martedì 22 febbraio 2011

Matteo 6, 24-34 - Abbandonarsi alla provvidenza - Commento al Vangelo di don Fabio Rosini

Il testo non è stato riveduto dall'autore e risulta dalla trascrizione del commento pubblicato su Radio Vaticana. Si resta a disposizione dell'immediata rimozione qualora richiesto dagli aventi diritto.

8° domenica del Tempo Ordinario - 27 febbraio 2011

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di  Don Fabio Rosini



Matteo 6, 24-34 - Dio e il denaro 

24Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a mammona.

Abbandonarsi alla Provvidenza
25Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? 28E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? 31Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? 32Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. 33Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. 34Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena. Parola del Signore

Il brano, ad una prima lettura, può sembrare una specie di invito alla pigrizia, a vivere alla giornata, senza preoccuparci del futuro. Don Fabio è così?
Capire bene il significato di questo vangelo -  Questa lettura infatti è un pò contigua con una lettura un pò sentimentale di questo testo come ad un invito a questo senso di bellezza, di va tutto bene,  questo senso di abbandono, allora tanta gente che vuole leggere questo testo, nei matrimoni, questo è un testo che tante volte viene  proclamato. Io tante volte dico:” Bò. Ma avete capito che cosa state leggendo?” Qui si tratta di capire, come opportunamente la  liturgia cristiana ci mette di fronte, che c’è il primo versetto che è piuttosto importante e spiega tutto il resto e dice: “ Nessuno può servire due padroni, o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire  Dio e la ricchezza”. La nuova traduzione ci mette questa decodificazione dell’antico termine di mammona. E’ stato ritenuto non comprensibile. Mammona è un termine  che alla lettera ripeteva la parola che troviamo nel testo greco che era un termine aramaico. Mammona se noi andiamo a vedere è un termine contiguo al termine amen. Amen è una mammun.   Mammona è la cosa in cui si confida. La cosa che ti fa stare tranquillo. Infatti la parola fede, emunà, indica l’appoggiarsi in qualcosa, e il confidare in qualcosa.

La fiducia vera e la fiducia falsa -  C’è qualche cosa in cui noi confidiamo che non ci toglie la preoccupazione. Qui si tratta di scegliere tra due padroni. C’è uno che toglie la preoccupazione, che toglie l’ansia dal cuore, che toglie questo essere sempre incerti. Essere inchiodati in una insicurezza di vita che non viene mai tolta da questi tesori, da queste ricchezze. Invece quell’altro tipo di realtà che appunto diventa un credere di aver risolto tutto, e non hai risolto proprio niente. Accumulare e non essere sicuri proprio per niente. Qui la parola è terribile più che per coloro che non hanno, per quelli che hanno. Perché di fatto, hanno, hanno, hanno, ma poi di fatto la preoccupazione non passa mai.

Le esigenze primarie- Di cosa si tratta qui? Di essere preoccupati di come mangiare, di come bere e di come vestire. Esigenze primarie. Esigenze proprio essenziali. Bevanda, cibo e bisogno di protezione del proprio corpo. Queste sono le cose da cui si parte.

Una paura che inizia con la nascita- Quando è che uno inizia a essere preoccupato di queste cose qui? Quando nasce. Quando nasce uno è disperato, ha sete, ha fame ed è nudo e ha bisogno di essere, coperto, nutrito, curato, dissetato.

I soldi: soluzione non efficace- Ecco questa ansia  chi la toglie? La toglie il fatto di avere del denaro. Noi possiamo veramente pensare che i paesi ricchi sono veramente meno preoccupati dei paesi poveri? Ah, uno lo può credere, può pensarlo finché gli pare, ma se uno fa un giro, in un paese povero scoprirà che non c’è vantaggio a riguardo di questo fra un povero e un ricco.

Conta chi decido di servire- Perché di fatto quello che veramente conta è: dove nasce la mia certezza nella vita? Chi è il mio padrone? Chi è colui che servo? Se colui che servo è qualcosa che lo ho, ma non lo ho mai abbastanza io servo un padrone che è espropriante, che non mi fa mai possedere qualcosa fino in fondo.

