Il giorno 28 febbraio 2024 è stato celebrato il funerale di padre Francesco Rossi De Gasperis nella Chiesa del Gesù a Roma. Riporto la trascrizione dell'omelia che è stata fatta da padre Cesare Geroldi. Se qualcuno che legge volesse inviare un proprio ricordo di padre Francesco Rossi De Gasperis, una riflessione, una testimonianza, un saluto o altro può scrivere alla email: francescorossidegasperissj@gmail.com.
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28 marzo 2014 - padre Francesco Rossi De Gasperis S.I. alla Pontificia Università Gregoriana per l'ultimo incontro di commento alla Lettera di Pietro, mentre si congeda. |
Omelia
Tocca a me dare la voce a voi. Mai avrei pensato, quando lo incontrai la prima volta, da studente all’Università Cattolica, che sarebbe toccato a me fare l’omelia davanti alla bara di Francesco. Era il 1981, venne a fare un seminario nel corso di Storia della Filosofia moderna. Da allora cominciò tutta una relazione di amicizia, di stima, di dialogo, di discepolato anche per me. Ecco sono qui a esprimere, a dare il timbro di voce a quello che è dentro ciascuna e ciascuno di voi in questo momento. Forse con qualcuno di voi ci siamo visti nel 2019, nella Cappella dell’infermeria al Canisio, quando abbiamo celebrato i 75 anni di Compagnia di Francesco. Vi ricordate quell’omelia di sei minuti in cui diceva: «Insomma sono settantacinque anni che mi firmo Francesco S.I., Societatis Iesu, “della Compagnia di Gesù”. Ma, in italiano, si legge “sì”. È il “sì” che il Signore mi ha detto per settantacinque anni in questa chiamata, che ha suscitato in me il desiderio di rispondergli “sì” per tutto questo tempo». Voi vi ricordate come, con la sua ironia, diceva: «Sono entrato cattolico … adesso mi trovo cristiano». E abbiamo capito cosa voleva dire con questa espressione, perché poi, dopo il Nuovo Testamento, ci abbiamo messo dentro tante cose.
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Roma. Chiesa del Gesù. 28 gennaio 2024 - Padre Cesare Geroldi S.I. durante l'omelia.
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Molti di noi abbiamo ricevuto in questi decenni la Lettera agli amici. L’abbiamo accompagnato. Lui ci ha accompagnato. Qualche anno fa alcuni di noi, giovani padri e scolastici, ci siamo attrezzati di una piccola telecamera e siamo andati nella stanza del Canisio dove già da qualche anno era appoggiato – ma era ancora vigoroso, lucido – e gli abbiamo chiesto di raccontare la sua vita, come era stato chiesto a un certo momento a Ignazio di raccontare la sua esistenza, come il Signore l’avesse guidato. Questo video non abbiamo ancora avuto l’occasione di montarlo. L’intervista venne fatta in due giorni, avanti e indietro. Ma lo faremo, perché è stato per noi molto bello. Francesco fu schietto, come sempre, molto vero, molto libero nel raccontare la sua vita di alleanza con il Signore, la sua vita in Compagnia.
Abbiamo ascoltato tre letture (Dt 34; Sal 87 (86); Mt 28,16-20). Quando è stato chiesto a me di dire qualcosa in questa circostanza, pensavo: “quali letture potrebbero aiutarci a sintonizzarci con questo momento?”.
Mi è venuta in mente questa pagina della Torà, la morte di Mosè, Deuteronomio 34: l’ultimo giorno della vita di Mosè, che sta raccontando alla generazione che non c’era in Egitto, che non ha passato il Mar Rosso, che non era al Sinai …, a quelli che sono nati dopo, il senso, il valore, il dono di Dio che aveva segnato la comunità in Israele. Quindi l’esperienza della liberazione, l’esperienza dell’alleanza sponsale con il tu del Signore al Sinai. E poi la fedeltà del Signore nel cammino del deserto verso la terra della promessa, vivendo di misericordia, tappa dopo tappa. Mi viene in mente questa immagine perché è quello che forse Francesco ha fatto per ciascuno di noi. È stato, come si dice in ebraico, Moshè rabbènu (Mosè nostro maestro). Davvero ci è stato padre, fratello, maestro, con queste “memorie sante”. Quante volte abbiamo ripercorso con lui le “tappe della storia della salvezza”.
