domenica 26 settembre 2010

Luca 16, 19-31 Il ricco Epulone - Commento al vangelo di don Fabio Rosini

26° domenica del Tempo ordinario - 26 settembre 2010

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Luca 16, 19-31

19C 'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. 20Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. 25Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. 27E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. 29Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. 30E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. 31Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».
Il brano presenta la parabola del povero Lazzaro e del ricco, così detto Epulone, secondo la tradizione. Noi dobbiamo capire, attraverso questa parabola, che cosa c’è di noi, cosa arriva a noi, perché sembrerebbe, la storia di un uomo ricco che indossa vesti di porpora e di lino finissimo e ogni giorno banchetta lautamente e un povero che sta alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco, ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Bisogna capire questa cosa dei cani che è il fatto che vengono a leccare, per gli animali il fatto di leccare è la cura, per cui i cani avevano cura di Lazzaro, le sue piaghe erano leccate dai cani, vuol dire che gli animali si rendevano conto di come stava questo poveraccio, ma il ricco no. Il ricco non lo vedeva. Notare che Lazzaro, il povero Lazzaro, sta alla sua porta. Il ricco muore dopo che è morto il povero. Il povero, Lazzaro, va nel seno di Abramo. Il ricco va negli inferi, tra i tormenti. E chiede, è interessante, di mandare Lazzaro ad intingere nell’acqua la punta del dito per bagnargli la lingua. E’ interessante che lui comunque pensa a Lazzaro come un subalterno. Lazzaro lo deve servire. Lazzaro è uno che non conta niente. Continua la mentalità di questo che è uno che pure all’inferno è convinto che Lazzaro gli deve fare un servizio. Qui abbiamo l’immagine di un esito agghiacciante, di un esito serissimo, di una separazione fra le cose molto molto grave.
Nella tua vita, caro figliuolo, tu hai avuto i tuoi beni e Lazzaro i suoi mali, ma ora in questo mondo lui è consolato tu in mezzo ai tormenti, ma fra lui e voi è fissato un grande abisso. C’è un grande abisso. Questo è molto serio. E’ imbarazzante. Certo c’è un grande abisso tra l’inferno e il paradiso. Fra la luce e la tenebra c’è un grande abisso. Ci sono esiti diversi alle vite. Ci sono esiti drammaticamente, inappellabilmente diversi. Questo ci fa un po’ angoscia, ma questa angoscia è santa, ci serve, capire che non è che noi viviamo e tutto quello che viviamo è niente. No. Quello che viviamo è serio. Già in questa vita esistono questi abissi, ma in questa vita si può rimediare, ed è molto importante che lo ricordiamo. Però c’è una differenza molto grande fra fare il bene e fare il male. C’è una differenza molto grande fra chi si occupa del prossimo e chi non se ne occupa, fra chi si apre al regno dei cieli e chi non si apre. Questa differenza c’è, è inutile che dicano che tutto è uguale in questo mondo relativista, in questo mondo che appiattisce tutte le scelte come scelte identiche. No. Non sono identiche e non è lo stesso. C’è gente che soffre tanto, tantissimo e c’è gente che sta bene. C’è tanta gente che vive una vita bella. Ci sono tante famiglie che vivono una vita serena, luminosa, sana. Non siamo tutti destinati allo stesso. Nel senso che le nostre scelte sono scelte serie. Bene. Questo abisso è drammatico. E il riccone ancora continua ad insistere, visto che non può essere lui alleviato nel suo dolore, chiede che i suoi fratelli almeno si salvino, la sua famiglia, il suo casato. Qui è una questione di interesse di casa, che Lazzaro, comunque pensato sempre al suo servizio, vada ad avvertire uno, vada a dire che qui si sta male. Ecco. Cosa tiriamo fuori dall’amara risposta di Abramo? Che dice “hanno con sé i profeti, che ascoltino loro!” Ma se uno dei morti arriva? Ma guarda che anche se uno arriva dai morti, se uno non le vuole sentire certe cose, se uno non le vuole accogliere, certe cose, non le accoglie.
Avere con sé i profeti. Di che cosa di parla? È il popolo ebraico. Hanno già a disposizione strumenti per salvarsi. Hanno già a disposizione delle strade, dei modi. E qui piano piano siamo messi sulle tracce di qualche cosa che dobbiamo evincere da questa parabola. Questo uomo, questo riccone ha avuto la sua occasione. Ha avuto la possibilità di salvarsi, ma la sorpresa è questa. Piano piano capiamo. Questo pezzente, cencioso, puzzolente che era alla sua porta che lui non guardava nemmeno, che neanche le briciole della sua tavola gli pervenivano, questo orribile inguardabile coso che era lì alla porta di casa sua era la sua porta per i paradiso. Lazzaro era la salvezza del riccone. Lazzaro era l’occasione che il ricco aveva per entrare nel Regno dei Cieli. Noi dobbiamo tener da conto l’ineluttabile differenza fra l’esito del bene e l’esito del male. L’ineluttabile abisso che c’è fra le cose che portano alla vita e le cose che portano alla morte e capire quale è la via della vita. I fratelli hanno una legge e i profeti, hanno Mosè da ascoltare. Questo uomo aveva Lazzaro alla porta da poter servire.
Una cosa che dobbiamo evincere è che tutti noi oggi abbiamo delle porte per il regno dei cieli. Probabilmente le stiamo sottovalutando. E’ possibile che non stiamo entrando per le soglie che Dio ci spalanca che sono atti d’amore, che sono intorno a noi. Che sono gli strumenti della Parola di Dio, i sacramenti, della vita della Chiesa. Non è impossibile salvarsi, non è difficile salvarsi, stà lì alla nostra porta. Abbiamo Mosè e i profeti, abbiamo occasioni per entrare nel regno dei cieli. Questa parabola viene perché noi prendiamo in mano la nostra vita e scopriamo che tutto quello che abbiamo intorno può essere una porta per la grazia, può essere la soglia del Paradiso. E pensare, forse di fronte ai fatti che presentemente stiamo rifiutando della nostra esistenza, quelle cose che no guardiamo perché sono sporche, sono cenciose, sono antipatiche, sono invece, una grazia, sono invece un’occasione per fidarci di Dio, per rispondere al suo amore, per rispondere alla vita, secondo la sua alta vocazione di essere una chiamata all’amore.

