domenica 15 settembre 2019

Luca 15, 1-31 - Nel peccato non c'è proprio niente di divertente - Commento di don Fabio Rosini


Il testo risulta dalla trascrizione del file audio di Radiovaticana reperibile al link: audio del commento al Vangelo . Si resta a disposizione degli aventi diritto per l'immediata rimozione del testo. I neretti sono stati aggiunti al testo solamente con lo scopo di paragrafare il testo e non fanno parte del discorso originale.

"In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione. Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Luca 15, 1-32


Tre parabole - 
In questa 24° domenica del tempo ordinario, noi abbiamo occasione di riascoltare la meravigliosa parabola del padre misericordioso o del figliol prodigo e del fratello maggiore con le sue mormorazioni. Abbiamo occasione di ascoltarla per bene, ovverosia tutto il capitolo viene proclamato dalla liturgia e quindi dobbiamo tener presente che questa non è una parabola isolata, come molto spesso ci può capitare di intendere. No. E' la terza di una serie di tre che scaturiscono da una situazione ben precisa.  Tutto comincia dal primo versetto del capitolo in cui si descrive questa situazione: "...si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola" e comincia con la prima parabola. La prima che è quella della pecora perduta. Verrà la seconda che è quella moneta perduta. E verrà anche la terza che quella del figlio perduto. E tutti e tre vengono ritrovati.

Gli scribi e i farisei incarnati nel figlio maggiore - 
Ma chi sono i destinatari di queste tre parabole? Gli scribi e i farisei che hanno mormorato: " Costui accoglie i pubblicani e i peccatori e mangia con loro". Ecco. Gesù darà voce a questi scribi e farisei nelle parole del fratello maggiore del figliol prodigo. Proprio lui che arriva in ultimo in fondo li incarna.

L'idea di cosa sia veramente il peccato -
Ma che cosa è questa gragnole di parabole meravigliose? E' una teologia molto profonda di che cosa è esattamente il peccato. Noi abbiamo un idea di peccato che decide molto della nostra vita. Se andiamo a vedere, tutto il problema della storia della salvezza viene innescato da un dialogo che è quello di Genesi 3 fra il serpente e la donna che verte su che cosa sia un peccato. Il serpente dice che è una cosa bella ma vietata. Gradevole, ma proibita. Illuminantissima, ma preclusa. L'albero che è buono da mangiare, bello da vedere, gradevole per acquisire sapienza e però non si può prendere perché Dio te lo vieta.
Così introduce una visione frustrante della logica del peccato che è fondamentalmente una visione di Dio come qualcuno che governa l'uomo vietandogli le cose, limitandolo, frustrandolo per l'appunto.

La rabbia del fratello maggiore - 
La rabbia del fratello maggiore che viene espressa quando lui torna dal lavoro nei campi e sente la musica e le danze è espressa nella parole che lui dice al padre: " Io ti servo da tanti anni, non ho mai disobbedito ad un tuo comando e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso". Tutto questo trasuda rabbia e a ben vedere invidia.

Un figlio che ragiona da servo e non da figlio - 
La realtà è che lui sta a casa del padre e lavora duramente e non si diverte e aspetta di essere riconosciuto e ragiona esattamente come gli altri servi. Non ragiona da figlio. Non ha una mentalità figliale. Sta a casa sua, ma come uno schiavo e pensa male del padre.

Come ragiona il padre -
Il padre infatti sorpreso gli dirà: " Figlio tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo". Ma perché ragioni da estraneo? Perché non ragioni secondo quella comunione che è la nostra realtà, che è la nostra condizione? Ma soprattutto dice: bisognava far festa perché questo tuo fratello non è stato a divertirsi, non è stato a godersela. E' morto. Era perduto. Ecco questa frase: " Era morto ed è ritornato in vita. Era perduto ed è stato ritrovato" viene due volte in un testo che diciamo così ha la sua economia e quindi è molto importante. E' martellante la presenza di questa frase, alla fine della prima e della seconda parte del testo. Ecco. Cosa vuol dire?

Il peccato è morte, fallimento, privazione, smarrimento di se stessi - 
Ripetiamo. Cosa è il peccato? E' godersela? Divertirsi? Passare la vita in maniera bella e poi avere solo buoni risultati? Il peccato è morte. Il peccato è fallimento. Il peccato è privazione, è smarrimento di se stessi.

