mercoledì 22 dicembre 2010

Matteo 2, 13-23 - Ascolti l'angelo per compiere le profezie? - Commento al Vangelo di don Fabio Rosini

Festa della Santa Famiglia di Gesù (A) 26 dicembre 2010

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Matteo 2, 13-23
13Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo».
14Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, 15dove rimase fino alla morte di Erode, perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Dall'Egitto ho chiamato il mio figlio.
16Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, s'infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi. 17Allora si adempì quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:
18Un grido è stato udito in Rama,
un pianto e un lamento grande;
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata, perché non sono più.

Ritorno dall'Egitto e dimora a Nàzaret

19Morto Erode, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e và nel paese d'Israele; perché sono morti coloro che insidiavano la vita del bambino». 21Egli, alzatosi, prese con sé il bambino e sua madre, ed entrò nel paese d'Israele. 22Avendo però saputo che era re della Giudea Archelào al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nelle regioni della Galilea 23e, appena giunto, andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

La sfida della famiglia - E’ un brano che può aiutare moltissimo la sfida della famiglia. Sfida in cui siamo tutti. Non c’è nessuno che è fuori da questa sfida perché tutti dobbiamo articolare il nostro rapporto con la nostra famiglia, o di origine, o quella che, se ci siamo sposati, abbiamo formato o quella a cui apparteniamo comunque. C’è un rapporto con la realtà della famiglia che è un rapporto con la realtà della vita.

La sfida complicata anche per la famiglia di Gesù - E noi vediamo in questo vangelo che questa sfida comincia in maniera molto complicata pure per il nostro Signore. Il Signore Gesù arriva in una famiglia che vive una serie di tribolazioni, di difficoltà, di problemi. Giuseppe, che è il protagonista attivo di questo testo, è uno che deve affrontare una serie di difficoltà. Prima c’è Erode che vuole cercare il bambino per ucciderlo. Poi deve andare in Egitto, appunto, e poi tornare dall’Egitto quando Erode ha compiuto il suo percorso terreno e quindi ci si è liberati dalla sua minaccia. E via dicendo.

Parametri con cui gestire la sfida delle relazioni familiari - Fondamentalmente di che cosa stiamo parlando. Del fatto che tutti noi nella sfida delle nostre relazioni familiari e nella gestione di queste relazioni, noi abbiamo dei principi, dei parametri. Ecco che parametro appare qui in questo testo.

Giuseppe deve ascoltare un angelo per compiere la sua missione - Giuseppe per poter portare avanti la sua missione deve obbedire ad un angelo che gli parla. L’angelo del signore gli appare in sogno. Lui deve ascoltare le indicazioni di un angelo e questo angelo gli dice delle cose molto serie, molto difficili. Deve andare in Egitto, deve affrontare precarietà, deve affrontare difficoltà. E da lì poi l’angelo gli dirà quando deve tornare. Il testo ha il suo compimento nella sua frase finale, quando, avvertito in sogno, si ritira nella zona della Galilea e va ad abitare in una città chiamata Nazareth, “perché si adempisse ciò che era stato detto dai profeti”. Ovvero sia quello che Giuseppe deve portare avanti è l’obbedienza ad un piano di Dio. Deve compiere una cosa che era stata predetta dai profeti.

Obbedire ad un piano di Dio per compiere le promesse e le profezie - Allora ognuno di noi, di fronte alla propria esistenza, di fronte alla gestione della propria vita, ha la tentazione di fare semplicemente secondo buon senso. Fare semplicemente secondo opportunità e convenienza. Scopriamo una nuova forma di vivere, attraverso il nostro Signore Gesù Cristo, nel mondo, e attraverso la sua famiglia noi vediamo che compare una nuova forma di famiglia. Quella che obbedisce ad un piano, quella che compie promesse, profezie.

Ognuno deve difendere il bambino attraverso l’obbedienza ai piani di Dio - C’è su ciascuno di noi un piano di Dio, e questo piano di Dio va assecondato. E ciascuno di noi deve difendere questo bambino così prezioso. Ognuno di noi deve difendere il Signore Gesù Cristo nella sua vita e deve difendere la presenza di Dio nella sua propria famiglia attraverso l’obbedienza al piano di Dio.

Dio, se ci mettiamo sulla sua strada ci manda angeli - Molto spesso noi crediamo di dover andare avanti improvvisando la nostra vita, facendo le cose un po’ come ci vengono, invece scoprire che Dio, quando ci mettiamo sul suo piano, quando ci mettiamo sulla strada che lui ci sta indicando ci manda angeli. Ora gli angeli parlano a Giuseppe in sogno. Noi possiamo dare tante determinazioni a questa immagine. Certamente un angelo è il nome di un ministero, più che di una persona ben precisa o di un essere soprannaturale ben preciso. γγελος (traslitterazione: ággelos; pronuncia: ánghelos) in greco vuol dire annunziatore. Noi abbiamo angeli. Tutti quanti abbiamo il dono di persone che hanno il compito un pochino di indicarci la volontà di Dio. Ognuno di noi fa riferimento, come cristiano, a qualcuno. Deve fare questo riferimento. Se non stiamo ascoltando un angelo, se non stiamo consegnando un pochino la nostra vita a qualcuno che ci dica, un pochino, come gestirla, normalmente agiamo abbastanza a casaccio.

Ci sono pericoli di cui ci informano i nostri angeli-E normalmente quello che facciamo è che ci esponiamo ad Erode. E’ una minaccia che Giuseppe non conosce. E’ una minaccia di cui Giuseppe non sapeva. E’ un’informazione che gli dà l’angelo. Ci sono pericoli di cui ci informano i nostri angeli. Ci sono cose che noi prendiamo un po’ sottogamba. Noi pensiamo di essere tranquilli, invece abbiamo bisogno di sapienti, di angeli, di guardiani, di persone che ci facciano il servizio di dirci un pochino come proteggere la nostra vita.

I cristiani sono chiamati ad essere gli angeli per questa generazione - Questo un pochino anche si rovescia come tematica. Noi come cristiani, abbiamo il compito di essere angeli per questa generazione. E un pochino attraverso i nostri gesti, attraverso le nostre scelte, attraverso le nostre parole e la nostra testimonianza, siamo chiamati ad indicare al mondo come difendere Gesù Cristo. In fondo un po’ da se stesso. In fondo un po’ dai regni di questo mondo.

La sfida della famiglia è incompatibile con gli interessi di Erode - Perché la famiglia ha una sfida da affrontare difficile perché è incompatibile la sua preziosa e delicata sfida con le esigenze di Erode. Erode ha delle priorità. Il nostro mondo ha delle priorità che sono fondamentalmente priorità economiche, priorità collegate al potere, priorità collegate ad una gestione e ad una visione del mondo che non è direttamente riferibile alla priorità della vita. Mentre una famiglia ha come priorità la vita. Allora che succede? Erode gestisce, spadroneggia, tante famiglie togliendogli questa priorità. Cosa deve fare Giuseppe? Deve difendere, costi quel che costi questo bimbo. Difendere la vita nascente, difendere la debolezza, la fragilità della vita che sta sbocciando. Ecco.

La missione di Giuseppe e di ognuno di noi- In fondo, un po’ tutti noi abbiamo questa missione. La missione di Giuseppe, la missione di difendere la nostra propria relazione con la vita da Erode. Ogni famiglia ha questa missione. Ma i cristiani sono angeli per questo mondo per indicare parametri, modi di pensare, scelte che non obbediscano ad Erode, ma che gli sappiano sfuggire. Non dobbiamo avere paura di Erode. Dobbiamo avere paura di non ascoltare l’angelo. Il nostro vero problema non è Erode. Il nostro vero problema è compiere le profezie che ci sono su di noi.
Ecco questa sfida che si presenta, la domenica dopo Natale, la domenica della Sacra Famiglia, è la sfida, per ognuno di noi, di compiere la nostra missione di padri, di madri, figli, fratelli, di essere comunque in relazione agli altri secondo il piano di Dio e non secondo il semplice buon senso o le priorità di questo mondo.


NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica Orizzonti Cristiana di Radiovaticana. Si resta a disposizione degli aventi diritto per l'immediata rimozione del testo.
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domenica 19 dicembre 2010

Matteo 5, 18-24 - Non temere, ascolta l'angelo - Commento al vangelo di don Fabio Rosini

4° domenica di Avvento C- 19 dicembre 2010

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Matteo 5, 18-24
18Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 20Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 21Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
22Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
23Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio
che sarà chiamato Emmanuele,
che significa Dio con noi. 24Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa,
La prospettiva del Vangelo di Matteo è diversa dalla prospettiva del Vangelo di Luca. Nel Vangelo di Luca, classico Vangelo dei racconti dell’infanzia, abbiamo la prospettiva dall’angolatura di Maria. Invece qui, nel Vangelo di Matteo, tutto si racconta secondo Giuseppe, perché Giuseppe di fatto, è quello che deve fare una cosa. Questa cosa qui, viene detta nel testo di oggi.
Noi siamo a due passi dal Natale. Vediamo come si accoglie il Natale, la Natività. Come si accoglie l’arrivo di nostro signore Gesù Cristo, la sua irruzione. La sua irruzione funziona secondo questi parametri. Così fu generato Gesù Cristo. Questa forma qui, come avvenne la nascita di Gesù Cristo, come avvenne la nascita di Gesù Cristo, diceva la vecchia traduzione “ Ecco come avvenne..”, così avviene. Ha questa forma qui, ha questo stile qui. Giuseppe si trova con una fidanzata in cinta. Cioè si trova che Dio ha preso un’iniziativa che lui non si aspettava e è tentato di rifiutare questa iniziativa. Infatti lui è in un dubbio. In una diatriba. Quale è il problema. Se una donna è incinta, ci sono poche spiegazioni possibili. Ce ne è solamente una. Sapendo bene di non essere il padre di questo bambino, non può che rifiutare questa donna. Ma è perplesso. In effetti il termine qui viene un po’ frainteso “ Poiché era un uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, penso di ripudiarla in segreto”. Quel “e “ come è in greco e come è molto spesso usato dai semiti, quel KAI greco ha in effetti un significato avversativo. Giuseppe è un uomo giusto, ma non voleva accusarla pubblicamente. Quale è la contraddizione. Essere un uomo giusto indica il fatto che Giuseppe obbedisce alla legge. Secondo la legge doveva denunciare Maria, ma lui non sente di volerla accusare pubblicamente. Cioè è perplesso. In questo caso lui non si sente di seguire il protocollo perché non lo convince questa lettura. Conosce questa donna ed è di fronte a questo dubbio. Ma come può essere? Non gli appartiene un atto di adulterio. Sa di non essere di fronte ad una adultera e così non capisce dove lo porti questa carta qui. E cerca un mezzuccio, cerca un escamotege, un forma per non essere costretto ad obbedire seccamente alla legge. Lui è giusto, dovrebbe fare le cose come dice il Pentateuco, ma non vuole ripudiarla pubblicamente. E allora, mentre sta considerando queste cose, appare in sogno un angelo del Signore. Così avviene la nascita di Cristo. Così Gesù viene generato. In questa forma. In questa forma sorprendente. Dove c’è un uomo che deve accettare un’opera di Dio.
Giuseppe, figlio di Davide. Questo è un termine tecnico. Vuol dire discendente del re nella cui stirpe si annovererà il Messia. Questo è un termine forte. Figlio di Davide, sarà il termine con cui il Cristo sarà riconosciuto come Messia. Allora “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”. E’ il concepire l’opera di Dio che è più grande di ciò che noi pensiamo. E’ l’accettare che Dio possa operare nelle cose. Quello che è in lei, è dallo Spirito Santo. Accettare l’iniziativa di Dio. Infatti, Giuseppe dovrà dare lui il nome a Gesù. La dinastia davidica, cioè il titolo anche oggettivo di Messia che Gesù riceverà, lo riceverà per la generosità di Giuseppe, il quale accoglierà l’opera di Dio.
La nostra vita la possiamo affrontare in una forma superficiale, banale, o possiamo iniziare ad aprirci alla presenza di Dio nelle cose che ci succedono. Scoprire che le cose sono gravide di Gesù Cristo. Scoprire che possiamo sposare la nostra vita. Camminare per le nostre strade, quelle che Dio ci dà di percorrere pensando che Dio ha un’opera in corso con ognuno di noi. Tante volte ci troviamo di fronte a cose che siamo tentati di rifiutare.
Ma pensare che Dio può operare in quello cose e non rifiutarle, non scansarle, non buttarle via. E’chiaro che bisogna rifiutare nettamente il male, ma quando la storia oggettivamente ci porta per una strada, anziché scappare, forse vale la pena di ascoltare l’angelo. Non temere di prendere ciò che Dio ti dà. Non temere di prendere ciò che hai perché c’è Gesù Cristo nelle cose. Gesù Cristo viene sempre così. Rompendo gli schemi e ingravidando la storia della sua opera. Rendendola piena della sua salvezza. Quante volte noi siamo tentati di lasciare, di mollare, di smettere, di non andare avanti, di lasciare la nostra missione, il matrimonio, la nostra missione di paternità, le nostre relazioni. No. Non bisogna obbedire alla paure e credere all’opera di Dio.

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica. 
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domenica 12 dicembre 2010

Auguri di Buon Natale

Questo presepe è fatto a mano. E' uno dei presepi provenienti da tutto il mondo esposto nel chiostro del convento di Santa Maria degli Angeli ad Assisi.


Ogni nazione ha contribuito a costruire il presepio con gli elementi caratteristici della propria cultura. Per esempio alcuni africani sono fatti con le foglie della pianta di banane.
Quello fotografato mi sembra sia il dono della Liguria.

Intanto nelle case si consumano delle giornate particolararmente belle. Mi riferisco a quei pomeriggi in cui le donne si riuniscono in un rito mai dimenticato, pomeriggi presenti nella memoria degli adulti che lo ripropongono alle nipoti della famiglia e così lo rivivono e lo fanno conoscere alle giovani generazioni di modo che loro possano a loro volta insegnarlo a quelle che verranno.
Sono momenti magici in cui si perde la dimensione del tempo presente per entrare in un tempo eterno in cui una generazione da la mano a quella che la ha preceduta.


Il Natale ritrovato
C’è proprio bisogno di ri-diventare bambini, “bambini nel cuore”, per essere capaci di “vedere ciò che veramente è grande, bello, gioioso”: bambini come furono i pastori che, inaspettatamente, nella notte, videro sulla povertà aprirsi il cielo, e popolarsi di angeli che cantavano “Gloria”, annunziando che a pochi passi c’era una grotta e che nella mangiatoia c’era un bambino e quel Bambino era il Salvatore del mondo, era Dio”.
Chi riesce a svincolarsi dai lacci della pubblicità che invade ogni spazio e tempo che precedono il Natale, riesce faticosamente a recuperare il gusto delle tradizioni natalizie religiose dell’infanzia, in particolare la realizzazione del presepe casalingo con il muschio e i sassolini di ghiaia, e la carta stagnola per limitare il laghetto al quale si abbeverano le pecore bianche di gesso.
Una vecchia sveglia a molla, sistemata sopra la scrivania, fa muovere, con il suo trillo, una pastore di gesso che lo scorso anno, per dimenticanza, non era stato messo fra i personaggi del presepe.
Il movimento viene interpretato come l’inizio del viaggio verso Betlemme e fa nascere il desiderio di partire, con il pastore, verso quella grotta in cui la Vergine Maria teneva fra le sue braccia la “Luce del mondo”.
(Luigi Ferraresso)

Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è faticoso, lo so. Molto più faticoso di quanto sia stato per i pastori. I quali, in fondo, non dovettero lasciare altro che le ceneri del bivacco e le pecore ruminanti tra i dirupi dei monti. Noi, invece, dobbiamo abbandonare i recinti di cento sicurezze, i calcoli smaliziati della nostra sufficienza, le lusinghe di raffinatissimi patrimoni culturali, la superbia delle nostre conquiste… per andare a trovare che? “Un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”…
Mettiamoci in cammino senza paura. Il Natale di quest’anno ci faccia trovare Gesù e, con lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa del vivere, il gusto dell’essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell’impegno storico.
(Don Tonino Bello)



sabato 11 dicembre 2010

Matteo 11, 2-11 - "Sei propio tu?" - Commento al vangelo di don Fabio Rosini

3° domenica di Avvento 12 dicembre 2010

Domenica Gaudete

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Matteo11, 2-11
2Giovanni intanto, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, mandò a dirgli per mezzo dei suoi discepoli: 3«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?». 4Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: 5I ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella, 6e beato colui che non si scandalizza di me». 7Mentre questi se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Che cosa dunque siete andati a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Coloro che portano morbide vesti stanno nei palazzi dei re! 9E allora, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, anche più di un profeta. 10Egli è colui, del quale sta scritto:
Ecco, io mando davanti a te il mio messaggero
che preparerà la tua via davanti a te.
11In verità vi dico: tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista; tuttavia il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui.