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica.

sabato 25 settembre 2010

Franco Battiato - Ti vengo a cercare

E ti vengo a cercare
anche solo per vederti o parlare
perché ho bisogno della tua presenza
per capire meglio la mia essenza.
Questo sentimento popolare
nasce da meccaniche divine
un rapimento mistico e sensuale
mi imprigiona a te.
Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri
non accontentarmi di piccole gioie quotidiane
fare come un eremita
che rinuncia a sé.
E ti vengo a cercare
con la scusa di doverti parlare
perché mi piace ciò che pensi e che dici
perché in te vedo le mie radici.
Questo secolo oramai alla fine
saturo di parassiti senza dignità
mi spinge solo ad essere migliore
con più volontà.
Emanciparmi dall'incubo delle passioni
cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male
essere un'immagine divina
di questa realtà.
E ti vengo a cercare
perché sto bene con te
perché ho bisogno della tua presenza

Franco Battiato

domenica 19 settembre 2010

Luca 16, 1-13 - L'amministratore disonesto - Commento al vangelo di don Fabio Rosini

25° domenica del Tempo Ordinario - 18 settembre 2010

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Luca 16, 1-13 L'amministratore disonesto
1 Diceva anche ai discepoli: «C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2 Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. 3 L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. 4 So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. 5 Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: 6 Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. 7 Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. 8 Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9 Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. 10 Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto.11 Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? 12 E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? 13 Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona».
Questo brano presenta una parabola controversissima, ed è molto difficile capire di primo acchitto, quello a cui serve questa parabola. E' la parabola dell'amministratore disonesto, il quale, viene chiamato in causa per render conto della sua amministrazione, e allora falsifica i dati dei debiti dei debitori del suo padrone e così ottiene di salvare la pelle. Sembra un assurdo, che questa parabola venga usata. In realtà dobbiamo dire che è proprio qui che viene detta questa frase un pò enigmatica di Gesù Cristo, al termine di questa storia sorprendente: " ...i figli di questo mondo infatti, verso i loro pari, sono più scaltri dei figli della luce..". Questa frase, che ha varie implicazioni, tra le altre cose significa questo. Sto parlando di un esempio, dice Gesù. I figli delle tenebre, i figli di questo mondo, coloro che hanno come regola della loro vita il denaro se la cavano secondo una logica di scaltrezza che i figli della luce non hanno, che non gli appartiene.
Ma questa scaltrezza, è un esempio. Sotto il punto di vista proprio di un'analogia. Ecco dobbiamo capirlo questo fatto qua. Questa parabola è inutile cercare di spiegarla all'interno di un mondo simbolico che faccia riferimento diretto alle realtà della nostra fede. No. Questa è un'analogia. Si vede un uomo qui che ha capito una cosa. Ha capito che è finito il tempo in cui fa quello che gli pare. Deve farsi degli amici. Deve trovare delle amicizie per il fatto che lui dovrà lasciare l'amministrazione. Allora cosa fa? Usa la disonesta ricchezza per farsi amici. Usa ciò che gli è stato messo in mano, nel poco tempo che ha a disposizione, mentre ancora non ha reso conto della sua amministrazione per catturare amicizie e appoggi. Noi dobbiamo uscire completamente da questo fatto in sè, da questo atto in sé ed usarlo analogicamente. E parlare del fatto che i figli della luce hanno un altro mondo, hanno altre ricchezza. Infatti si parla qui di ricchezza vera e di ricchezza falsa. Si parla di essere fedeli, ad un certo tipo di mondo, al poco, e di essere fedeli al molto. Secondo varie coordinate questa frase è importante. Allora quando una persona di trova nel mondo del denaro, e deve farsi tornare i conti, ha una sua abilità, se la sa cavare. Questa abilità poi, chissà com'è, al momento di stare nel mondo delle cose sante, uno se la dimentica. Uno diventa una persona incapace, ignorante, impreparata. Ma è quella sapienza che va finalmente applicata alle cose sante. Se noi andiamo a vedere molti santi, erano dei peccatori. Erano delle persone che erano stati molto molto bravi nel male e nella redenzione, quella sapienza diventa la loro forza per essere capaci di tirare fuori il massimo dal dono di Dio. C'è una sapienza che noi dobbiamo applicare, dobbiamo sapere commerciare nell'ambito della fede. Noi non siamo chiamati ad essere dei cristiani inebetiti, addormentati, un pò tontacchioni, ma sapienti, vivaci, limpidi, che usano le cose di Dio sapendo bene quanto è importante ciò che hanno in mano.
Veniamo quindi a capire quale è uno dei messaggi importanti di questo vangelo.
Cosa è la scaltrezza dei figli della luce?