Abbiamo pregato un canto di Sion, il Salmo 87: “Il Signore ama le porte di Sion più di tutte le dimore di Giacobbe”. Ancora è vivissimo in me il ricordo di quando, per la prima volta, abbiamo attraversato Shà‘ar Yàfo, la Porta di Giaffa, e siamo entrati all’interno di Gerusalemme.
E poi questo testo evangelico, questa pagina finale del Vangelo di Matteo. Le pagine dei vangeli della resurrezione erano molto care a Francesco, perché – diceva – «tutto parte da lì, dall’incontro con il Vivente, con il Risorto». Questa pagina conclusiva del Vangelo di Matteo che ci racconta dell’appuntamento del Signore, là, in Galilea, «sul monte che Gesù aveva loro indicato». Sono undici perché il dodicesimo è sempre colui che legge evidentemente, siamo noi. In quell’occasione hanno incontrato il Vivente che li ha chiamati a vivere il loro discepolato e vivendolo loro, fare così entrare altri discepoli nella relazione d’amore con il Signore Gesù, Crocefisso e Vivente.
E Gesù Risorto assicura: “Tutti i giorni della vita sarò con voi”. Francesca Giani, sta raccogliendo le testimonianze, le memorie, i ringraziamenti che avete mandato. Una di voi racconta che l’ultima volta che lei è andata al Canisio ha chiesto: “Ma come pensi che sarà questo incontro? … Perché adesso vi incontrate!”. E lui le ha risposto: “Ma io veramente lo incontro tutti i giorni il Signore!”. Questa è proprio la “composizione di luogo” di Francesco: tutti i giorni era davanti all’Invisibile. Quante volte, pensando a Francesco, che ci ha aiutato a “tenere fisso lo sguardo su Gesù, colui che comincia e porta a compimento la nostra fede” (cf. Eb 12,2), ho pensato a quel passo della Lettera agli Ebrei, capitolo 11, versetto 27: « … rimase saldo come se vedesse l’invisibile». Ho avuto sempre la percezione, stando con Francesco, come se per lui l’invisibile fosse più reale del visibile. Quante volte diceva: “Noi siamo sempre legati alle cose concrete”. Ma “concrete”, in inglese vuol dire “cemento”. Certamente Dio non è “concreto” come il “cemento”. Ma è reale: è la nostra Relazione, che ci accompagna dalla mattina alla sera, dalla sera alla mattina.
Siamo qui, adesso, a dire “grazie”, insieme. Ogni tanto quando gli si domandava: “Ma se tu dovessi definire il tuo servizio nella Compagnia?”. Lui diceva: “Io sono un cantastorie, io racconto storie”. E quante volte ci ha aiutato a capire che la fede cristiana non è una dottrina, non si va di concetto in concetto, ma è entrare in una storia, che ha rapito anche noi, ha coinvolto anche noi. Certo ha coinvolto anche lui, perché anche lui ha fatto il “grande viaggio”.
