lunedì 23 gennaio 2023

Enrico Scifoni - Omelia del funerale - 23 gennaio 2023

In data 23 gennaio 2023 si sono celebrati i funerali del carissimo Enrico Scifoni nella chiesa Nostra Signora del Santissimo Sacramento e dei Santi Martiri Canadesi. Abbiamo trascritto l'omelia. 

I titoletti in grigio sono stati aggiunti arbitrariamente durante la trascrizione per facilitare la lettura, ma non fanno parte dell'omelia. Si resta a disposizione per rimuovere prontamente il testo se richiesto.

2023, 23 gennaio - Roma Chiesa Nostra Signora del Santissimo Sacramento e dei  Martiri Canadesi. Funerali di Enrico Scifoni

 Giovanni 3, 1-15

1C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei.2Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». 3Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio». 4Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 5Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. 7Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. 8Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito». 9Replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?».10Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? 11In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. 12Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? 13Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorchè il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo.14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo,15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».


Omelia

Chiunque vive in Lui ha la vita eterna - 

La chiave di tutto quello che stiamo celebrando è questa frase finale del brano del vangelo che abbiamo proclamato. “Chiunque vive in Lui ha la vita eterna”. Ha. E’ un presente. Il futuro è “avrà”. Quindi chiunque crede in Gesù Cristo ascoltando la sua parola “è” in questa nuova nascita dall’alto, dall’acqua e dallo Spirito. Per cui noi siamo coloro che portano nel mondo questa vita eterna.

Il cero pasquale acceso - 

La seconda chiave di quello che stiamo celebrando è il cero pasquale acceso. Perché quel cero pasquale significa il senso profondo della nostra vita. Che cosa è la vita? E’ un consumarsi per gli altri. Che cosa è la vita? E’ avere una relazione di amore con Dio e con gli altri. Ecco perché l’uomo oggi vive nell’ombra della morte. Perché si chiude in se stesso, si chiude nel suo egoismo. Non guarda all’altro. Questo suo non guardare all’altro semina nel mondo violenza e morte. E noi siamo testimoni di questo in questa nostra generazione. Quel cero ci annunzia la chiave della vita. Non può darci luce se non si consuma. Ecco perché il sacramento del consumarsi del nostro corpo biologico è segno di questa vita che viene dall’alto e che già abbiamo a causa del nostro battesimo.

Quelli che hanno attraversato la tribolazione, la grande -

L’Apocalisse ci ha detto una cosa fondamentale. “Quelli che sono passati dalla grande tribolazione”. Una traduzione un po' povera, perché ci fa capire che tutte le tribolazioni sono questa grande tribolazione. Che Enrico abbia avuto questa fine stupenda meravigliosa, festosa… Io l’ho sentito quasi negli ultimi tempi della sua vita e mi ha dato questa testimonianza di questa gioia pasquale.

La traduzione di questo [passo] è: “Quelli che sono passati attraverso la tribolazione, la grande!” e questa tribolazione, la grande, è la morte di Gesù Cristo che esprime la relazione stupenda meravigliosa, grandissima, che il Signore ha voluto stabilire con noi. Ecco perché ha preso il nostro corpo e prendere il nostro corpo significa poterci avvicinare, poterci abbracciare, poterci benedire, poterci toccare. Poter con queste realtà umane avere una relazione con noi, [una relazione] intima con noi.

Non essere uno dall’esterno che ti dà le leggi e che tu devi osservare, come abbiamo sempre interpretato la nostra vita religiosa. No. 

Ma è colui che venendo in te, ti suggerisce veramente e ti dà questa nascita dall’alto e tu puoi veramente gioire nelle tue sofferenze.

Enrico è già nella pienezza della vita - 

Ecco perché questo non è un funerale. E’ una festa.

Manuele permettimi. Non per “accompagnare papà in cielo”. Emanuele hai sentito? Perché il cielo “è” dentro Enrico! “Chi ascolta la mia parola e la custodisce” dice Gesù Cristo, “il Padre e io verremo e porremo la dimora in lui”. Se il paradiso è la dimora di Dio, Enrico è stato dimora di Dio. E’ dimora di Dio.

Ma Enrico non è nelle sue spoglie mortali. Noi onoriamo le sue spoglie mortali. Attraverso dei segni daremo anche il senso della profondità di questa liturgia che stiamo eseguendo. Ma Enrico è già nella pienezza della vita. Perché Gesù Cristo è venuto per darci la vita in pienezza. Questa vita in pienezza che Enrico ha già sperimentato. Dentro di sé. Come dicevano i figli, negli ultimi tempi della sua vita, specialmente negli ultimi mesi, non poteva esprimere questa fede, questa gioia, questa curiosità, senza avere in sé questa certezza della vita che lui già viveva.

La morte genera e manifesta la vita vera - 

Una terza chiave di questa liturgia che stiamo celebrando è quello che ci ha detto sempre l’Apocalisse. “Come Mosé innalzò il serpente nel deserto così deve essere innalzato il figlio dell’uomo”. Cioè? Morendo. Come canta il canto “Morendo distrusse la morte”. La morte non è la fine della vita, ma l’apertura alla vita vera. Perché la morte genera e manifesta la vita vera. Morendo distrusse la morte. E questa è la nostra certezza. Ecco perché non celebriamo un funerale, celebriamo la vittoria sulla morte. E come si manifesta questa vittoria sulla morte? Credendo nella parola. E che cosa è questa sua parola? Dio che viene a te e ti dice: “Io ti amo. Sei la mia vita”. Dio che dice all’uomo sei la mia vita? Certo, perché questo è il segno dell’amore. Ogni innamorato dice alla fidanzata: “Tu sei la mia vita”. E’ questo il grido che sorge da queste spoglie mortali. Da questa morte verso tutti noi camminiamo, la morte biologica per dire al Signore: “Tu sei la mia vita”. Perché lo abbiamo sentito questo grido di Dio in noi. Tu sei la mia vita.