La vita nuova è uscire da questo terrore- Di che parliamo? Parliamo di una vita nuova che il Signore Gesù Cristo ci spalanca davanti. Attraverso questo vangelo in questa domenica noi possiamo entrare in una vita straordinaria. Una vita per cui uno esce da questo terrore infantile che ci portiamo dal primo istante della nostra vita. Il terrore di essere abbandonati, per entrare nella certezza che la nostra vita è una freccia puntata verso l verso l’eternità. E’ un oggi aperto sulla provvidenza di Dio. Il che non vuol dire che noi siamo riparati dai problemi, il che non vuol dire che noi staremo sempre bene, il che non vuol dire che noi avremo sempre da mangiare e da bere, ma che ogni giorno ci sarà quello che ci deve essere perché noi arriviamo al cielo.

Il vecchio modello di vita: vivere incastrati nell’ansia di dover obbedire  alla paura- Se la nostra vita è risolvere la richiesta della nostra infanzia, noi siamo sempre insoddisfatti. Se la nostra vita è rispondere a quella paura atavica, profonda che è essere abbandonati e non essere curati, la nostra vita non ci basta mai, non stiamo mai in pace e viviamo terrorizzati dal futuro, viviamo scippati della pace di quello che dovrebbe invece rassicurarci e più accumuliamo più siamo incastrati da ciò che possediamo e alla fine non siamo noi che portiamo le nostre valige, ma sono le nostre valige che portano noi.  E noi siamo incastrati in un ansia da cui, poveri o ricchi, si può uscire. L’ansia di stare tutta la vita a difendersi,  tutta la vita a cercare di ripararsi e vivere fuggendo e rassicurandosi.

La nostra vita nelle mani di Dio- C’è una vita meravigliosa, la vita splendida di chi inizia ad intuire la paternità di Dio. Inizia a capire che tutto quello che noi viviamo è nelle mani di Dio, che no va secondo le cose di questo mondo.

Una falsa idea di vita: il  modello borghese- Non è che quello che ci deve succedere è che ci sistemiamo tutti. Tutti abbiamo il posto certo, la situazione certa, la situazione affettiva  garantita. E che cos’è questa vita? Questo è un modello borghese da quattro soldi che non serve a niente e che non salva nessuno e che non è amore. Noi non siamo nati per essere sicuri. Noi siamo nati per amare, noi siamo nati per donarci. Ma per donarci, per poterci regalare, dobbiamo essere liberi da noi stessi. Smettere di essere angosciati. E come si fa ad amare un coniuge se uno è preoccupato sempre di se stesso? E come si fa ad amare con generosità autentica un figlio se uno deve stare sempre a preservarsi? Che amico sarà un uomo che in fondo in fondo in fondo non potrà vedere minacciato mai ciò che è il proprio diritto alle provvigioni, le proprie fonti di sussistenza.

Il nemico che non ci fa amare l’altro: la preoccupazione- E’ interessante che noi crediamo che il nemico dell’amore sia l’odio, la rivalità. No. Il nemico dell’amore è la paura, la preoccupazione. Quello per cui le persone si dimenticano le une delle altre, non si servono, non sono care le une per le altre, non sono servizievoli, calde, è perché son preoccupate. Perché hanno la testa piena di preoccupazioni perché in fondo Dio non c’è. Ci devi pensare tu. E questo è identico nel ricco, è identico nel povero. Sono tutti così e io ho trovato nella mia esperienza quando sono stato in missione, poveri che veramente sapevano amare perché il fondo della loro anima era toccato dalla grazia e ricchi pieni zeppi di cose, corredati di beni che nessuno ha, che non hanno mai pace  nel cuore. Perché? Perché sono sempre comunque loro il Dio della propria vita e servono le cose di questo mondo. Servono le ricchezze di questo mondo.

Per amare e essere liberi bisogna lasciare le ricchezze- Non c’è ombra di dubbio. Per essere ricchi bisogna poter lasciare le ricchezze. Per poter amare bisogna poter lasciare le ricchezze. Per poter amare bisogna poter lasciare i soldi. Concretamente. Perché amare non è un atto economico. Amare non conviene. Amare costa. Per poter amare bisogna  saper lasciare le cose. Per poter fare del bene bisogna saper mettere in secondo piano il denaro. Bisogna saper fare obbedire il denaro all’amore e non il contrario. Noi normalmente abbiamo l’amore che obbedisce al denaro. Abbiamo la vita che obbedisce alla nostra preoccupazione economica. Per amare bisogna disobbedire a quel padrone. La vita che ne consegue è una vita piena di certezza nella provvidenza di Dio. E’ emunà e non mammona.