Il figlio minore capisce finalmente come ragiona il padre - 
E' curioso ma il figliol prodigo è colui che finalmente capisce il padre. E' quello che finalmente scopre che il padre è buono. Scopre che il peccato è un inganno. E' il sapiente. La prima lettura infatti fa riferimento alla storia del vitello d'oro come una storia che diventa una storia di perdono. E' la storia di un cambiamento di mentalità. Ovverosia pensare che Dio stia lì con il bilancino a misurarci e se sbagliamo in realtà sarebbe piacevole però non possiamo farlo perché Dio ci sta controllando e iniziare invece a capire che Dio è nostro Padre e che rompere la comunione con lui vuol dire svilirsi, svuotarsi, perdersi.

La gioia del padre è la luce per capire tutto - 
Ecco. E' curioso, ma se noi accettiamo quel che questo testo dice esplicitamente e parla della gioia del ritrovamento, ritrovare la pecora perduta, ritrovare la moneta perduta, ritrovare il figlio perduto. E' interessante, ma noi capiamo che la gioia del Padre è la verità, è la luce per capire tutto.


Il figlio maggiore ragiona con il pensiero del serpente a differenza del fratello minore -
Noi dobbiamo capire chi è fuori da quella gioia: proprio questo fratello maggiore è l'uomo che non entra nella gioia del Padre. E' l'uomo che non si rallegra. E' interessante che nella prima parabola il pastore chiama i suoi amici. Nella seconda parabola la donna chiama le sue amiche. Nella terza parabola c'è festa per tutta la casa del padrone. E quello che ne consegue è che la mentalità del serpente, quella per cui il peccato è in realtà una cosa bella, ma vietata, ma dove lascia traccia? Nel fratello minore? No, perché la abbandona quella mentalità. Lui entra in questo inganno e arrivato al fondo della distruzione capisce che la casa del padre è un posto bellissimo. Invece è il fratello maggiore quello che resta con il pensiero del serpente. Cioè resta con una mentalità che curiosamente lui che sta nella casa è quello che pensa la cosa più sbagliata. Il fratello minore ha vissuto una storia che lo porta alla verità. Il fratello maggiore no.


Si può stare nella cosa del padre con una mentalità da schiavo - 
E' interessante si può stare ad un passo della salvezza con la testa della perdizione. Si può stare dentro la casa del padre con la testa da schiavi, con un cuore che non è stato per nulla liberato.

Quando Luca scrive il vangelo gli scribi e i farisei erano ormai una realtà distante - 
Dobbiamo considerare che quando Luca scrive il vangelo e lo scrive per Teofilo come dice nell'apertura del vangelo, scribi e farisei sono ormai una memoria distante, ormai da anni. Gerusalemme è stata distrutta e Teofilo non ha a che fare con questo mondo. Allora questi personaggi non sono del passato. Sono del presente. Questo è un testo per quegli scribi e farisei che siamo noi. Perché nel nostro cuore resta questa idea: stiamo nella casa del padre, ma sarebbe bello peccare. Stiamo nella casa del padre, ma sarebbe bello divertirsela, godersela e fare soldi e cose di questo genere.

Il nostro rischio: non scoprire il Padre e non fare il salto nella grazia - 
Ecco il rischio che abbiamo è di non scoprire il padre. E' di restare sempre degli estranei. E' di non fare il salto nella grazia perché in fondo coltiviamo un pensiero un pò vittimismo quale è quello del fratello maggiore per cui ci sembra che servire Dio sia pesante, sia una schiavitù.

Servire Dio è fare le cose più belle che si possono fare su questa terra - 
Servire Dio è regnare come dice il Concilio Vaticano II. Servire Dio è fare le cose più belle che si possono fare su questa terra. Ecco celebriamo questa domenica chiedendo a Dio lo Spirito Santo che ci faccia fare questo salto in forza proprio delle nostre debolezze, in forza dei nostri errori, in forza dei nostri peccati, il salto nella sapienza, nella misericordia del Padre. Riconoscere, ammettere che nel peccato non c'è proprio niente di divertente. 

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