La vita viene generata dalla morte -

E allora fratelli miei di che cosa dobbiamo aver paura? Come dice Paolo con forza, “Chi ci separerà da questo amore di Dio manifestato in Cristo Gesù”. Come manifestato? Attraverso questa sua parola. Chi ama dà la vita. E la vita viene generata dalla morte. Ecco perché nessuno di noi deve scappare dalla morte. Chi ha capito che questa morte non è andare in cielo. Questa morte è vivere il cielo, anche nelle tenebre di questo mondo. Non so se riesco a farvi capire questo.

Noi vediamo sempre la morte come una rovina. No! E’ una benedizione. La morte è una beatitudine ed Enrico ce l’ha mostrato questo.

La vita in Enrico non è finita -

Io vorrei portarvi tutti ad una gioia enorme.

Si piangete pure, ma lacrime di gioia. Perché? Perché la vita in Enrico non è finita, ma si è arricchito di un incontro. Dell’incontro con colui che ha desiderato vedere e che non poteva vedere con questi occhi di carne. Ma che ha visto con la sua fede, che ha incontrato con la sua fede. Enrico ha incontrato Cristo con la sua fede.

Un ricordo personale: Enrico ha incontrato Gesù Cristo -

Permettetemi un ricordo personale. Eravamo nei primi anni del Cammino [Neocatecumenale. Nds] Enrico viveva ancora in Via Corbusieri. E rimasi strabiliato quando mi raccontò che un povero per strada gli chiese l’elemosina. E Enrico gli chiese: “Ma a cosa ti serve questa elemosina?”- “Per magiare”- “Ah per mangiare? Vieni, vieni, vieni”. Se lo portò a casa. Lo fece lavare. Gli diede un vestito nuovo e se lo mise a tavola con lui. Ha incontrato Gesù Cristo Enrico. 

Anche noi possiamo incontrare Gesù Cristo se non ci chiudiamo in noi stessi-

Come anche noi possiamo incontrare Gesù Cristo. Sapete quale è il problema noi abbiamo, come dire, distruttivo della nostra vita? Abbiamo un solo problema che ci chiudiamo in noi stessi . E chiudersi in se stessi non significa incontrare l’altro. E non incontrare l’altronon significa arrivare alla pienezza della gioia. Perché incontrare l’altro significa che tu esci da te stesso, uscire dal tuo egoismo, che tu guardi l’altro come fondamentale nella tua vita. Ecco perché c’è l’Incarnazione. Ecco perché Gesù Cristo si è incarnato. Per incontrarci in una maniera che noi potessimo capire. E ci ha lasciato nel cuore questa maniera di incontrarlo. Perché potessimo vivere veramente questa comunione con Cristo. 

Percorrere la nostra vita con la consolazione, una vita in pienezza -

L’ultima parola, l’ultima chiave di questa celebrazione liturgica, come ha detto sua figlia, la consolazione di Paolo. Che significa consolazione. Se noi andiamo all’origine della parola è essere arrivato a ciò che tu hai desiderato. Ma attenzione. Essere arrivato a ciò che tu hai desiderato nella pienezza. C’è una bellissima espressione napoletana, permettetemi. Dopo un bel pranzo si dice: “Ah, mi sono consolato”. Non lo dico in napoletano, perché qualcuno potrebbe non capire il napoletano.

La consolazione è questa: percorrere il nostro cammino esistenziale dicendo: “Ah, che meraviglia!”. Nelle sofferenze, come nella gioia. Nel peccato come nella grazia. Nei limiti delle conversazioni, come in una comunione profonda con tutti quelli che amiamo. Io fratelli vi annunzio questa consolazione piena di Gesù Cristo. Perché colui che è venuto per darci la vita è venuto per darcela in pienezza.

Cosa è la vita eterna? Una crescita continua nella pienezza-

Allora di fronte a queste spoglie mortali di Enrico sulle quali faremo ancora dei segni stupendi di vita eterna… vita eterna. 

Vita eterna non significa una vita che non finisce. Questa crea disagio: “Quale stanchezza, mamma mia e che faremo nella vita eterna?” Vita eterna significa questa crescita continua, questa perfezione che va sempre più approfondendosi verso la conoscenza di Dio. Guardate che Dio è l’eternità. Questo non si concluderà. Non si può concludere perché passeremo di festa in festa, di gioia in gioia, di amore in pienezza di amore. 

Perché stiamo di fronte alle spoglie mortali di Enrico? Ricordarci che la nostra vita non è quaggiù- 

Ecco perché stiamo di fronte a queste spoglie mortali. Per ricordarci che la nostra vita non è quaggiù e se non moriamo non possiamo vivere in pienezza perché siamo limitati. Dal freddo, dal caldo, da tutte le crisi che noi abbiamo. Gesù Cristo nel vangelo dice che se il chicco di grano non muore, non porta frutto, non diventa spiga.

Seppellendo le spoglie mortali di Enrico, noi seppelliamo un chicco di grano che diventerà spiga, che diventerà comunione, che diventerà universalità.

Il regno di Dio è questo: vivere tutti insieme nella pienezza dell’amore di Dio.


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