Il sapere farsi amici con la ricchezza disonesta perché quando questa verrà a farsi mancare essi ci accolgano nelle dimore eterne. Sapere che c'è una ricchezza vera ed una ricchezza falsa. Sapere che il denaro è una ricchezza falsa. I beni di questo mondo sono una ricchezza falsa perché avranno un termine, non hanno stabilità. Non avranno durata. Sono tutte cose che ci saranno tolte, che ci saranno strappate.
Allora dobbiamo cominciare a capire come vanno usate queste cose qui.
Farci scaltri come quell'amministratore per iniziare a capire che il denaro è strumento di salvezza se lo addomestichiamo e lo sottomettiamo al bene. Se facciamo del denaro uno strumento di amore, ecco che quello, che di per sè era niente, diventa mezzo di salvezza, mezzo di redenzione. Incredibile. La disonesta ricchezza può diventare sistema per diventare la ricchezza vera.
C'è una forma di vivere, di relazionarci al denaro, che è secondo la luce. Che è finalmente non essere schiavi di questo mondo, ma essere signori, padroni di questo mondo.
Però in questo ambito si approfondisce il vangelo ed iniziamo a capire che qui si tratta di una scaltrezza che è fedeltà. L'argomento infatti che viene ripetuto è questo essere fedeli nel poco, nel molto, nell'importante, nel secondario.
La pasta della sapienza dell'amministratore è la disonestà. Quante volte viene ripetuto che è disonesto. La pasta della sapienza dei figli della luce è la fedeltà. Qui si contrappongono disonestà e veracità, fedeltà.
E come si esercita la fedeltà?
E' interessantissimo e utilissimo quanto riceviamo da questo vangelo. La fedeltà comincia dal poco. Comincia dalle cose piccole. La nostra vita cristiana è fatta di piccole fedeltà che diventano la grande fedeltà della vita cristiana. Noi occidentali, capiamo poco la mentalità orientale soggiacente ai vangeli. Noi siamo gente astratta, concettuale. Quando qualcuno ci parla diciamo: "Va bene, quale è il nocciolo? Quale è il punto?" Ed è una forma anche un pò violenta di ascoltare il prossimo. Gli orientali che hanno la loro attenzione molto più spostata sui verbi, sugli atti verbali, sulle azioni, molto meno sui concetti, sanno che sono le azioni che ci salvano, non i concetti. Sanno che le cose sono fatte di piccoli atti, che è inutile dire un concetto astratto, bisogna vedere che cosa è l'esperienza di quell'evento o di quell'oggetto. Quindi, la vita cristiana è fatta di piccole fedeltà, di piccoli fatti. Noi crediamo, con il nostro atteggiamento concettuale che i grandi atti, i grandi momenti, i grandi fatti verificano un uomo. No. Non è vero per niente. Un uomo si verifica con i piccoli atti, si verifica per i particolari. Si verifica per la cura che ha nelle piccole cose. L'amore non è un atto di fondo. E' un atto particolareggiato. Amare una persona, vuol dire essere attenti a quello di cui ha veramente bisogno. Essere attenti ai particolari che sono qui ed ora veramente urgenti. Non è un concetto astratto, una cosa generica. Molti pensano: " Bè, faccio delle piccole trasgressioni, ma poi, di fondo sono cristiano". Uhm. Uno pensa di dire una cosa intelligente. Dice una cosa profondamente stupida. Se io sono disposto a mandare la coscienza in letargo per piccole cose, figuriamoci se non sono disposto a farlo per grandi cose. Se sono disposto a far tacere la mia coscienza per non pagare una cosa che è dovuta, che è piccola "...ma è piccola!", ma se per una cosa piccola non sei disposto a sacrificarti e a obbedire alla tua coscienza, lo farai per le cose grandi? Se sei disposto a rubare un euro vuol dire che sei molto più disposto a rubare un milione di euro. Le persone si valutano dai particolari. Per capire le persone bisogna guardare come si comportano nelle piccole cose, quando nessuno le guarda, quando uno non conta niente, è lì che esce fuori la fedeltà. La nostra vita cristiana è fatta di una fedeltà a Dio che passa per le cose piccole. E' fatta di preghiera quotidiana. E' fatta di adesione a precetti semplici. Piccoli piccoli, ma che farli o non farli cambia tutto. La nostra vita cristiana è un tessuto costituito di un filo. Il filo delle piccole cose in cui ci fidiamo di Dio. C'è una eredità meravigliosa collegata alla piccola obbedienza della vita cristiana. La nostra cultura cristiana è stata erosa, distrutta, non dal fatto che ci hanno tolto la possibilità di celebrare le nostre feste, non dal fatto che ci hanno tolto la possibilità di fare grandi manifestazioni, ma dal fatto che la nostra vita è piena di piccole cose completamente estranee al cristianesimo. E' fatta di piccole cose incompatibili con la fede come oroscopi, gossip e stupidaggini simili che in realtà inzeppano il nostro cervello e ci portano al momento in cui dovremmo produrre il grande atto cristiano, svuotati.
Il vangelo di questa domenica è un vangelo molto utile. Bisogna esercitarsi nella cura delle piccole cose e bisogna addomesticare quel grande padrone di questo mondo che è il denaro, perchè con questa disonesta ricchezza, noi coltiviamo atti che ci portano verso il Regno di dio. Possa la nostra vita cristiana diventare una vita che ha zelo, che ha cura. Alimentata di piccole cose. Un matrimonio si salva per piccole cose, però quotidiane, fatte sempre. I dialoghi non evitati. Parole non dimenticate. Atti non trascurati. La crescita di un bambino felice è una questione di cura. Di piccole cose, di particolari, di cura che si esplica in piccole fedeltà che diventano una grande fedeltà.