In questo brano Gesù annunzierà, ricorderà a tutti noi, attraverso la proclamazione del testo, la sua opera, di poter dare la vista ai ciechi, di poter far camminare gli zoppi, di poter purificare i lebbrosi, di far udire i sordi, di far risuscitare i morti perché ai poveri venga annunziata la buona novella. Dobbiamo capire come si è procurata questa situazione. Questo annunzio di Cristo. Giovanni è in carcere e manda domandare :”Ma sei tu quello che deve venire?” Da una parte qui si esprime una perplessità che dovremo vedere, ma una perplessità, ma anche dall’altra parte c’è un uomo che sta soffrendo e in fondo sta soffrendo perché ha preparato l’arrivo di questo Messia. Che succede? Dice in fondo:” Ma, io sto soffrendo, e ti chiedo sto soffrendo a buon fine? Dammi conferma!” Certo noi dobbiamo fare queste domande al Signore. “Signore parlami, perché quando sto facendo la tua volontà, e magari sto un po’ patendo, sto un po’ combattendo, ma vale la pena? Ma vale la pena perché ci sei tu! Dammi conferma! Io ne ho bisogno” Tutti ne abbiamo bisogno di avere conferma di non girare a vuoto per una strada che non porta da nessuna parte, per cui dobbiamo giustificare. Dobbiamo trovare una buona risposta. Per capire se vale la pena di vivere la nostra vita cristiana, se vale la pena di fare la volontà di Dio e di essere anche un po’ carcerati per questo mondo, di essere un pochino estranei a certe cose che in questo mondo non sono per noi, non ci riguardano, sono distanti. Sono superficialità che non ci interessano. E un pochino essere altri, rispetto a questo mondo. Ma vale la pena?
Ecco il dubbio di Giovanni rispetto a questa domanda, però riguarda anche la sua perplessità rispetto al fatto che Gesù non è esattamente ciò che lui aspettava. Cioè lui aspettava un ripuliture di situazioni. Avevamo ascoltato domenica scorsa questo fuoco che arriva, doveva bruciare la paglia. Lui aspettava questo tipo di realtà e invece è arrivato qualcun altro. Un altro tipo. Sorprendente. Perché noi pensiamo sempre che Dio debba agire secondo le nostre strade. La strada di Giovanni Battista, colui di cui sarà detto alla fine del testo che è il più grande fra i nati di donna, ma il più piccolo fra i gli abitanti del regno dei cieli, è più grande di lui. Alla fine c’è un limite. Giovanni Battista è comunque un uomo dell’antico testamento. Arriva secondo una categoria che è quella di ciò che Dio poteva far capire all’uomo. Ma quando si incarna il Verbo santissimo di Dio, la seconda persona della Trinità, Dio stesso viene in mezzo a noi, viene con categorie molto più sublimi delle nostre. Viene è la sua punizione è la misericordia. Viene e la sua correzione è la cura. Viene e la sua punizione, il suo intervento duro è farci cambiare vita. Donarci la possibilità di acquistare la vista. E quante volte solamente la misericordia di Dio ci fa finalmente guardare nella chiave giusta la nostra vita. Solamente il capire il perdono e l’amore di Dio ci fa leggere bene ciò che ci sta succedendo. E qui si parla di qualcuno che non solo recupera la vista, ma di qualcuno che cammina, uno zoppo. Quanti di noi sono ambigui, zoppicano. Fanno un passo, poi si fermano. Riprendi speditamente a camminare quando credi che Dio ti vuole bene. Quando riprendi ad aver fiducia nella sua abbondanza, nella sua cura, nella sua salvezza. Qui si dice che i lebbrosi sono purificati. La lebbra nell’antico testamento è un po’ immagine della solitudine, questa malattia che tiene lontano dal villaggio. Questa malattia che ci isola rispetto al prossimo! Ecco. Essere purificati. Ritrovare il prossimo perché smetti di averne paura. Smetti anche forse di fargli paura perché qualcosa ti addolcisce.
Insomma quello che noi andiamo capendo qui, attraverso questi sordi che riaprono l’orecchio, attraverso questo resuscitare di una parte morta di noi dove no ritroviamo qualcosa di cui noi dicevamo:” Questo è perso!” Quante volte per un errore fatto, o per errori fatti da altri, uno dà per perse tante cose e uno dice :”Questa non si salva più!” e invece no! C’è una Buona Novella! L’amore di Dio, ci fa riprendere a camminare. Gesù viene con la dolcezza, Gesù viene con la salvezza.
In questa domenica che è la domenica Gaudete , la domenica dell’allegria, questo testo viene a dirci che noi tutti possiamo essere più grandi di Giovanni Battista, perché Giovanni Battista, conosceva la legge, noi conosciamo la misericordia. La legge che è importante, che quello che ci serve, che ci fa da parametro, che ci fa capire tante cose, però in realtà è comunque sempre solo un punto di riferimento, non qualcosa che ci salva. Arriva la salvezza! E la salvezza è il perdono! Il perdono riapre i nostri occhi. Il perdono di Dio ci fa riprendere il coraggio nel camminare. Il perdono di Dio ci toglie dalla nostra lebbra solitaria. Ci fa ascoltare, ci fa vivere di nuovo. “Beato colui..”, dice qui il testo, “..che non trova in me motivo di scandalo”. Certo. C’è una sorpresa. Questo motto di Giovanni Battista. Questi discepoli dovranno andare a dire a Giovanni Battista :” Non ti scandalizzare del fatto che non è arrivata la mannaia e la falce che taglia e che uccide. E’ arrivato ciò che salva!” Sono atteggiamenti molto diversi da avere davanti alla vita. Si può avere uno scontro con una persona e chiedere che vengano che messi a posto i conti e che venga fatta giustizia. Oppure chiedere che ci si salvi. Che si salvi il rapporto. Lavorare per la salvezza. Non scandalizzarsi di questo. Gesù Cristo sta dalla parte della riconciliazione. Sta dalla parte di ciò che unisce, non dalla parte di ciò che frammenta, separa. Questa domenica cerchiamo la riconciliazione. In questa domenica cerchiamo ciò che è scandaloso per il nostro io giustiziere, ma che è salvifico per la nostra povertà. Cerchiamo la misericordia, cerchiamo ciò che porta alla novità e il più piccolino del regno dei cieli, cioè colui che crede alla misericordia di Dio, è più grande dei profeti. Passiamo dalla parte di questo piccolino che si apre al bene.

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica.
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sabato 4 dicembre 2010

Matteo 3, 1-12 - Predicazione di Giovanni Battista - Commento al vangelo di don Fabio Rosini

2° domenica di Avvento 06 dicembre 2010

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Matteo 3, 1-12
1In quei giorni comparve Giovanni il Battista a predicare nel deserto della Giudea, 2dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».
3Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
4Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico. 5Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; 6e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano.
7Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente? 8Fate dunque frutti degni di conversione, 9e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre. 10Gia la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. 11Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco. 12Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile».