In quell’intervista raccontava un po’ tutta la sua infanzia: alunno del Collegio Massimo (dalla prima elementare alla fine del liceo), con alcuni compagni che poi sono diventati gesuiti – Pio Parisi, Jean Darù …– e poi Pietro Scoppola e altri che hanno avuto un ruolo importante anche nella vita civile di questo paese. Erano gli anni del Fascismo. Lui era scout. E raccontava di come il Fascismo aveva eliminato subito lo scoutismo, però c’era questo padre Maddalena, che al Massimo faceva il maestro, che aveva organizzato la Congregazione Mariana come se fosse lo scoutismo. E diceva: “Fu importante per noi quel periodo!”. Certo dentro la Chiesa del tempo, dentro le categorie del tempo. Ma questo lo portò nel 1944 – stiamo parlando di ottant’anni fa – a trovarsi esattamente al Canisio. Allora quella era una casa di esercizi spirituali: la casa per esercizi del Sacro Cuore. E lui ricordava, in un modo intensissimo, come nel giardino – durante un ritiro, si trattava di fare la scelta – lui avesse sentito, in un modo intensissimo, che Gesù lo chiamava a stare con lui: “Voglio stare con te”. Ed entrò in noviziato, nell’autunno del 1944, durante la guerra. Essendo lui di servizio in cucina – non essendo presente alla comunicazione che venne data al gruppo dei novizi – scoperse che era finita la guerra solo tre giorni dopo l’evento. Era quel tempo là ...
Poi cominciò la formazione. Anche lì ricordava come si era ancora dentro i vetusti schemi della filosofia e della teologia neoscolastica. Una teologia molto concettuale, mentre dalla Francia, e da altre chiese, veniva tutta una corrente nuova. Però diceva di come avesse incontrato in quegli anni anche alla Gregoriana dei padri intelligenti (certo quando uno dice: “ho incontrato dei padri intelligenti”, mi domando: “vuol dire che qualcuno non lo era?”). Ma qualcuno capiva che bisognava ripensare, riformulare il nostro approccio con le fonti. La Bibbia? Quasi niente, diceva, praticamente non c’era quasi niente. Però ecco: la figura di Lonergan fu per lui importante, come è stata importante per padre Carlo Maria Martini. Una capacità di organizzare una filosofia diversa che desse un metodo nuovo alla Teologia.
Insomma fu grato anche di quegli anni, che lo aiutarono a maturare il desiderio di andare in Giappone. E quindi lui – certo, sempre attraverso la mediazione dei superiori che proponevano ... c’era padre Arrupe che faceva scouting tra le province per mandare in Giappone un po’ di rinforzi, dopo la guerra – quindi lui partì per il Giappone. Partì dopo aver fatto la tappa del Terz’anno negli Stati Uniti. Il Giappone fu per lui un’esperienza dolorosa. Davvero la sua vita è stata un grande viaggio a zig zag. È partito pensando di fare il missionario in Giappone. E poi non dormiva. C’erano tensioni. La comunità era molto composita e raccontava come, a un certo punto, lui ha visto crollare dentro di sé questa possibilità di rimanere lì. Non dormiva più la notte (sei mesi che non dormiva più la notte). Questo per dire: un uomo forte? Già, un uomo come tutti noi, fragile. Ci sono dei momenti in cui, davvero, ti senti perso.
Tornò in Italia. E quel rientro in Italia fu un rientro pieno di stanchezza, ma anche di incertezza. Anche se lui disse, appunto in quella conversazione con noi: «Non ho mai avuto un dubbio sulla mia chiamata» (qualche superiore e padre spirituale, quel dubbio lo sollevava …). Ma furono anni di “ri-acclimatamento” anche se, ecco la prima tappa fu proprio qua a fianco, al Gesù: fu fatto rettore del Collegio. Un anno drammatico: ogni settimana usciva dalla Compagnia di Gesù qualcuno … anche l’ex-superiore uscì. Raccontava che andarono da Arrupe che gli disse: «Non si preoccupi padre, al quarto piano abbiamo un ufficio … ogni settimana due/tre domandano di uscire …». Certo fu per lui molto pesante questa esperienza e chiese di essere sollevato da questo incarico.