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica.
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sabato 5 febbraio 2011

Beata te che hai creduto - Carlo Carretto


Capitolo - LA MADONNA COL CARRETTINO

Fratello!
Sorella!
Prima di incominciare a leggere, da' uno sguardo alla copertina di questo libro. Troverai una piccola anomalia.

Il bimbo che è nelle braccia della Madonna al posto dell'uccellino originario dipinto da un anonimo del Quattrocento stringe un carrettino come fosse un giocattolo preparatogli da S. Giuseppe con un pezzettino di legno.
La sostituzione è dovuta a me e mi spiego. Avevo 36 anni e il Papa Pio XII mi aveva chiamato a Roma a dirigere la Gioventù di Azione cattolica. La faccenda allora non era una piccola cosa. Oggi il movimento cattolico è spezzettato in mille e mille rivoli: allora l' organizzazione era unica e raggruppava mezzo milione di giovani con quattordici giornali e oltre ventimila associazioni.
Mi sentivo sovente schiacciato dal peso della responsabilità e conobbi allora cos' era l'angoscia specie quando dalla periferia viaggiavo verso Roma.
Sì, era Roma la mia angoscia, il lavoro superiore alle mie forze, quell'indicibile mistero che emanava da quelle pietre antiche della capitale, l'incontrare con gli occhi quella piazza di S. Pietro che al turista parlava solo di armonia stupenda ma che a me dava una sofferenza atroce e che a volte mi paralizzava.
Avevo in casa una copia di quel quadro abbastanza famoso. Me la tenevo cara perché mi piaceva e mi diceva tante cose.
Non so come avvenne, so che mi sentii spinto a prendere i pennelli e a sostituire l'uccellino col carrettino simbolo del mio nome di famiglia.
Facendo quel disegno infantile fu come se dicessi a Maria: « Sta' attenta tu. Sarei contento di essere un giocattolo nelle mani di tuo figlio specie ora che sono in difficoltà, ma sta' attenta tu ».
Non mi passò completamente l'angoscia di Roma, ma ciò che è certo è che quando sentivo la stretta al cuore, pensandomi parte di quel quadro così sereno riuscivo a stare calmo ed a terminare la giornata in pace.
Posso dire che sempre, nei momenti duri, il mio pensiero era su quel quadro dove Gesù stringeva il suo carrettino di legno, segno di un altro carrettino cigolante sulle strade polverose del mondo.
Debbo dire però che i miei rapporti con Maria, la madre di Gesù, erano guastati dal romanticismo di quella devozione mariana che imperversava prima del Concilio e che a poco a poco si svuotava di contenuto.
Che Maria fosse regina e che regina! che fosse una creatura che non sbagliava mai, che camminava sulle strade della sua Nazaret con la visione tutta chiara delle cose, incapace di peccare e di dubitare, ha poco da dire a chi è angosciato e si trascina nel deserto della fede con tanta fatica.
L'esaltazione fatta di questa creatura dal fanatismo di allucinati, così numerosi nel mondo cattolico, finisce per svuotare di autentico contenuto teologico la devozione per colei che è nientemeno che la Madre di Dio e che non ha bisogno di raccomandazioni per essere considerata. Basta non tradire il Vangelo.
Non mi sono mai stupito quindi nel vedere in questi decenni inaridirsi nelle giovani generazioni la fonte dell'amore per Maria di Nazaret ed i venditori di rosari chiudere bottega.
Era necessario che così avvenisse.
Come per tante altre cose, bisognava ricominciare da capo.
Non abbiamo cominciato da capo con la Bibbia considerata ai tempi della mia giovinezza un libro proibito?
Non abbiamo cominciato da capo con la liturgia espressa prima del Concilio nell'immobilismo di gesti abbastanza freddi, in una lingua incomprensibile alle folle com'è il latino?