Giovanni Battista prepara l’Avvento del Signore, prepara la visita del Signore. Una visita è una cosa alla quale bisogna essere pronti. Se ti arriva addosso un ospite e non sei preparato per accoglierlo non lo accogli bene. Non accogliere bene il Signore è una questione un po’ grave perché ne perdiamo le grazie, ne perdiamo la bellezza, ne perdiamo la salvezza. Allora è molto importante accoglierlo bene. E per accoglierlo lui dà una serie di indicazioni: “ Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino!”. È interessante perché oggi come oggi, che abbiamo un forte perfezionismo, un forte narcisismo, una forte ricerca di noi stessi, il tema della conversione, del cambiamento personale è tutto finalizzato tendenzialmente al nostro proprio benessere, al nostro proprio ben sentirci. Al nostro percepirci bene. Anche cristianamente. No. Ci si prepara ad un altro. Non ci si prepara auto contemplandosi. Ci si prepara perché il regno dei cieli è vicino. Perché viene il regno di un altro. La meraviglia e lo splendore, della zona, del luogo, del momento che non è in realtà un tempo e non è un luogo, della dimensione in cui Dio è finalmente il nostro re. Allora bisogna prepararsi e ci vuole uno che gridi nel deserto. Questa è una citazione del profeta Isaia che annunzia il ritorno del popolo dall’esilio. C’è da preparare la via del Signore, c’è da raddrizzare i suoi sentieri. Ecco è interessante. Noi leggiamo questo termine che appunto vorrebbe indicare che cosa è la conversione, che cosa è prepararsi sul serio. Preparare la via del Signore, raddrizzare i suoi sentieri. Allora pensiamo ai nostri atti da rimettere un pochino al posto giusto. Smettere di essere un po’ tortuosi, raddrizzare i nostri sentieri. Ma quelli sono i nostri di sentieri! Qua di parla di preparare la via del Signore e di raddrizzare i suoi sentieri. Questi sono termini tecnici dell’antico testamento per indicare la legge di Dio. Quale è l’indicazione di Giovanni Battista. Infatti lui parlerà molto concretamente, nei vari testi che si riferiscono a lui, di tornare ad un’obbedienza autentica.
Quale è la tendenza dell’uomo? Addomesticare le vie di Dio. Addomesticarsi sulla propria sagoma una comoda lettura della via di Dio. Storcere i sentieri di Dio. Cioè metterci di fronte a Dio addomesticandolo, un pochino facendolo diventare il nostro cappellano. Che viene da noi e ci dà la benedizione sulle nostre iniziative.
Qui si tratta di raddrizzare i suoi sentieri. Di preparare. Porsi di fronte. Pre-pararsi. Cioè guardare una cosa frontalmente, cioè, prepararla prima, puntarla. Prepararla. Si tratta di mettersi di fronte alle vie di Dio. Noi siamo innamorati dei nostri pensieri. Tornare ad aprirsi ai pensieri di Dio.
Perché le mie vie, dice sempre il profeta Isaia, non sono le vostre vie, i miei pensieri, non sono i vostri pensieri. Allora si tratta di qui di ricominciare a guardare la volontà di Dio per ognuno di noi. Una santa domanda che forse molti non si fanno da tempo. Quale è la volontà di Dio per te? Quale è il progetto di Dio per te? Quale è l’indicazione che Dio ti dà? E uno resta così. Tanta gente, tanti nostri confratelli nella vita cristiana, rimangono così. Restano un pochino interdetti. “ Perché c’è una volontà di Dio per me?” Da quanto tempo non ti chiedi quale è la volontà di Dio per te. Mettersi di fronte ad una cosa un po’ più asciutta. Questa mise di Giovanni Battista che veste con peli di cammello, una cintura di pelle intorno ai fianchi. Questo vestito arcaico, questo vestito che sa di selvatico. Questo mangiare cavallette e miele selvatico. Questa dieta piuttosto curiosa. Che cosa è? E’ un uomo che torna all’origine. E’ un uomo che torna al tempo in cui Israele era stato chiamato. Al tempo del deserto, quando si camminava e Dio parlava con il popolo e gli indicava le sue vie. Tutti quanti abbiamo avuto un tempo in cui Dio ha parlato al nostro cuore, forse ci siamo un po’ persi. Speriamo che sia quello presente il tempo in cui Dio parla al nostro cuore. Ma c’è stato un momento importante in cui siamo stati più vicini. Magari eravamo più giovani. Era un momento in cui avevamo il cuore più aperto a Dio, in cui sentivamo che lui ci stava indicando una strada.
Poi abbiamo iniziato a impastare. Abbiamo addomesticato la cosa. Abbiamo imparato un arte di cui parla qui Giovanni Battista. Vedendo farisei e sadducei venire al suo battesimo gli dice:” Razza di vipere”, cioè figli di un serpente “ chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente”. C’è una cosa che abbiamo imparato. A non preoccuparci alle conseguenze dei nostri atti. A non pensare che vi è collegata una santa ira di Dio ai nostri errori. Non dobbiamo vedere questo termine in senso negativo. C’è una conseguenza alle cose. Le cose quando sono mal fatte, procurano dolore. In quello c’è un amore di Dio per gli uomini. Se hai fatto soffrire qualcuno, ma che Dio non lo ama quello? Dio non lo difende quello? Ci sta un meccanismo nella realtà che è un meccanismo anche di conseguenza di dolore che anche serve per risvegliarsi. Per rendersi conto del male fatto, qualcuno ci insegna a sfuggire all’ira imminente. A credere che fai il male e non succede niente. Menti, e non succede niente. Sei trasandato nella cura delle cose buone della tua vita e questo non le pregiudica. Non è vero per niente. Questo è un tempo per raddrizzare le vie di Dio. Rendersi conto che le vie di Dio sono dritte. Sono semplici e chiare. Non sono cose dove possiamo trattare. No. No. Il male procura dolore. Continuare ad avere un andazzo schiatto nel trattare se stessi e il prossimo, procura dolore. Questa è una cosa che ci prepara ad incontrare il Signore perché ci mette di fronte a noi stessi con la nostra debolezza e con il senso anche dei nostri errori che ci serve. Se viene un salvatore, se viene qualcuno che ha in mano la pala e pulirà la sua aia, che raccoglierà il frumento nel suo granaio e brucerà la paglia con fuoco inestinguibile, stiamo così indicando un fatto. Arriverà qualcuno che farà chiarezza. Butterà via la scoria, ci libererà da quello che non è buono, non ci salva. C’è chi vuole restare nell’ambiguità, c’è chi non vuole l’arrivo del Messia. Il messia arriva. Viene. Viene tante volte. Ci visita tante volte attraverso i fatti della nostra vita. La santa provvidenza di Dio ci chiede di liberarci dalla pula, di liberarci dalla paglia inutile, da questo nulla che portiamo addosso e che non ci serve. Preparare la via del Signore vuol dire, asciugarsi, semplificarsi. Questo è un tempo. Il tempo dell’Avvento è un tempo splendido per ritornare in se stessi. Per risvegliarsi per ricordare il bene ricevuto e per staccarsi dal male.