Cominciò una vita molto semplice, in un appartamento, a Pietralata, con Jean Darù. Quindi, in quegli anni di grandi fermenti, dove ciascuno – diciamo così – “andava per conto suo”, vivendo una vita ordinaria in questo appartamento, avvenne che padre Cascino (il “Barbarossa” … qualcuno di voi forse lo ha conosciuto), che era responsabile della Cappella universitaria della Sapienza, gli chiese di dare una mano lì. E furono gli anni in cui, attraverso questo spazio, entrò in contatto con tantissime persone. Tantissimi ragazzi che facevano l’università e intanto portava la sua scoperta della Bibbia. Aveva fatto gli esercizi con Dossetti, che gli aveva insegnato il metodo della Lectio Divina. E da lì incominciò tutto un servizio della Parola e dello Spirito. Diceva: «Io sono un gesuita secondo la Formula Istituti, cioè dedito alla diakonìa tou Lògou e alla diakonìa tou Pnèumatos, ossia al “servizio della Parola” e al “servizio dello Spirito”. In gratuità. Incominciò, in modo capillare, a dare corsi di esercizi, a fare corsi biblici, cominciarono i campi-Bibbia scout nazionali con Agnese Cini Tassinario. Insomma, veramente si mise in moto un intensissimo “servizio della Parola e dello Spirito”, tutto orale.
Non pubblicava niente, uscivano alla luce solo pochi suoi scritti. In realtà io, qualche anno fa, ho portato dal Canisio a Ragusa degli scatoloni pieni di suoi appunti, casse di dispense e trascrizioni più o meno clandestine. Sono lì: appena sarò in pensione mi dedicherò (come Carlo Casalone sta facendo per la Fondazione Martini … certo tutto più “in piccolo”) a raccogliere il materiale inedito di Francesco. Perché? Perché – lo scriveva Alessandro Manaresi questa mattina all’alba – è incredibile come questo “tesoro” sia rimasto per tanto tempo sepolto. Anche se poi, obtorto collo, qualche cosa transitava e, a un certo punto, anch’io sentii che era importante raccogliere e pubblicare questo materiale. Incominciarono a uscire i primi volumi: Cominciando da Gerusalemme, i commenti alle omelie e alcuni commenti di alcuni libri biblici con il metodo della Lectio Divina, i quattro volumi di Percorsi di Vita, che raccoglievano il suo modo particolare di dare gli esercizi che – ve lo ricordate – era non tanto di mettere la Bibbia negli Esercizi, ma piuttosto mettere le chiavi fondamentali degli Esercizi dentro l’itinerario della storia della salvezza. Un modo particolarissimo di dare gli esercizi ignaziani … anche a tappe. È stato così … la sua scoperta progressiva, vivendo con la gente, con le persone che accompagnava. Persone di tutte le nazioni: sapeva le lingue, si muoveva nei cinque continenti. Ancora in questi giorni, arrivano tantissime emails di gente in giro per il mondo – Africa, Asia, Sud-America – gente che si ricorda di un corso fatto con lui, di come sia stato da lui aiutato nel proprio cammino ...