Non abbiamo incominciato da capo con la Chiesa considerata nel passato come una piramide clericale, mentre il Concilio ce l'ha delineata come « Popolo di Dio» in marcia verso la Terra Promessa?
Ebbene anche per la Madonna incominciamo da capo anche se questo « incominciare da capo» è solo un'impressione perché, in realtà, le cose continuano, perché nella Chiesa, che è un corpo vivo, una realtà viva, tutto continua.
Per me il ricominciare da capo ha avuto un momento importante.
È stato durante il mio lungo soggiorno nel deserto.
Vivevo nell'Hoggar in una fraternità di Piccoli Fratelli del Padre de Foucauld e mi guadagnavo il pane lavorando sulle piste di Tit, Tazrouk, In Amguel, come metereologo. Il lavoro mi piaceva assai perché oltre il sostentamento mi dava la possibilità di vivere nell'ambiente che avevo cercato: il deserto e di unire alla fatica quotidiana i grandi silenzi e la possibilità della preghiera prolungata.
In poco tempo conobbi i tuareg che vivevano sotto la tenda, gli aratini che coltivavano le oasi e gli arabi che venivano dal nord e i mozabiti che si dedicavano ai commerci.
Mi ero affezionato soprattutto ai tuareg che avevano gli accampamenti lungo le « gueltà »(Bacino roccioso dove affiora l'acqua). e sugli altipiani e coglievo le occasioni dei miei viaggi per fermarmi con loro la sera dopo il lavoro.
Fu durante un incontro con loro che io venni a conoscenza di un fatto interessante.
Ero venuto a sapere, quasi per caso, che una ragazza dell' accampamento era stata promessa sposa ad un giovane di un altro accampamento ma che non era ancora andata ad abitare con lo sposo perché troppo giovane. Istintivamente avevo collegato il fatto al brano del Vangelo di Luca dove si racconta proprio che la Vergine Maria era stata promessa a Giuseppe, ma non era ancora andata ad abitare con lui (Matteo 1, 18).
Ripassando due anni dopo in quell'accampamento, spontaneamente, come per trovare motivi di conversazione chiesi se il matrimonio fosse avvenuto.
Notai nel mio interlocutore un turbamento seguito da un evidente imbarazzato silenzio.
Tacqui anch'io. Ma la sera attingendo acqua ad una « gueltà» a qualche centinaio di metri dall' accampamento, vedendo uno dei servi del padrone, non potei resistere alla curiosità di conoscere il motivo del silenzio imbarazzato del capo dell' accampamento.
Il servo si guardò attorno con circospezione, ma, avendo in me molta confidenza perché «marabut» (Religioso-uomo di Dio secondo la terminologia islamica) mi fece un segno che ben conoscevo passando la mano sulla gola col gesto caratteristico degli arabi quando vogliono dire « è stata sgozzata».
Il motivo?
Prima del matrimonio s'era scoperta incinta e l'onore della famiglia tradita esigeva quel sacrificio.
Ebbi un brivido pensando alla ragazza uccisa perché non era stata fedele al suo futuro sposo.
La sera a compieta, sotto il cielo sahariano, volli rileggere il testo di Matteo sul concepimento di Gesù in Maria.
Avevo acceso una candela perché era buio e la notte era senza luna.
Lessi: «Maria, sua madre, era fidanzata a Giuseppe. Ora prima che andassero ad abitare insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo che era un uomo giusto non volendo denunciarla pubblicamente prese la risoluzione di ripudiarla silenziosamente» (Matteo 1, 19).
Insomma Giuseppe non era stato il denunciatore e Gioacchino, padre di Maria, non aveva assunto il ruolo del Khomeiny di turno ammazzando Maria come avrebbe voluto la legge. « Mosè ci disse che questo tipo di donne siano uccise» (cfr. Deuteronomio 22,24).
Ricordo come fosse ora. Sentii Maria vicina vicina seduta sulla sabbia, piccola, debole, indifesa, col suo ventre grosso, con la sua impossibilità a piegarsi, silenziosa.
Spensi la candela.
Nella notte buia non vedevo le stelle.