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica.
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domenica 10 ottobre 2010

Luca 17, 11-19 - Il lebbroso sanato e salvato - Commento al vangelo di don Fabio Rosini

28° domenica del Tempo ordinario - 10 ottobre 2010 –

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Luca 17, 11-19
11 Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. 12 Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, 13 alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». 14 Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. 15 Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; 16 e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17 Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? 18 Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?». E gli disse: 19 «Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!».
Noi abbiamo in questo vangelo il racconto di dieci lebbrosi che si fermano a distanza e gridano:” Gesù, maestro abbi pietà di noi!” Ecco. Attraverso questa situazione già abbiamo degli elementi. I lebbrosi si fermano a distanza. Certo. Regola del lebbroso era stare lontani dai sani. Il lebbroso era un uomo solo, che doveva allontanare. L’immagine della lebbra è un’immagine esistenziale molto forte, molto profonda. Parla di questa malattia dell’io che non permette all’altro di avvicinarsi. Parla del contagio. Parla di un male che lascia alla larga il prossimo. Infatti questi a distanza chiedono pietà. Gesù dice loro:” Andate a presentarvi ai sacerdoti”. Questi vanno e mentre vanno vengono purificati. Notate bene. Perché dice “Andate a presentarvi ai sacerdoti”?. L’antico rito della purificazione del lebbroso indicava che nel caso di guarigione di un lebbroso, colui che doveva dire “il lebbroso è guarito può essere riammesso nel villaggio” era il sacerdote il quale doveva verificare le piaghe e dichiarare ufficialmente la guarigione. È interessante che Gesù non è che li guarisce e quindi li manda. Li manda e quindi li guarisce. I lebbrosi dovranno partire, avviarsi verso il sacerdote, ma partono da lebbrosi. E qui c’è il segreto di questa guarigione. E' una storia che torna in vari passi della Scrittura. Ce ne è una in particolare, proprio che riguarda un lebbroso. Naaman il siro, che viene guarito dal profeta Eliseo e viene guarito su un atto di semplice obbedienza. Lavarsi sette volte nel Giordano. Questa cosa qui indica un atto stupido, piccolo, infinitesimale che dovrebbe risolvere un grande problema come la lebbra. Ed è proprio nell’obbedienza che risiede la cifra di questa guarigione. Altri casi di obbedienza li abbiamo nell’antico testamento. Però il caso di questo lebbroso il quale è uno straniero che viene guarito. Perché? Perché fa una cosa che a lui sembrava stupida.
Questi signori partono per andare verso i sacerdoti e c’è in questo un piccolo atto di obbiedienza. Fare una cosa illogica. Perché avrebbero dovuto dire: ”Prima guariscimi, poi andrò dal sacerdote!” Loro vanno. Mentre essi andavano furono purificati.
Ma la parte più nobile della storia viene qui.
Uno di loro vedendosi guarito torna indietro lodando Dio a gran voce. Ed ecco che cosa succede? Che si può guarire, ma malgrado questo può non cambiare il nostro cuore. Molta gente si aspetta miracoli nella vita. Ma! Sarà così importante? Cosa serve avere un corpo sano e un cuore malato? Meglio avere magari un corpo malato e un cuore sano. Ho visto persone in un letto di ospedale con un cuore pieno d’amore.
Allora dieci sono sanati, ma uno solo torna a ringraziare. Uno solo torna perché capisce che la cosa ha una portata più grande. Non basta la guarigione qui ci vuole la relazione. Non basta essere stati guariti, questo uomo vuole tornare da Gesù, vuole prostrarsi a Lui. Vuole avvicinarsi e curiosamente questo uomo è un samaritano, uno straniero. “Gli altri dove sono?” dice Gesù. Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio all’infuori di questo straniero? Ecco. È interessante che è lo straniero che torna a ringraziare. Così come nell’antico testamento la storia del lebbroso guarito per eccellenza è quella che abbiamo citato in precedenza, di Naaman il siro, uno straniero che viene guarito e dirà Gesù proprio nella sinagoga a Nazareth “ C’erano molti lebbrosi al tempo di Eliseo eppure nessuno fu guarito se non Naaman il siro”, è uno straniero che ha capito la storia. Perché dieci, appunto, ripetiamo la storia, sono stati sanati, uno solo riceve però una parola un po’ più grande. Infatti dopo che Gesù ha detto: “ non si è trovato nessuno che sia tornato indietro a rendere gloria a Dio al di fuori di questo straniero”, gli dice: ”Alzati e va, la tua fede ti ha salvato! Gli altri sono solo sani. Tu sei salvo!" Dieci sanati, uno salvato.
La salvezza è molto più che la salute. La salvezza che è aver trovato il Signore, aver trovato l’ axis autentico della vita, aver trovato il punto di riferimento e aver trovato la vita che va verso il bene e non va a casaccio, questo dipende dalla gratitudine, dipende dall’aver accolto il vero segno dei benefici ricevuti.
Quanta gente ingrata che c’è in questo mondo. Quanta gente ingrata verso Dio. Quanta gente che non ringrazia. Che non conosce ringraziamento. Chi è che ringrazia? Uno straniero. È tipico. Questo è molto importante. Perché, di fatto, lo straniero è quello che è imbarazzato. È quello che vive tutto come una cosa che non gli spetta perché lui è straniero. Gli israeliti, vedendosi guariti, non hanno da ringraziare, ma un samaritano, si vede guarito da un israelita, che dovrebbe essere un suo antagonista, torna a ringraziarlo perché capisce che è regalo quello che riceve.
Per avere il cuore pieno di gratitudine, bisogna mantenersi stranieri. Bisogna mantenersi persone sorprese da quello che ricevono. Noi abbiamo questa tendenza a banalizzare tutto. A rendere tutto ovvio. A diventare gente così, che tanto tutto è acquisito, tutto è possesso, tutto è proprietà, tutto è già mio. Mi salvi? Certo che mi salvi. Ho diritto. Questa è una cosa che me la prendo, me la metto nella saccoccia e vado avanti. Che mi importa a me? Lo straniero, l’estraneo, quello che è nuovo. Quando arriva una persona nuova in un ambiente è nuova, è attenta, misura le sua parole, i suoi passi, poi, dopo un mese, non si ricorda più niente. Dopo un mese è sciatto, non ci bada più. Mantenersi stranieri, nella vita cristiana, sapere le grazie che riceviamo. Noi diamo per scontato tutto ciò che riceviamo. Tante volte, quando una cosa la perdiamo, capiamo di averla. Solamente quando un arto ci fa male capiamo quanto è bello avere quell’arto. Quando una cosa ci viene sottratta capiamo la grazia di averla. Per questo dobbiamo mantenere un’anima lucida, mantenerci stranieri, mantenerci estranei, mantenerci sorpresi dal fatto che Dio ci dia di fare le cose che facciamo. Sorpresi della parola che ci rivolge, della grazia di poter celebrare questa santa messa di questa domenica. Della grazia di avere la Parola, la fraternità cristiana a tutto quello che ne consegue. Mantenersi stranieri ed imparare che quando uno è avvezzo, uno non vede più niente.
Quando due coniugi si sposano, i primi tempi sono molto attenti l’uno all’altro, poi diventano abitudinari, questa routine, allora iniziano a mancarsi di rispetto, iniziano a non essere più curati l’uno verso l’altro e poi magari poi succede che c’è il rischio di vita dei due coniugi e l’altro si rende conto quanto è bello avere accanto l’altro.
Per questo la nostra vita è precaria. Per questo Dio ci artiglia molto spesso con cose che ci fanno tremare. Ringraziamo Dio che la vita, molto spesso, ci balli sotto i piedi, ringraziamo Dio che le cose non siano mai sicuri. Per mantenerci stranieri, sorpresi e grati di quello che abbiamo. Ringraziamo Dio che niente ci è dato in possesso definitivo, ringraziamo Dio di essere stranieri anche se ce lo dimentichiamo. Stranieri rispetto alla salvezza, stranieri rispetto alla bellezza, alla vita e al paradiso. La vita di un cristiano è la vita di un pellegrino che sa di non stare a casa sua e di andare verso una meta. Se mi dimentico di essere un pellegrino e mi istallo, dimentico la gratitudine, dimentico la bellezza della meta.
Possa il Signore donarci di svegliarci spesso, di essere vigili, molto spesso al riguardo della nostra reale condizione ed accettare quello che è verità. che tutto è grazia, tutto è dono, e noi lo possediamo perché Lui è magnanimo e non perché ce lo meritiamo. 

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica.

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giovedì 7 ottobre 2010

Luca 17, 5-10 - Essere servi inutili - Commento al vangelo di don Fabio Rosini

27° domenica del Tempo ordinario - 3 ottobre 2010 –

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Luca 17, 5-10 Siamo servi inutili
5Gli apostoli dissero al Signore: 6«Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe. 7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? 8Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? 9Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».

