Tratto dalle pagine del libro: F. NEMBRINI, Dante Alighieri, Inferno, Mondadori, Milano 2018, 203. Si rimane a disposizione degli aventi diritto per l'immediata rimozione del testo. Il paragrafo Concetti importanti, deriva da una paragrafatura e sintesi della introduzione del libro al Canto VII.
Sintesi del canto - Siamo nel quarto cerchio, dove Dante, dopo aver superato Pluto, il custode (vv. 1-15), incontra avari e prodighi (vv. 16-66). Segue una lunga digressione di Virgilio sulla Fortuna (vv 67-96), quindi Dante e Virgilio arrivano nel quinto cerchio, costituito dalla palude Stige, dove sono puniti gli iracondi e gli accidiosi ( vv. 97-130).
Concetti importanti
- Nel VII canto Dante incontra due coppie di peccatori: nel quarto cerchio, avari e prodighi, nel quinto cerchio, iracondi e accidiosi.
- Perché Dante mette insieme colpe opposte?
- Nel caso di avari e prodighi: in entrambi i casi gli uomini in vita hanno pensato che la ricchezza o i beni da lei acquistabili potessero essere la fonte della felicità, invece, si rivela per quello che è: un ostacolo al cammino, come nel mito classico di Sisifo.
- Dante ci fa ricordare Gesù e concorda con la mentalità medioevale che considera il denaro "sterco del diavolo" e considera l'usura un peccato grave.
- Avari e prodighi hanno guardato ai soldi in modo sbagliato. La ricchezza di per sé non è un male, ma è più facile che un ricco pensi che la ricchezza sia una risposta adeguata al proprio desiderio.
- Avarizia e prodigalità sono due esiti opposti dello stesso errore. I prodighi spendono senza misura e sperano di ottenere la felicità dalle soddisfazioni che i soldi procurano. Tutto l'oro del mondo non potrebbe dare un attimo di tregua a questi dannati.
- Dante mette in bocca a Virgilio un discorso sulla Fortuna. Per Virgilio, la Fortuna è una ministra di Dio a cui lui affida "li splendor mondani" (ricchezze, onori, successo, potere) e lei li sposta da una persona all'altra, da una famiglia all'altra, da un popolo all'altro, senza una apparente logica. E lo fa, invece, con una logica non umana, ma divina, e lo fa per educarci al fatto che il mondo di sviluppa secondo il disegno di Dio e non secondo il nostro disegno. La Fortuna non è una dea bendata, anzi ci vede benissimo, vede meglio di noi.
Perciò la si può ringraziare, perché i rovesci della vita sono per il nostro vero bene. E' il paradosso che Dante stesso ha vissuto sulla propria pelle quando è morta Beatrice, quando è stato esiliato: è allora che ha cominciato a capire il valore vero delle cose (F. NEMBRINI, Dante Alighieri, Inferno, Mondadori, Milano 2018, 205).
- Gli iracondi e gli accidiosi. Nel quinto cerchio, Dante vede gli iracondi nel fango della palude che si pestano e si sbranano fra di loro.
- L'ira e l'accidia, oggi, difficilmente sono percepiti nella nostra società come peccati. Anzi, l'ira oggi, sembra una virtù, non un vizio.
- Come per la lussuria del canto V, come per il denaro, anche per l'ira vale lo stesso criterio. E' normale provare rabbia, ma non è sano alimentarla. Anche S. Paolo afferma qualcosa di simile. Il problema non è l'emozione, ma l'uso che decidiamo di farne.
- Per quanto riguarda l'accidia, difficilmente è vista come un peccato: cosa c'è di male nel non fare niente? Se non faccio niente, non faccio neanche niente di male? Pensiamo agli "sdraiati" (Michele Serra, Gli sdraiati, Feltrinelli, Milano 2013), adolescenti ipnotizzati da musica, cellulare, videogiochi. Invece che conquistare il mondo, si rifugiano sul divano.
- In realtà l'accidia è data da una assenza di gratitudine che porta ad una tristezza profonda.
- Alla radice dell'accidia c'è un atteggiamento per cui non sei più in grado di apprezzare il bello e il buono che c'è.
- La radice comune di rabbia e accidia? Un senso di ingiustizia subita, che diventa totalizzante. Una persona non vede più il bello che ha di fronte, ma guarda soltanto il proprio malessere. La radice è la stessa: erigere il proprio stato d'animo a criterio ultimo della realtà sottomettendogli tutto il resto.
- Dal punto di vista cristiano, quando incontri Cristo, o lo segui oppure no. Se non lo segui puoi assumere l'atteggiamento dei Farisei, che sposano la rabbia, e vogliono eliminare quello che Gesù propone e Gesù stesso. Puoi assumere l'atteggiamento del giovane ricco, che sposa l'accidia, che si toglie dalla presenza di Gesù e si ritrova nella tristezza perché sa di essere stato alla presenza del Bene e di averlo rifiutato.
- Ci avviciniamo verso la fine della prima parte dell'Inferno dove Dante inserisce i peccatori di "incontinenza".
- Il fatto di collocare in questa parte le coppie di peccatori, avari e prodighi e di iracondi e di accidiosi, è la scelta che Dante fa per dirci che esistono due modi sbagliati di stare di fronte alle cose: disprezzare e idolatrare. Disprezzare, non riconoscere il valore delle cose (le persone, i beni, le azioni) e quindi non prendersene cura, non impegnarcisi: ignavi, prodighi, accidiosi. E idolatrare: non riconoscere il limite che le cose hanno e, quindi, fare di persone, beni, azioni il valore assoluto: lussuriosi, golosi, avari, iracondi. Errori di giudizio che nascono dal medesimo atteggiamento: l'incapacità di riconoscere che tutto ciò che esiste è un bene finito. E' un bene e perciò merita il nostro amore. E' finito perciò non merita un amore ed un impegno totali, ma può essere amato in modo adeguato solo se riconosciuto come segno di un Bene più grande.
- Quindi la Fortuna ci aiuta a non dare la nostro devozione incondizionata ad un oggetto non adeguato all'ampiezza del nostro desiderio.
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