Vedevo attorno a noi tanti occhi che brillavano come gli occhi degli sciacalli quando attentano gli agnellini.
Erano gli occhi di tutti gli abitanti di Nazaret che spiavano quella ragazza madre e le chiedevano con tutta la potenza dell'incredulità di cui sono capaci gli uomini, e più ancora le donne: «Come hai fatto ad avere quel figlio, sciagurata, scostumata! »
Che notte!
Che so rispondere?
Che è Dio il padre di questo piccolo?
Chi mi crede?
Sto zitta.
Dio sa.
Dio provvede...
Povera, dolce Maria, piccola ragazza madre. Incominci male la tua carriera!
Come fai ad affrontare tanti nemici?
Chi ti crederà?
Quella sera sentii per la prima volta che mi stavo avvicinando al mistero di Maria.
Per la prima volta non la vedevo sull' altare come una statua immobile di cera, addobbata con abiti da regina, ma la sorella, vicino a me, seduta sulla sabbia del mondo, con i sandali logori come i miei e con tanta stanchezza nelle vene.
Allora capii perché sua cugina Elisabetta, che Maria era andata a trovare dopo quei fatti (si esce sempre volentieri dal proprio ambiente quando si è col ventre grosso e gli occhi dei vicini ti guardano in una certa maniera puritana), avesse potuto dire al termine del racconto che Maria le aveva fatto:
« Beata te che hai creduto ».
Sì, veramente beata!
Maria, ci vuole coraggio a credere a queste cose!
È difficile per noi credere a quello che dici testimoniando ci che quel figlio non è frutto di un'avventura notturna che non vuoi spiegare.
Ma è difficile soprattutto per te!
« Beata te che hai creduto» (Luca 1,45).
È il massimo che si può dire ad una ragazzina semplice, umile, povera, che ha avuto la ventura di parlare con gli angeli, lei che è un nulla, e che si è sentita dire che dovrà avere un figlio che sarà il Santo e figlio dell' Altissimo, sì, proprio lei, l'ultimo e il più piccolo « resto» d'Israele.
«Beata te che hai creduto, Maria»
(Luca 1,45).
Quella sera sulla sabbia, vicino alla "gueltà" di Issakarassem avevo deciso di scegliere Maria come maestra nella fede.
Avevo trovato un contatto vitale con lei. Non era più un personaggio a cui dovevo « culto », era la sorella del mio cuore, la compagna di viaggio, la maestra della mia fede.
Sì, proprio della fede.
E mi spiego. Dovete sapere, fratelli, che la marcia della fede l'ho fatta tutta e... a piedi.
La mia fortuna è stata quella di non aver tremato nell' oscurità e di non aver mollato il passo anche quando non ne potevo più.
Mi hanno aiutato gli anni trascorsi nel deserto anche se fu proprio là che conobbi la « notte », quella descritta da S. Giovanni della Croce.
Ora mi sento fratello di tutti quelli che si dicono atei (e sono pochi) e più ancora di quelli (e sono molti) che hanno difficoltà a credere e non conoscono ancora i veri termini del problema.
Quando sarò morto - e spero presto perché ho conosciuto il Signore e brama vedere il suo Volto - se venite sulla mia tomba e se pensate possibile la comunicazione tra i membri del Regno, non chiedetemi di pregare per voi onde guarire da questo o quel male. Chiedetemi solo che preghi per la vostra fede.
È l'unico dono per cui merita pregare.
Ebbene se potrò farlo, lo farò: guarderò gli occhi di Maria di Nazaret in silenzio e cercherò di attingere dalla contemplazione di lei che ebbe tanto coraggio nel credere ciò di cui avete bisogno.
Fratelli e sorelle, vi ho aperto il mio cuore, vi ho detto tutto.
Ora se mi ascoltate mettete in tasca il rosa rio. Può darsi che passeranno anni prima che lo recitiate per benino. Non importa, tenetelo vicino.
Vi aiuterà. Semmai, quando vi passa sotto le dita, dite solo
Ave Maria
Carlo Carretto

Carlo Carretto
 

IL CAMMINO DELL'UOMO

IL CAMMINO DELL'UOMO
Marcia francescana 25 luglio - 4 agosto 2003