Il brano che ascolteremo è tratto dal capitolo 17 secondo Luca. Gli apostoli chiedono a Gesù di accrescere la loro fede. La risposta di Gesù non è immediatamente comprensibile.
Si. Loro chiedono la fede, ma gli apostoli rispondono in un modo paradossale “ Se aveste fede come un granello di senape potreste dire a questo gelso sradicati e va a piantarti nel mare” ed esso vi obbedirebbe. Cosa vuol dire questa risposta? Questa è una risposta con un linguaggio paradossale, tipico semitico, ma sradicare un gelso, se uno ha presente come è fatto un gelso, è una cosa enorme, uno degli alberi dalle radici più poderose, e piantarsi nel mare siamo assolutamente nell’assurdo. Cosa vuol dire? Fare una cosa difficilissima, assurda, assolutamente inarrivabile.
Questo è legato ad una quantità. Avere fede quanto un granello di senape. Un granello di senape è un oggetto infinitesimale, è piccolissimo. Altre volte viene paragonato al regno dei cieli in quanto una cosa piccola che produce una cosa grande, ma qui è preso semplicemente come un’unità di misura. E’ una cosa quasi non guardabile con l’occhio. Si vede poco con gli occhi. Si perde. Si può confondere.
Allora i discepoli hanno chiesto: “Accresci la nostra fede!” introducendo un argomento quantità. Accrescere, aumentare. La fede, risponde Gesù, non è una quantità. Quantificare la fede. Avere la fede quanto un granello di senape, poter fare chissà che cosa, poter fare le cose più impossibili e assurde, peraltro inutili, non è qui il punto. La fede non è una quantità. La fede, non ne dobbiamo avere tanta o non so quanta. La fede è un atto. La fede è adesso fidarsi di Dio. Tu mi dici:”Aumenta la mia fede!” e Cristo risponde “ E io ti dico: pratica la fede!”. Questo è vivere la fede. Non è una questione di quantità. Perché la fede non ce l’abbiamo mai in tasca. La fede non ce l’abbiamo per certa. Quante volte tocca sentire: “ Ah, io ho tanta fede!” Mammamia. Beato te, una quantità di fede..quanti kili dimmi?
Non è questo il punto, infatti questo testo, ci introduce in una logica che è una logica di un servizio. Non è un risultato quello che dobbiamo ottenere, ma è entrare in una logica di servizio. Il servizio che siamo chiamati a fare ci porta a capire una cosa. Non è che uno una volta che ha fatto un atto di fede in Dio, una volta che si è aperto alla fiducia in Dio, ha aperto il cuore all’amore di Dio, questa cosa porta ad uno status che è definitivo. Allora io, siccome ho fatto queste cose sono arrivato. No! Si ricomincia sempre da capo. La fede è così. Fai delle cose straordinarie? Fai delle meraviglie? Resti un povero. La fede non la possiedi mai. La fede è una cosa che ti chiede sempre di crescere, di camminare. Ti svegli la mattina e devi entrare nella fede. Ti svegli la mattina e la fede di ieri non è la fede di oggi. E’ la fede di oggi che ti serve, non è la fede di ieri. Anche se la fede di ieri ti aiuta, ti sostiene, ti incoraggia, ti rende più facile l’atto.
E qui arriviamo così a questo termine celeberrimo, questo dei servi inutili. Mi si permetta di dire qualche cosa di un pochino insolito a riguardo di questa definizione.
Al termine di questo testo che parla del fare quanto Dio ci dà da fare, questo è la fede, compiere il nostro servizio e in quello esser contenti e in quello vivere la fede. “Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite, siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. L’idea è quella di essere inutili. Ecco, ne deriva un concetto molto umile di non essere imprescindibili, cosa sicuramente importante, che ci serve, però proprio perché inutile, già nel latino vuol dire una cosa un po’ diversa. In utilis, cioè colui che non ha utile. Nel termine acreios, c’è un alfa privativo rispetto ad un termine che indica chi ha diritto a salario. Siamo senza diritto a salario. Non mi si deve pagare. Siamo senza utile. Inutili per questo. E infatti dicono:” Siamo servi che non devono esser pagati perché abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
Ovverosia. Qua si tratta di capire che la ricompensa della fede, è la fede stessa. Che non ho bisogno di avere una quantità di risultato, non ho nessun bisogno di esser pagato, per vivere la vita della fede. È vivere la vita della fede la ricompensa a se stessa. Cioè la realtà di vivere le cose di Dio, di lavorare nella sua vigna, già è salvezza.
Quando noi vediamo persone, che anche nella Chiesa, fanno servizi e poi fanno rimostranze, passano il conto, presentano, appunto, i loro diritti perché hanno fatto dei servizi, abbiamo di fronte persone che non hanno ricevuto la vera ricompensa. Loro la ricompensa la vogliono dagli uomini, dai riconoscimenti, la vogliono in questo mondo, anche se sono nella Chiesa. La vera ricompensa è proprio il servizio. Il servizio che Dio ci dà da fare. È quella la nostra gioia, il nostro tesoro. Lavorare nella vigna del Signore. San Paolo dice queste cose qui. “Non è per me un vanto, ma come potrei vivere senza fare questo? Come potrei vivere senza evangelizzare, senza annunziare il Vangelo”. Infatti, dice la seconda lettera ai Corinzi, Dio ama chi dona con gioia. Dio ama questo ilare donatore che è colui che da volentieri, colui che da essendo felice di dare. Noi abbiamo un esercito di cristiani con la busta paga in mano che vogliono essere pagati, che vogliono il pagamento dei loro atti cristiani, dei loro atti di fede.
Questo è essere abbastanza ingannati sulla fede. Vivere servendo Dio è il dono. Vivere potendo fare le cose belle che Dio ci dà da fare, ma che altro vogliamo avere? Ma che cosa c’è di più bello di poter servire l’unico che va servito. Di andare la sera a letto pensando:” Ho compiuto la mia missione!” Ma cosa voglio di più io dalla vita. La fede è vivere così. Se io voglio qualcosa da mettere in tasca come conseguenza, una quantità che mi possa dare una certa sicurezza, non ho capito cosa Dio mi dà da fare. Dio deve esserci grato a noi per quello che facciamo? Mah! Poi Lui lo è perché è buono, è generoso, è magnanimo. Ma noi dobbiamo essere, come dire, riscattati da questa mentalità economica per cui tutto deve essere pagato. Per cui tutto deve avere un riscontro. Non siamo entrati nella logica della fede. Dio ha diritto di chiedermi dei servizi? Certo! Certo! Dio ha diritto di chiedermi di compiere una missione? Sicuramente si! Quale sarà la mia ricompensa? Compiere la missione. Le cose che Dio mi chiede, sono regali che mi fa. Le cose che Dio mi chiede di fare sono le sue grazie che mette nella mia vita. Guai a me, se servo qualcun altro. Guai a me, se sto davanti a Dio come chi pretende, noi siamo chiamati ad essere contenti delle cose buone che abbiamo l’occasione di fare. Quella è la nostra ricompensa. La fede? Si esercita lì. La fede, cresce lì. La fede aumenta, se deve aumentare, lì. Nella pratica di quello che è ciò che Dio ci chiama a fare. 

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica.