Poi, certo, c’è stata la chiamata a Gerusalemme. Anche questa – ancora due minuti e chiudo – per lui fu una tappa di svolta. «Perché, questa volta, non ho scelto io …» – diceva – «… non ho proposto io». Ma gli fu proposto da padre Martini – quando era rettore del Biblico … era nel frattempo morto padre Mollat … – di andare a Gerusalemme a fare il padre spirituale. Anche se lui fu messo come responsabile della biblioteca, per cui quando gli chiedevano: «Ma tu cosa fai qui?», «Io faccio il bibliotecario …», così aveva un ufficio da svolgere! In verità, invece, c’era poi tutta una rete capillare di relazioni in quella terra. Ecco: quell’incontro con Gerusalemme – che ha poi vissuto alternando ogni anno un periodo in Italia e un periodo in Israele – davvero fu per lui l’impegno di un nuovo servizio. Credo che molti di noi gesuiti sono stati là, in quegli anni, per i due mesi di corso di “formazione permanente” nella città santa, studiando, meditando e pellegrinando nella Terra del Santo. Ed io ricordo … c’è qua Federico Lombardi … eccolo là … io a lui devo il cambio della mia vita. Perché in quel tempo, io dovevo finire l’università, chiesi a lui: «Ma posso aggregarmi a questo corso?». E lui mi ha detto: «Perfetto! Però tu, a settembre, fai la guida ai fratelli coadiutori delle case internazionali a Roma». «Ma Federico devo ancora andare … non sono prete …». «Ma no … un prete lo troviamo!». Insomma, mi aggregai e, grazie a lui, per me cominciò – prima della teologia – un’avventura incredibile, perché anche io ho potuto fare la teologia partendo dalla Terra, dalla Parola e dal Popolo. Mi sono imparato l’ebraico. Ho imparato la Terra: ho “respirato” quella Terra. Perché quel testo che abbiamo appena letto, Deuteronomio 34 … vedete per noi quei nomi geografici … eccoli: le steppe di Mòav, la cima del Pisgà, Ierichò, Galaad, Dan, Neftali, Efraim, Manasse, Nèghev, Zoàr … non sono così … termini senza riferimenti, ma sono luoghi dove noi, a piedi, abbiamo camminato, leggendo la Parola, per anni ... Quindi, per me, quella è la “composizione di luogo permanente” ogni volta che ascolto le Scritture d’Israele. Ma credo che per molti di noi è stato così. Non soltanto i gesuiti, ma molti di noi hanno cominciato questo itinerario con Antonella e Francesco. Fra l’altro Antonella è stata una sorella fedelissima. Veramente una presenza importantissima nella vita di Francesco, fino agli ultimi istanti della sua vita e davvero la ringraziamo, proprio a nome di tutti, per quello che ha fatto per questo nostro fratello.
Sì, sempre nel Deuteronomio – l’abbiamo appena ascoltato, e chiudo – si dice che … Vi ho detto che il Deuteronomio è contenuto in un solo giorno, ma in verità è un giorno … più trenta giorni, perché quando muore Mosè per trenta giorni c’è il lutto; solitamente nel mondo ebraico c’è la shiv‘àh, i “sette” giorni del lutto; invece qua ci sono trenta giorni: trenta giorni per contemplare quella morte ... Ebbene dice qua il testo (Dt 34,5) che «Mosè, servo del Signore, morì in quel luogo, nella terra di Moab, secondo l’ordine del Signore». Ma in ebraico c’è scritto: ‘al-pi Adonày, che sarebbe: “sulla bocca del Signore”. C’è un bacio: è un bacio definitivo che il Signore ha dato anche al nostro Francesco, richiamandolo a sé.
Dicevo all’inizio che sono qua a dare voce alla vostra gratitudine, a fare insieme questa todà, questo “grazie”, a pronunciare con voi questa berakhà, questa “benedizione” al Signore per il dono di Francesco. Come potremmo dire?
Barùkh attà Adonày, Elohénu, mèlekh ha-‘olàm, shenatàta lànu Francesco cmo chavèr, cmo àbba, cmo ach, “Benedetto tu, Dio nostro, re del mondo, che hai donato a noi Francesco, come amico, come padre, come fratello”. Ma si potrebbe dire al presente: ha-notèn, Tu Benedetto sei Colui che ancora ce lo “sta donando” – Francesco è vivo! – come fratello, come papà, come compagno di strada.
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Roma. Chiesa del Gesù. 28 gennaio 2024.
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Roma. Chiesa del Gesù. 28 gennaio 2024. |
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Roma. Chiesa del Gesù. 28 gennaio 2024. |
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Roma. Chiesa del Gesù. 28 gennaio 2024 - Benedizione della salma. |
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Roma. Chiesa del Gesù. 28 gennaio 2024. Il saluto del nipote di padre Francesco Rossi De Gasperis, anche lui sacerdote e suo omonimo.
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L'uscita dei sacerdoti concelebranti. |
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Roma. Chiesa del Gesù. 28 gennaio 2024. |
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