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica.

sabato 18 settembre 2010

Wanda Poltawska - Diario di un'amicizia

Frammenti del libro

..."Non è forse così, che veramente siamo capaci di certi impulsi buoni, perfino eroici, ma al di là di questo, così deboli, da essere incapaci di una " vita buonaa", trascinati di qua e di là dai nostri impulsi, senza poterli dominare pienamente, incapaci di una " piena libertà"?
Il campo di concentramento, il contatto continuo conla prospettiva della morte aveva cambiato la sua visione del mondo, le aveva rivelato la nullità di ciò per cui di solito ci preoccupiamo di più nella nostra vita quotidiana, " normale" e borghese. Quindi come molti ex prigionieri, non riusciva a trovare per sé un posto tranquillo nel mondo al di fuori del campo; la vita familiare e professionale non le bastava; non riusciva a placare la sua inquietudine e il suo senso di estraneità. Cercava qualcuno che la capisse e la aiutasse, e si imbatte in un confessore, don Karol Wojtyla."...
Pag.12

...Nel mondo di oggi, dominato dai mezzi di comunicazione imbevuti di sesso - un mondo nel quale baciare un bambino sulla fronte fa pensare alla pedofilia, e un bacio fraterno fra amici può essere facilmente interpretato come un indizio di omosessualità- l'amicizia tra un uomo e una donna suscita automaticamente l'idea dell'aspetto sessuale della relazione. soprattutto in questo campo, l'Autrice non poteva non aver incontrato, nella sua storia del tempo di guerra e nel lavoro successivo al consultorio, dei fatti che deponevano a favore dellla conferma della risposta negativa alla domanda che si era posta: l'uomo era capace di una "buona vita" e non solo di impulsi scordinati? Poteva essere davvero interiormente "libero e puro"?...
Pag. 13

...La direzione spirituale e la vicinanza personale delgrande sacerdote hanno permesso a mia moglie, Wanda Poltawska, di raggiungere l'armonia e la pace, le hanno reso possibile conciliare il lavoro per gli altri con la vita familiare e, col passare degli anni - ne sono trascorsi appunto sessanta - hanno reso possibile il continuo approfondimento e aumento della nostra vicinanza e armonia coniugale...
Pag. 13

Una persona non può pienamente capire e possedere se stessa, senza l'aiuto di Dio. Questo è il messaggio di Giovanni Paolo II. Lo svolgimento dell'amicizia - si può dire addirittura: dell'esperimento - presentato nel libro, e i suoi frutti sono una testimonianza che donferma la risposta positiva alla domanda sull'uomo, alla domanda che oggi sipone in modo così drammatico davanti all'umanità. Questa testimonianza deve essere vista, io penso, come un " dono": un dono di un grande papa all'umanità che domanda. La pubblicazione del libro è in un certo modo, la consegna di quel dono. Sono felice e orgoglioso di aver potuto contribuire alla sua preparazione.
Mi viene in mente qui una citazione da Aristotele, spesso richiamata dal filoso che forse ha mostrato nel modopiù preciso e profondo gli errori e le illusioni del pensiero moderno e della nostra civiltà, Robert Spaemann :" Quello che possiamo fare grazie agli amici è, in un certo senso, anche quello che possiamo compiere da soli" (*). Il più grande e il più potente amico dell'uomo è invece Dio, il sostegno ultimo di tutte le persone di buona volontà - di tutti i nostri amici - e il Padre amorevole di tutti, senza eccezione

(*) Aristotele, Etica Nicomachea, III, 1112b25
Andrzej Poltawski
Cracovia, 8 marzo 2008
Pag. 14

domenica 12 settembre 2010

Luca 15, 1-31 - Parabole della misericordia - Commento al vangelo di don Fabio Rosini