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domenica 26 settembre 2010

Luca 16, 19-31 Il ricco Epulone - Commento al vangelo di don Fabio Rosini

26° domenica del Tempo ordinario - 26 settembre 2010

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Luca 16, 19-31

19C 'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. 20Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. 25Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi. 27E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento. 29Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro. 30E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno. 31Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi».
Il brano presenta la parabola del povero Lazzaro e del ricco, così detto Epulone, secondo la tradizione. Noi dobbiamo capire, attraverso questa parabola, che cosa c’è di noi, cosa arriva a noi, perché sembrerebbe, la storia di un uomo ricco che indossa vesti di porpora e di lino finissimo e ogni giorno banchetta lautamente e un povero che sta alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco, ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Bisogna capire questa cosa dei cani che è il fatto che vengono a leccare, per gli animali il fatto di leccare è la cura, per cui i cani avevano cura di Lazzaro, le sue piaghe erano leccate dai cani, vuol dire che gli animali si rendevano conto di come stava questo poveraccio, ma il ricco no. Il ricco non lo vedeva. Notare che Lazzaro, il povero Lazzaro, sta alla sua porta. Il ricco muore dopo che è morto il povero. Il povero, Lazzaro, va nel seno di Abramo. Il ricco va negli inferi, tra i tormenti. E chiede, è interessante, di mandare Lazzaro ad intingere nell’acqua la punta del dito per bagnargli la lingua. E’ interessante che lui comunque pensa a Lazzaro come un subalterno. Lazzaro lo deve servire. Lazzaro è uno che non conta niente. Continua la mentalità di questo che è uno che pure all’inferno è convinto che Lazzaro gli deve fare un servizio. Qui abbiamo l’immagine di un esito agghiacciante, di un esito serissimo, di una separazione fra le cose molto molto grave.
Nella tua vita, caro figliuolo, tu hai avuto i tuoi beni e Lazzaro i suoi mali, ma ora in questo mondo lui è consolato tu in mezzo ai tormenti, ma fra lui e voi è fissato un grande abisso. C’è un grande abisso. Questo è molto serio. E’ imbarazzante. Certo c’è un grande abisso tra l’inferno e il paradiso. Fra la luce e la tenebra c’è un grande abisso. Ci sono esiti diversi alle vite. Ci sono esiti drammaticamente, inappellabilmente diversi. Questo ci fa un po’ angoscia, ma questa angoscia è santa, ci serve, capire che non è che noi viviamo e tutto quello che viviamo è niente. No. Quello che viviamo è serio. Già in questa vita esistono questi abissi, ma in questa vita si può rimediare, ed è molto importante che lo ricordiamo. Però c’è una differenza molto grande fra fare il bene e fare il male. C’è una differenza molto grande fra chi si occupa del prossimo e chi non se ne occupa, fra chi si apre al regno dei cieli e chi non si apre. Questa differenza c’è, è inutile che dicano che tutto è uguale in questo mondo relativista, in questo mondo che appiattisce tutte le scelte come scelte identiche. No. Non sono identiche e non è lo stesso. C’è gente che soffre tanto, tantissimo e c’è gente che sta bene. C’è tanta gente che vive una vita bella. Ci sono tante famiglie che vivono una vita serena, luminosa, sana. Non siamo tutti destinati allo stesso. Nel senso che le nostre scelte sono scelte serie. Bene. Questo abisso è drammatico. E il riccone ancora continua ad insistere, visto che non può essere lui alleviato nel suo dolore, chiede che i suoi fratelli almeno si salvino, la sua famiglia, il suo casato. Qui è una questione di interesse di casa, che Lazzaro, comunque pensato sempre al suo servizio, vada ad avvertire uno, vada a dire che qui si sta male. Ecco. Cosa tiriamo fuori dall’amara risposta di Abramo? Che dice “hanno con sé i profeti, che ascoltino loro!” Ma se uno dei morti arriva? Ma guarda che anche se uno arriva dai morti, se uno non le vuole sentire certe cose, se uno non le vuole accogliere, certe cose, non le accoglie.
Avere con sé i profeti. Di che cosa di parla? È il popolo ebraico. Hanno già a disposizione strumenti per salvarsi. Hanno già a disposizione delle strade, dei modi. E qui piano piano siamo messi sulle tracce di qualche cosa che dobbiamo evincere da questa parabola. Questo uomo, questo riccone ha avuto la sua occasione. Ha avuto la possibilità di salvarsi, ma la sorpresa è questa. Piano piano capiamo. Questo pezzente, cencioso, puzzolente che era alla sua porta che lui non guardava nemmeno, che neanche le briciole della sua tavola gli pervenivano, questo orribile inguardabile coso che era lì alla porta di casa sua era la sua porta per i paradiso. Lazzaro era la salvezza del riccone. Lazzaro era l’occasione che il ricco aveva per entrare nel Regno dei Cieli. Noi dobbiamo tener da conto l’ineluttabile differenza fra l’esito del bene e l’esito del male. L’ineluttabile abisso che c’è fra le cose che portano alla vita e le cose che portano alla morte e capire quale è la via della vita. I fratelli hanno una legge e i profeti, hanno Mosè da ascoltare. Questo uomo aveva Lazzaro alla porta da poter servire.
Una cosa che dobbiamo evincere è che tutti noi oggi abbiamo delle porte per il regno dei cieli. Probabilmente le stiamo sottovalutando. E’ possibile che non stiamo entrando per le soglie che Dio ci spalanca che sono atti d’amore, che sono intorno a noi. Che sono gli strumenti della Parola di Dio, i sacramenti, della vita della Chiesa. Non è impossibile salvarsi, non è difficile salvarsi, stà lì alla nostra porta. Abbiamo Mosè e i profeti, abbiamo occasioni per entrare nel regno dei cieli. Questa parabola viene perché noi prendiamo in mano la nostra vita e scopriamo che tutto quello che abbiamo intorno può essere una porta per la grazia, può essere la soglia del Paradiso. E pensare, forse di fronte ai fatti che presentemente stiamo rifiutando della nostra esistenza, quelle cose che no guardiamo perché sono sporche, sono cenciose, sono antipatiche, sono invece, una grazia, sono invece un’occasione per fidarci di Dio, per rispondere al suo amore, per rispondere alla vita, secondo la sua alta vocazione di essere una chiamata all’amore.

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica.

sabato 25 settembre 2010

Franco Battiato - Ti vengo a cercare

E ti vengo a cercare
anche solo per vederti o parlare
perché ho bisogno della tua presenza
per capire meglio la mia essenza.
Questo sentimento popolare
nasce da meccaniche divine
un rapimento mistico e sensuale
mi imprigiona a te.
Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri
non accontentarmi di piccole gioie quotidiane
fare come un eremita
che rinuncia a sé.
E ti vengo a cercare
con la scusa di doverti parlare
perché mi piace ciò che pensi e che dici
perché in te vedo le mie radici.
Questo secolo oramai alla fine
saturo di parassiti senza dignità
mi spinge solo ad essere migliore
con più volontà.
Emanciparmi dall'incubo delle passioni
cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male
essere un'immagine divina
di questa realtà.
E ti vengo a cercare
perché sto bene con te
perché ho bisogno della tua presenza

Franco Battiato

domenica 19 settembre 2010

Luca 16, 1-13 - L'amministratore disonesto - Commento al vangelo di don Fabio Rosini

