagine commoventi di tenerezza o di entusiasmo con pagine di amarezza e di prova perché la gelosia è la compagna dell'amore con il tradimento è l'occasione di perdono (Cfr Carlo Carretto, Ciò che conta è amare, AVE, Roma, 1966, pagina 137). Carlo Carretto non  parla di una conoscenza ideologica di Dio, ma di un rapporto personale da intrecciare con lui attraverso la amichevole frequentazione, oltre il tempo, di un uomo vissuto duemila anni fa, che si descriveva come il volto di sé che Dio  ha voluto mostrare agli uomini. Parla di conoscere Dio accettando fino in fondo di penetrare la logica del vangelo che è inesorabile (Carlo Carretto, Ciò che conta è amare, AVE, Roma 1966, Pag. 9). 
Un  Dio, che, a volte, mi (forse ci) sembra erroneamente di conoscere, ma di cui, in realtà, non  ho sempre coscienza veramente di quello che lui è. Posso dire, per dovere di coscienza, che mi è stato dato di farne esperienza in alcuni momenti della mia vita. Ma io Gesù non lo possiedo, non lo conosco sempre fino in fondo. Per conoscerlo, è necessario frequentarlo, incontrarlo nella preghiera, nella meditazione del Vangelo, nel silenzio, nella vita quotidiana, farlo entrare nelle relazioni che noi intessiamo con le altre persone, nemici e amici, nel nostro lavoro, nelle nostre disperazioni, nelle gite in montagna, nelle serate con gli amici, nelle nostre solitudini, nei momenti di non senso. E incontrarlo, per quel pochissimo che credo di saperne io finora, non ha il sapore di una lezione di catechismo noioso, pedante e moralista come, forse, ci immaginiamo che sia o forse è stata una lezione di catechismo. 
Incontrarlo, per Carlo, come per chi vive una fede autentica, come è stato per un Abramo, un san Pietro, un Francesco di Assisi, un Dante Alighieri, un Galileo Galilei, un Ignazio di Loyola, un Giuseppe Moscati, una Chiara Corbella, un Carlo Acutis, per citare alcune persone su cui sono più informato, è una sfida avvincente. E' incontrare qualcuno con cui si vorrebbe fare nottata a cantare al cielo pieno di stelle,  parlando della nostra vita. Con cui si vorrebbe passare del tempo prezioso, affrontare un viaggio avventuroso alla scoperta del nuovo. Uno per il quale si lascia quello che si ha e si scommette su qualcosa che prima non aveva senso. A cui si vorrebbe citofonare per chiedere un consiglio, un'opinione, per raccontare qualcosa che ci ha entusiasmato, che ci ha fatto piangere o gioire. A cui indirizzare una lettera personale convinti di poter essere compresi fino in fondo. Con il quale si avrebbe voglia di condividere un concerto, una cena, una arrampicata, la visione di un film o  il commento di un libro che ci è piaciuto. Uno che magari potessi avere un quarto d'ora per parlare con lui. Magari. 
Ammetto che, a volte, anche io ho perso e perdo, questo modo di pensare al Dio biblico e a Gesù. E lo ingabbio, li ingabbio, in qualcosa di già visto e conosciuto, di già saputo. Di tremendamente immaginato a misura della mia mente. O, peggio, proietto su di loro immagini personali, o, credo nelle rappresentazioni sbiadite  che di loro fornisce la cultura, evidentemente, non cristiana in cui siamo immersi. 
Carlo Carretto allora è lì, con la sua voce elegante, e mi ricorda che Gesù è novità sempre inedita, sfida sempre attuale e mai superata, ribaltamento dell'ovvio, assoluta e costante novità rigenerante vita e forza interiore. Dall'onesta presa d'atto di questi miei periodi di bassa temperatura della mia supposta, evidentemente mai posseduta fino in fondo e per questo fragile fede, comprendo di essere sempre esistenzialmente in bilico come cristiano, di camminare sempre come un equilibrista esposto ai venti sul crinale sottile teso fra i due versanti: quello del credente e quello del non credente. Capisco che dentro di me vive, in realtà, un ateo non credente che si professa cristiano, ma che cristiano non è. E da tale sente, pensa, agisce. Questo concetto del credente e del non credente che convivono insieme non è mio. Lo prendo in prestito dal cardinale Carlo Maria Martini, il quale, ha sempre convissuto con grandi dubbi di fede senza farlo troppo vedere dato il suo ruolo, come testimoniano alcuni suoi intimi amici. Certamente, il cardinal Martini ha coltivato la speranza della fede che, immagino, lo avrà aiutato ad affrontare tante prove fra cui, ultime, la malattia e la morte. 
La stessa speranza sempre vissuta nella vita che ho visto farsi granitica certezza negli splendenti occhi azzurri e magnetici del mio amatissimo papà nel momento decisivo di accettare, anche lui, di entrare nella porta sempre più stretta della malattia e della morte.