24° domenica del Tempo ordinario C- 12 settembre 2010

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Luca 15, 1-31 Parabole della misericordia
Le tre parabole della misericordia
1 Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». 3Allora egli disse loro questa parabola:
La pecora perduta
4«Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? 5Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, 6va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. 7Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
La dramma perduta
8O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? 9E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. 10Così, vi dico, c'è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Il figlio perduto e il figlio fedele: "il figlio prodigo"
11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. 13Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. 17Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 19non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 20Partì e si incamminò verso suo padre.
Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. 22Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. 23Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa.
25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. 27Il servo gli rispose: E' tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. 28Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. 29Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. 31Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
La forma lunga del vangelo, ci propone anche la parabola del figlio prodigo. Abbiamo avuto altre occasioni per vedere quella parabola per cui ci concentriamo su queste prime due parabole che sono la forma breve di questa proclamazione domenicale. Tutto parte dal perché Gesù racconti questa parabola. Lui ha accolto i peccatori, lui ha accolto i pubblicani e i farisei, gli scribi mormorano dicendo: costui accoglie i peccatori e mangia con loro. Cioè non è giusto che lui accolga loro, questa loro realtà di peccato. Lui sta accogliendo questi che sono in realtà tuttoggi sono peccatori, pubblicani.
Ecco, allora Gesù racconta queste tre parabole. Le prime due appunto sono quelle della dramma e della pecora perduta. Noi dobbiamo accogliere una cifra che presente in queste prime due parabole, poi più approfonditamente, la terza parabola, quella del figlio prodigo, sarà una catechesi sulla realtà del peccato, dirà agli scribi e ai farisei cosa credete che sia il peccato? Il peccato è morire. Infatti comparirà l’altro personaggio, il figlio maggiore, che sarà quello che non riesce a capire il fatto di un ritorno, il fatto di un recupero. In queste prime due parabole l’accento è su chi è perduto. Sulla pecora perduta. Sulla dracma perduta.
Quale è l’attitudine che caratterizza questo pastore? Questo pastore lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta finchè non la trova. Perché Dio ci cerca? Per lo stesso motivo per cui questo pastore cerca la pecora. Perché sa che c’è. Perché non dice: non mi ricordo più se erano cento o novantanove. Perché c’è questa pecora. Perché quella donna spazza accuratamente finchè non ritrova la moneta persa? La moneta che non trova. Perché si ricorda che erano dieci e non si confonde su questo punto. Per cui la moneta c’è. Perché Dio ci cerca? Perché in noi c’è un suo figlio. Perché Dio è insistente con noi, perché Dio è misericordioso? Perché vede cosa è latente in noi, cosa in noi è perduto, cosa ci