25° domenica del Tempo Ordinario - 18 settembre 2010

Radio vaticana – Orizzonti cristiani

Commento al Vangelo di Don Fabio Rosini

Luca 16, 1-13 L'amministratore disonesto
1 Diceva anche ai discepoli: «C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. 2 Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore. 3 L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno. 4 So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua. 5 Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo: 6 Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta. 7 Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta. 8 Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. 9 Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. 10 Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto.11 Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? 12 E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? 13 Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona».
Questo brano presenta una parabola controversissima, ed è molto difficile capire di primo acchitto, quello a cui serve questa parabola. E' la parabola dell'amministratore disonesto, il quale, viene chiamato in causa per render conto della sua amministrazione, e allora falsifica i dati dei debiti dei debitori del suo padrone e così ottiene di salvare la pelle. Sembra un assurdo, che questa parabola venga usata. In realtà dobbiamo dire che è proprio qui che viene detta questa frase un pò enigmatica di Gesù Cristo, al termine di questa storia sorprendente: " ...i figli di questo mondo infatti, verso i loro pari, sono più scaltri dei figli della luce..". Questa frase, che ha varie implicazioni, tra le altre cose significa questo. Sto parlando di un esempio, dice Gesù. I figli delle tenebre, i figli di questo mondo, coloro che hanno come regola della loro vita il denaro se la cavano secondo una logica di scaltrezza che i figli della luce non hanno, che non gli appartiene.
Ma questa scaltrezza, è un esempio. Sotto il punto di vista proprio di un'analogia. Ecco dobbiamo capirlo questo fatto qua. Questa parabola è inutile cercare di spiegarla all'interno di un mondo simbolico che faccia riferimento diretto alle realtà della nostra fede. No. Questa è un'analogia. Si vede un uomo qui che ha capito una cosa. Ha capito che è finito il tempo in cui fa quello che gli pare. Deve farsi degli amici. Deve trovare delle amicizie per il fatto che lui dovrà lasciare l'amministrazione. Allora cosa fa? Usa la disonesta ricchezza per farsi amici. Usa ciò che gli è stato messo in mano, nel poco tempo che ha a disposizione, mentre ancora non ha reso conto della sua amministrazione per catturare amicizie e appoggi. Noi dobbiamo uscire completamente da questo fatto in sè, da questo atto in sé ed usarlo analogicamente. E parlare del fatto che i figli della luce hanno un altro mondo, hanno altre ricchezza. Infatti si parla qui di ricchezza vera e di ricchezza falsa. Si parla di essere fedeli, ad un certo tipo di mondo, al poco, e di essere fedeli al molto. Secondo varie coordinate questa frase è importante. Allora quando una persona di trova nel mondo del denaro, e deve farsi tornare i conti, ha una sua abilità, se la sa cavare. Questa abilità poi, chissà com'è, al momento di stare nel mondo delle cose sante, uno se la dimentica. Uno diventa una persona incapace, ignorante, impreparata. Ma è quella sapienza che va finalmente applicata alle cose sante. Se noi andiamo a vedere molti santi, erano dei peccatori. Erano delle persone che erano stati molto molto bravi nel male e nella redenzione, quella sapienza diventa la loro forza per essere capaci di tirare fuori il massimo dal dono di Dio. C'è una sapienza che noi dobbiamo applicare, dobbiamo sapere commerciare nell'ambito della fede. Noi non siamo chiamati ad essere dei cristiani inebetiti, addormentati, un pò tontacchioni, ma sapienti, vivaci, limpidi, che usano le cose di Dio sapendo bene quanto è importante ciò che hanno in mano.
Veniamo quindi a capire quale è uno dei messaggi importanti di questo vangelo.
Cosa è la scaltrezza dei figli della luce?
Il sapere farsi amici con la ricchezza disonesta perché quando questa verrà a farsi mancare essi ci accolgano nelle dimore eterne. Sapere che c'è una ricchezza vera ed una ricchezza falsa. Sapere che il denaro è una ricchezza falsa. I beni di questo mondo sono una ricchezza falsa perché avranno un termine, non hanno stabilità. Non avranno durata. Sono tutte cose che ci saranno tolte, che ci saranno strappate.
Allora dobbiamo cominciare a capire come vanno usate queste cose qui.
Farci scaltri come quell'amministratore per iniziare a capire che il denaro è strumento di salvezza se lo addomestichiamo e lo sottomettiamo al bene. Se facciamo del denaro uno strumento di amore, ecco che quello, che di per sè era niente, diventa mezzo di salvezza, mezzo di redenzione. Incredibile. La disonesta ricchezza può diventare sistema per diventare la ricchezza vera.
C'è una forma di vivere, di relazionarci al denaro, che è secondo la luce. Che è finalmente non essere schiavi di questo mondo, ma essere signori, padroni di questo mondo.
Però in questo ambito si approfondisce il vangelo ed iniziamo a capire che qui si tratta di una scaltrezza che è fedeltà. L'argomento infatti che viene ripetuto è questo essere fedeli nel poco, nel molto, nell'importante, nel secondario.
La pasta della sapienza dell'amministratore è la disonestà. Quante volte viene ripetuto che è disonesto. La pasta della sapienza dei figli della luce è la fedeltà. Qui si contrappongono disonestà e veracità, fedeltà.
E come si esercita la fedeltà?
E' interessantissimo e utilissimo quanto riceviamo da questo vangelo. La fedeltà comincia dal poco. Comincia dalle cose piccole. La nostra vita cristiana è fatta di piccole fedeltà che diventano la grande fedeltà della vita cristiana. Noi occidentali, capiamo poco la mentalità orientale soggiacente ai vangeli. Noi siamo gente astratta, concettuale. Quando qualcuno ci parla diciamo: "Va bene, quale è il nocciolo? Quale è il punto?" Ed è una forma anche un pò violenta di ascoltare il prossimo. Gli orientali che hanno la loro attenzione molto più spostata sui verbi, sugli atti verbali, sulle azioni, molto meno sui concetti, sanno che sono le azioni che ci salvano, non i concetti. Sanno che le cose sono fatte di piccoli atti, che è inutile dire un concetto astratto, bisogna vedere che cosa è l'esperienza di quell'evento o di quell'oggetto. Quindi, la vita cristiana è fatta di piccole fedeltà, di piccoli fatti. Noi crediamo, con il nostro atteggiamento concettuale che i grandi atti, i grandi momenti, i grandi fatti verificano un uomo. No. Non è vero per niente. Un uomo si verifica con i piccoli atti, si verifica per i particolari. Si verifica per la cura che ha nelle piccole cose. L'amore non è un atto di fondo. E' un atto particolareggiato. Amare una persona, vuol dire essere attenti a quello di cui ha veramente bisogno. Essere attenti ai particolari che sono qui ed ora veramente urgenti. Non è un concetto astratto, una cosa generica. Molti pensano: " Bè, faccio delle piccole trasgressioni, ma poi, di fondo sono cristiano". Uhm. Uno pensa di dire una cosa intelligente. Dice una cosa profondamente stupida. Se io sono disposto a mandare la coscienza in letargo per piccole cose, figuriamoci se non sono disposto a farlo per grandi cose. Se sono disposto a far tacere la mia coscienza per non pagare una cosa che è dovuta, che è piccola "...ma è piccola!", ma se per una cosa piccola non sei disposto a sacrificarti e a obbedire alla tua coscienza, lo farai per le cose grandi? Se sei disposto a rubare un euro vuol dire che sei molto più disposto a rubare un milione di euro. Le persone si valutano dai particolari. Per capire le persone bisogna guardare come si comportano nelle piccole cose, quando nessuno le guarda, quando uno non conta niente, è lì che esce fuori la fedeltà. La nostra vita cristiana è fatta di una fedeltà a Dio che passa per le cose piccole. E' fatta di preghiera quotidiana. E' fatta di adesione a precetti semplici. Piccoli piccoli, ma che farli o non farli cambia tutto. La nostra vita cristiana è un tessuto costituito di un filo. Il filo delle piccole cose in cui ci fidiamo di Dio. C'è una eredità meravigliosa collegata alla piccola obbedienza della vita cristiana. La nostra cultura cristiana è stata erosa, distrutta, non dal fatto che ci hanno tolto la possibilità di celebrare le nostre feste, non dal fatto che ci hanno tolto la possibilità di fare grandi manifestazioni, ma dal fatto che la nostra vita è piena di piccole cose completamente estranee al cristianesimo. E' fatta di piccole cose incompatibili con la fede come oroscopi, gossip e stupidaggini simili che in realtà inzeppano il nostro cervello e ci portano al momento in cui dovremmo produrre il grande atto cristiano, svuotati.
Il vangelo di questa domenica è un vangelo molto utile. Bisogna esercitarsi nella cura delle piccole cose e bisogna addomesticare quel grande padrone di questo mondo che è il denaro, perchè con questa disonesta ricchezza, noi coltiviamo atti che ci portano verso il Regno di dio. Possa la nostra vita cristiana diventare una vita che ha zelo, che ha cura. Alimentata di piccole cose. Un matrimonio si salva per piccole cose, però quotidiane, fatte sempre. I dialoghi non evitati. Parole non dimenticate. Atti non trascurati. La crescita di un bambino felice è una questione di cura. Di piccole cose, di particolari, di cura che si esplica in piccole fedeltà che diventano una grande fedeltà.

NB. Il testo non è stato rivisto e corretto dall'autore e risulta semplicemente dalla trascrizione della trasmissione radiofonica.

IL CAMMINO DELL'UOMO

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Marcia francescana 25 luglio - 4 agosto 2003