Ho letto sei libri libri di Carlo Carretto circa dieci, quindici anni fa. Li ho amati. Li ho divorati. Tanto li ho ritenuti importanti che in quel periodo, era circa il 2008, convinsi il mio amico Michele di Civitavecchia, professore di lettere, a salire sulla Fiat Panda a metano prestatami da mio padre per risparmiare sul viaggio, e ad accompagnarmi a Spello, al convento di San Girolamo, sulla tomba, appunto, di Carlo. E poi, a vagare per le dolci colline umbre alla ricerca dei casolari dismessi e da lui restaurati in qualche modo ed utilizzati come eremi per i suoi ospiti nei dintorni di Spello. In quell'occasione, abbiamo parlato con le persone che avevano avuto a che fare con fratello Carlo. In un casolare ci offrirono del vino e, dopo una mia sfacciata richiesta, staccarono da un trave antico di legno del soffitto uno dei salami che  pendevano sui nostri nasi rivolti all'in sù e ce ne fecero assaggiare. Mangiare quelle fette di salame è stata un'esperienza tanto indescrivibile quanto concreta proprio come può essere quella di conoscere Dio, quindi di vivere la fede. Siamo andati nel convento della congregazione di Jesus Caritas a cercare Giancarlo Sibilia, che ha vissuto tanti anni con Carlo Carretto. 
E poi è accaduto questo nella mia esperienza. Negli anni successivi, piano piano, quasi in modo impercettibile, ho permesso che l'entusiasmo per i contenuti di questi libri, e in generale per la fede, fosse, in alcuni fasi, in certi periodi, gradualmente seppellito sotto coltri di preoccupazioni, gioie, sbagli, deviazioni varie, pause caffè,  obiettivi professionali, cambi di lavoro, laurea, specializzazione, lavoro in ospedale, relazioni sentimentali giuste e meno giuste, abbagli, inganni, traslochi, malattie, spintoni della vita, periodi frenetici in cui per mesi non ho meditato, non ho fatto silenzio. Formalmente dicevo di essere cristiano e, in effetti, sono rimasto cristiano. Non nego che ci sono state anche tanti cose positive in questi anni, tante cose belle. Però comunque, in alcuni periodi, ho, per così dire, perso l'entusiasmo di essere cristiano, pur difendendo sempre questa scelta di fronte alla mia coscienza e a chi, intorno, me la contestava più o meno chiaramente.
E ho sempre dovuto fronteggiare quel senso di inadeguatezza, che la diversità del vivere la fede o credere di vivere la fede, corportava in una società in cui la maggioranza non crede. 
Pochi giorni fa, il 30 dicembre 2023, ho accettato l'invito a partecipare ad un ritiro spirituale. Il programma prevedeva due giorni ad Assisi con l'associazione Kairòs. Un'associazione di credenti che hanno l'obiettivo di aiutare persone in difficoltà ad aiutarsi a ritrovare il bandolo della matassa della vita in situazioni di crisi. Non avevo voluto sapere nulla su come si sarebbe svolto il ritiro. Desideravo fare silenzio. Sono partito da Roma con il desiderio di ritrovare la certezza di una mèta meritevole, di un parametro affidabile per ricalcolare le priorità della mia vita. Avvertivo e avverto il rischio di perdere tempo prezioso. Il rischio ancora più pressante di disperdere energie in molti progetti diversi anziché convogliarle in un importante scopo, come quando la forza di un torrente si diluisce in mille rivoli e perde la sua efficacia. Avverto pressante sul collo il rischio del fallimento. Di perdere quel poco che ho o credo di aver raggiunto negli anni. A questo clima hanno contribuito tante esperienze, alcune delusioni affettive, professionali. Vorrei scongiurare il rischio di non azzeccare il punto su cui fare perno. E quindi il rischio di sbagliare scelte professionali, affettive, in poche parole, scelte di vita. Scegliendo il ritiro desideravo ritagliarmi in questo contesto, momenti di concentrazione nella preghiera. Non mi illudevo di trovare nel ritiro le soluzioni a tutto, ma ero realisticamente speranzoso che due giorni di questo tipo, mi avrebbero, in qualche modo, aiutato.
Così, casualmente, Dio o chi per lui, tanto per citare un testo di Dalla, senza che io lo immaginassi, mi ha riportato, dopo tanti anni, sulla tomba di fratel Carlo. Con il gruppo con cui sono andato, ci hanno fatto disporre intorno alla sua tomba e i responsabili del ritiro hanno iniziato a parlare di come hanno conosciuto negli anni ottanta Carlo Carretto, vissuto alcuni periodi di ritiro con lui, partecipato alle attività da lui proposte. Del perché lo hanno amato, cosa hanno imparato da lui. Come loro stessi mi hanno confidato, ci hanno voluto fare dono di una tappa importante del loro personale percorso spirituale. Io, della vita di Carlo Carretto, conoscevo quasi tutto. Eppure, stare di nuovo sulla sua tomba, insieme a questo gruppo, ad ascoltare tutte queste cose a me note perlopiù, ha risvegliato in me un interesse che si era oggettivamente indebolito.