siamo persi di noi stessi. Quante volte uno guarda una persona e la disprezza e non ci vede niente di buono. Dio la guarda in un altro modo perché vede delle altre potenzialità. Dio può trarre da un peccatore un santo, Dio può trarre da un violento una persona piena di misericordia, Dio può trarre da una persona che ha fatto un errore madornale, orribile, indicibile, una persona piena di mitezza, piena di tenerezza, sapiente, che forse saprà aiutare qualcun altro. Cosa cerca Dio in me? Quello che io non sapevo che era presente. Io l’avevo scartato. Dio ha cercato in me, Dio cerca in ognuno di noi il suo figlio, la pecora perduta. E’ in tutti noi. C’è in noi una moneta, un valore nascosto che Dio va cercando.
Ecco perché Gesù accoglie pubblicani e peccatori, perché sa che dentro di loro c’è una potenzialità. Che una persona che ha sbagliato è una persona che ha sbagliato, non è una persona sbagliata. Che una persona che ha anche fatto le cose più indicibili di questo mondo, forse proprio per questo può prendere lo slancio, avendo toccato il fondo, per fare un salto su, nella sublimità.
Dio ci conosce e ci guarda con gli occhi che noi non abbiamo. Noi non abbiamo questi occhi. Noi non guardiamo il prossimo con gli occhi di Dio. Se uno perdesse il figlio. Questo figlio fosse abbrutito dalla vita. Diventasse un mostro, incontrandolo comunque vedrebbe suo figlio. Comunque vedrebbe il figlio perso. Cosa vede in noi Dio? Cosa vede in ogni uomo Dio? La sua immagine, stampata, sepolta sotto stupidaggini, smarrita nelle più scoscese parti, non sò che regioni. Quello che conta è chi sei. Chi sei per Dio. Non bastano novantanove per Dio. Per Dio ce ne vogliono cento. Per questa donna non bastano nove momente. Ci vogliono tutte e dieci. È questo lo zelo di Dio. È questo lo zelo dello spirito di Dio. Che non perde qualcuno così “ Vabbè, ma quello lo possiamo perdere, senza quello possiamo fare!”. Non è mai vero. Non si può trattare così nessuno. Nessuno può essere dichiarato mai perso definitivamente. Perché cerca questa donna. Cerca perché sa che c’è. Perché Dio ci ha amato? Perché il Signore Gesù Cristo è morto in croce per noi? Perché sapeva che in noi c’era qualcosa che gli corrispondeva e anche nel momento più drammatico ha emesso misericordia nei nostri confronti perché legge le nostre potenzialità secondo la sua sapienza e non secondo la nostra rassegnazione. Noi quante volte ci siamo rassegnati su noi stessi. Ci siamo dati per persi, ci siamo rassegnati a vizi, a bruttezze a bassezza perché abbiamo detto :”Tanto in me non c’è la bellezza. Non ne vedo di bellezza”. È nascosta, ma c’è. Ogni uomo si può sempre convertire, ogni persona può essere ritrovata. E c’è gioia per un solo peccatore che si converte. C’è gioia in cielo per un figlio di Dio. Se uno avesse quindici figli e uno muore dice :” Vabbè tanto ce ne ho quattordici!”. No. Quello significa che tutta la sua vita si ferma lì in questo lutto drammatico. Dio ha rapporti totali. Per lui noi siamo sempre imprescindibili. Siamo la pecora che sta cercando. Ci viene a cercare anche con questa parola, anche con la liturgia di questa domenica. Facciamoci trovare da Dio. Certo se una pecora bela, il pastore la trova prima. Mettiamoci a belare. Mettiamoci a chiedere aiuto. Mettiamoci a credere che il pastore ci sta cercando.

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica.

IL CAMMINO DELL'UOMO

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Marcia francescana 25 luglio - 4 agosto 2003