domenica 22 settembre 2019

Dante Alighieri - Inferno - Canto II - (Su vera e falsa umiltà).

Si resta a disposizione per la rimozione immediata del testo qualora chiesto dagli aventi diritto. Testo tratto dal libro: F. NEMBRINI,  Dante Alighieri, Inferno, Mondadori, Milano 2018, 112-113.
I neretti  e  le sottolineature sono state aggiunte al testo per paragrafare gli argomenti e facilitare la lettura.

Vera e falsa umiltà

"Ma io perché venirvi? o chi'l concede?
Io non Enea, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri 'l crede."

La falsa umiltà - 
Eccola la falsa umiltà: chi sono io per un'impresa tanto grande? Non ne sono degno. Quante volte noi, pure presuntuosi come Dante, quando davvero la scelta si fa difficile, quando davvero dobbiamo rischiare, ci nascondiamo dietro un "no, non sono capace, non è per me"...

Di fronte alle responsabilità: di-vertere o cum-vertere - 
Certo, anche davanti all'attrattiva che la vita offre si può avere paure; perché il nuovo, l'ignoto, l'"altro viaggio" incutono timore. E' più facile pensare ad altro, è più facile divertirsi. Perché divertirsi - dal latino di-vertere - vuol dire cambiare direzione, spostare lo sguardo, guardare da un'altra parte. Che è il contrario di convertirsi, cum-vertere: concentrare fissare lo sguardo su ciò che conta. E' più facile divertirsi che convertirsi. E la scusa che prendiamo è: " Io non ce la farò mai", e accusiamo le circostanze di rendere impossibile la responsabilità. Invece è vero il contrario: le circostanze chiamano alla responsabilità, sollecitano alla responsabilità.

Contrabbandare la vigliaccheria per umiltà - 
Spesso contrabbandiamo questa vigliaccheria per umiltà, ma son due cose diversissime. La viltà è per così dire la versione debole dell'orgoglio luciferino, quella che fa dire: "Con me non ce la può fare neanche Dio. Sono debole, sono un poveretto; ma la mia debolezza è più forte della forza di Dio, e quindi in un certo senso è più grande perfino di Lui". Questa non è umiltà.

La vera umiltà: una grande stima per già che Dio fa attraverso di noi - 
L'inno più bello che conosco sull'umiltà invece dice più o meno così: " In me sono state fatte cose che nessuno al mondo saprebbe fare, così incredibili che la storia dovrà sempre parlare di me, non mi potrà mai dimenticare". Probabilmente non sembra molto umile questo ragionamento! Eppure sto parafrasando il Magnificat, l'inno che la Madonna pronuncia davanti ad Elisabetta: "L'anima mia magnifica il Signore [...] D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata [...] Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente" (Luca 1, 47-49).

Questa è la virtù dell'umiltà. Non è denigrarsi, sminuirsi: all'opposto, è una grande stima per ciò che Dio fa attraverso di noi. Un pò come diceva un parroco di vecchio stampo, che spesso citava il brano della Bibbia in cui Sansone disarmato davanti ai Filistei si guarda in giro, trova una mascella d'asino e armato di quest'osso sbaraglia l'esercito nemico ( cfr Gdc 15, 14-16), e concludeva: "Se Dio ha fatto miracoli con una mascella d'asino, che cosa farà con un asino intero come me". Questa è l'umiltà vero: chiedersi che cose grandi può fare Dio attraverso questo niente che io sono. Invece quella di Dante è vigliaccheria travestita da umiltà.

Virgilio non si fa ingannare da Dante e gli dice che è un vigliacco - 
Ma Virgilio non si lascia ingannare e lo smaschera immediatamente: " S'i ho be la parola tua intesa",/[...]"L'anima tua è da voltare offesa...." ( vv 43-45). Senza giri di parole: sei un vigliacco. E per Dante, uomo tutt'altro che umile, confessare pubblicamente la propria viltà non dev'essere stato facile. Ma era un uomo leale, e sebbene gli bruciasse non ha esitato a mettere sulla carte anche la propria debolezza.

Allora per liberare il cuore di Dante dalla vigliaccheria, Virgilio gli racconta come sia arrivato fin lì: è stato mandato da Beatrice, la quale a sua volta è stata messa in moto da santa Lucia, che a sua volta è stata avvertita nientemeno che dalla Madonna stessa. 

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