2023, 30 dicembre. Intorno alla tomba di Carlo Carretto con il ritiro della Associazione Kairos, con i responsabili dott. Silvestro Paluzzi e dott.ssa Antonella Tropea. 

Rispetto alla mia prima visita, la novità concreta è stata poter visitare il convento di San Girolamo,  proprio adiacente il giardino della tomba, l'ultima casa di Carlo Carretto, se si può dire così. Ovvero il posto da lui scelto per vivere, dopo aver deciso che dieci anni nel deserto del Sahara erano stati sufficienti per incontrare l'Assoluto. Un deserto a cui lo aveva condotto una chiamata molto simile a quella di Abramo e di ogni vero cristiano: uscire dalla propria terra per seguirlo. Terminata quell'esperienza africana, Carlo era, quindi, tornato in Italia e aveva colto l'occasione offerta di vivere a Spello da dove contava, cosa che poi ha realizzato, di poter testimoniare a tante persone quel Dio che, nel deserto, aveva frequentato con più assiduità.
A Spello, con la sua presenza, negli anni successivi, fratel Carlo aveva infatti richiamato l'attenzione di tantissime persone provenienti un pò da tutta Italia. Tantissimi giovani, ma non solo. Organizzando, con sapienza, tante attività, periodi di ritiro, momenti di preghiera e di vita comune, aveva intercettato il desiderio che tante persone nutrivano  di conoscere l'esperienza di vita cristiana che lui proponeva. 
Il convento di San Girolamo si prestava a questo scopo. Esso ha un chiostro con un pozzo. Sul chiostro, si affaccia una sala dove, in questo momento, è stata allestita una mostra su Carlo con pannelli di foto, di frasi, di sintesi di quello che Carlo ha vissuto e comunicato. Alcuni volontari vendono i suoi libri. Io, in questa occasione, ne ho acquistati due.

30 dicembre 2023. Spello. Chiostro del Convento di San Girolamo.

30 dicembre 2023. Spello. Convento di San Girolamo. Sala adibita a mostra sulla vita di Carlo Carretto. 

30 dicembre 2023. Mostra su Carlo Carretto e, in particolare, una sua frase riportata.

Terminati i due giorni di ritiro, io sono tornato a Roma e, nei giorni successivi, ho cercato nella mia libreria i libri di Carlo Carretto e li ho ripresi in mano: ne avevo già sei, prima di questo mio ultimo ritorno a Spello. Leggendo a caso, solo poche righe, dei diversi libri, alcune frasi mi hanno aiutato ad ascoltare di nuovo la voce di un cercatore di Dio che parla con entusiasmo e senza vergogna della sua conoscenza con l'Assoluto che appare come un Dio che ama l'uomo alla follia, che è stato, è e sarà sempre fedele a se stesso e  all'uomo e che è capace di riportare senso e direzione alla vita nei momenti in cui essa non sembra averne. Che è capace di far fiorire la vita di qualsiasi uomo e di vincere il fallimento e quello che di questo fallimento rappresenta una possibile concretissima espressione di non senso: la malattia e la morte. Per Carlo Dio è l'unico appiglio certo che non delude mai. Un Dio che è molto lontano dalla immagine che di lui propone chi erroneamente, sia fuori che dentro la Chiesa, crede di conoscerlo, ma in realtà ancora non ne ha fatto esperienza reale o chi sostiene che Dio non esista. Carlo è uno di quegli uomini che Dio lo ha conosciuto e di questo te ne rendi conto perché ti va di stare accanto a lui mentre ne parla al tuo cuore. Ti andrebbe di ascoltarlo per ore, o di stare accanto a lui anche in totale silenzio, anche solo per guardarlo. 
In questo, consentitemi una digressione, mi ricorda molto mio padre. Anche di lui penso questo. Per me, anche lui, come Carlo, fa parte di queste persone, che hanno ascoltato Dio nella loro vita e sono diventati suoi amici e, per qualche motivo difficile da spiegare, ti attraggono.
Insomma sì, lo stare di nuovo sulla sua tomba di Carlo, mentre chi ci aveva invitato raccontava la sua vita, a distanza di anni dal mio primo recarmi lì, mi ha aiutato a riflettere. Un mio stare, di nuovo, lì, personalmente arricchito di tante nuove esperienze vissute. Esperienze positive e negative, vittorie e sconfitte. Prove superate e scommesse perse. Certamente, tante nuove consapevolezze.
Questo riflettere mi ha portato a pensare a Carlo come ad un uomo che non si è tirato indietro quando si è trattato di ribaltare la sua vita per andare nel deserto dove si sentiva chiamato da quella voce. Ricordo di aver letto, negli anni del mio entusiasmo, che Carlo aveva portato con sé nel deserto la sua agenda dove aveva appuntato i contatti, indirizzi, numeri di telefono, delle persone che allora contavano,  di alcuni noti politici della Democrazia Cristiana, di imprenditori, di uomini di cultura. Contatti personali ottenuti grazie al lavoro e all'impegno di anni investiti, in buona fede, nella attiva partecipazione alla Azione Cattolica, come responsabile a vari livelli. In una notte nel deserto, sotto le stelle, nel fuoco di un falò all'aperto, Carlo compì il definitivo taglio del cordone ombelicale con il precedente modo di vivere la sua vita e bruciò nelle fiamme zampillanti la sua agenda con i contatti dei VIP. E poi visse dieci anni con i tuareg del deserto del Sahara svolgendo il lavoro di meteorologo, lui che, come mio padre ora che ci penso, era laureato in filosofia.
Ho pensato che non ha avuto dubbi nel seguire una voce. Nel fondare la sua vita concreta sulle scelte compiute nella sua dimensione interiore, spirituale, di fede. 
Ho riflettuto su come tutta la sua vita è stata seguire il Signore, la voce di un Dio con cui intesseva un dialogo personale e intimo e  che poi si traduceva in scelte concrete.
Chissà se anche lui ha provato vergogna, senso di inadeguatezza, se anche lui ha avuto la sensazione, in alcuni momenti, di dover pagare la sua tassa alla percezione di sé per aver scelto di essere cristiano in una società di non credenti o di credenti solo per forma, per bisogno di appartenenza.
Una persona che stimo molto, un prete che conosco e di cui scelgo di mantenere l'anonimato, sentendomi parlare negli anni del mio entusiasmo di Carlo Carretto, mi disse qualcosa che non ti aspetteresti. Ovvero che Carlo Carretto, per la posizione assunta nei confronti della votazione sulla legge sull'aborto, sarebbe stato causa di confusione in alcuni cristiani, che, quindi, avrebbero votato a favore della legge, certamente difficilmente compatibile con la visione di chi fonda la sua fede su dieci parole di cui una vieta espressamente di uccidere.
Non lo so. Carlo Carretto, come tutti noi, non è stato certamente perfetto e non so cosa dire in merito. 
Credo però nei frutti della testimonianza della sua vita di cristiano. Una vita cristiana confluita fortunatamente, come in un distillato prezioso, nei suoi scritti che ancora oggi ci danno la possibilità di gustare il profumo di una fede viva, scoppiettate di gioia, splendente di verità cristallina con l'acqua di montagna e solida come il diamante. 
Uno di questi frutti è, certamente, la capacità di ravvivare il fuoco sopito della mia, e credo di poter dire, della nostra, ricerca autentica di Dio. Fuoco che, a volte, si affievolisce sotto la cenere del sentire ateo e anti cristiano che forse ho dentro, e, anche sotto i lapilli vulcanici apparentemente incandescenti scagliati dalla cultura mondana che mi e ci circonda e da cui, io almeno, mi lascio, a volte, inconsapevolmente ipnotizzare ed irretire e quindi, seppellire.
Ben venga allora, il dono della voce profetica e fuori dal coro di Carlo Carretto, voce realmente palpitante di fuoco la quale, a distanza di quaranta anni, ancora trasuda la forza profetica biblica. Ben venga a riaccendere il desiderio di cercare Dio nel nuovo anno. Ben venga l'intuizione, ascoltata nel mio cuore stando seduto con i miei amici intorno alla tomba di Carlo, di dare il peso che meritano, quindi nullo, alle voci, interiori o esteriori, ciniche, dissuasive, critiche dei sapientoni atei e ostili alla chiesa, nella sua migliore accezione. Sapientoni che credono a torto di conoscere Dio, senza averne mai sentito la voce intorno al fuoco scoppiettante di una notte sotto un cielo stellato nel deserto del Sahara dopo aver lasciato ciò che è superfluo come, invece, Carlo ha fatto.

Alla fine di questo forse troppo lungo scritto, vi lascio lo stralcio della trascrizione di questa intervista a Terence Hill del 6 dicembre 2018 e il link al video.

Mia moglie dice: - leggi un può questo libro -, che lei conosceva. (Si tratta di Carlo Carretto, Lettere dal deserto. Nota del trascrittore). E in America era molto apprezzato. Molti lo conoscevano. Ce ne sono una ventina di libri suoi che qui neanche puoi trovare. Io mi sono subito entusiasmato al modo suo di vedere il rapporto che c'è con il mistero. E' un rapporto semplicissimo. Le parole sono semplici. Dirette. Non c'è tutta quella costruzione intorno, pesante, che la Chiesa Cattolica, fino ad allora, aveva. Direi che a me mi ha dato l'entusiasmo di poter essere un cristiano. Perché nell'epoca degli anni settanta, quando ero ancora ragazzo, questa cosa, magari, non era tanto bene accettata. Che se tu avevi delle cose dentro, era meglio che non le dicevi se no, passavi un pò per stupidello.  Ecco, questo dicevo. Praticamente, secondo me, lui ha anticipato un pò il linguaggio di Papa Francesco. 



Fonte sitografica: https://www.famigliacristiana.it/video/terence-hill-lentusiasmo-di-poter-essere-un-cristiano.aspx 

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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Che dire? Ho trovato questo tuo articolo BELLISSIMO! Non conoscevo Carlo Carretto; lo ho conosciuto in quel ritiro Kairôs. Il tuo modo di parlare e la testimonianza degli organizzatori del ritiro mi hanno fatto innamorare di questo uomo di Fede adulta. Non solo, quello che me ha colpito di più è il modo in cui parli di te, di quello che hai, e tutt’oggi, vissuto, sentito, pensato, visto, e che in tantissimi cose mi rivedo io. Ti ringrazio per tutto quello che hai condiviso della tua vita, ne faccio tesoro! Sono sicura Dio provvede sempre a noi nell’incontrare persone che come te ci permettono Vedere Dio nella nostra vita Oggi, nel ‘Qui ed ora’ grazie di cuore carissimo Andrea. Con affetto, Mildred

Anonimo ha detto...

Grazie per questa risonanza condivisa da te su Carlo Carretto. Mi ritrovo in pieno in ciò che scrivi. Il carisma da lui esercitato, attraverso le letture e le audiocassette con le sue riflessioni che mi accompagnarono a lungo da giovane, dipendeva dall'autenticita che ci avvertivo dentro. Spesso ora da "grande" mi smarrisco e vago "nelle tenebre e nell'ombra della morte"..Mi ha fatto bene ritornare al suo ricordo grazie al tuo blog stasera.

IL CAMMINO DELL'UOMO

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Marcia francescana 25 luglio - 4 agosto 2003