lunedì 25 luglio 2022

25/07/2022 - Mariuccio Paolo Piola - Corinzi 4,1-16 - Su mio padre e sui miei maestri

"Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il vangelo" (1Cor 4,15)

Una riflessione scaturita da questa frase dell'Ufficio delle letture di oggi che non ha potuto che ricondurmi a mio padre.
La condivido con voi. Ho messo i soliti titoletti rossi per orientarsi visto che è un pò lunghetta.

La domanda a cui rispondere- 
Mi ha colpito questa frase di San Paolo ai Corinzi.
Naturalmente mi fa tornare in mente tutte le persone che hanno contribuito alla mia nascita e crescita umana e quindi spirituale. 
Chi sono stati i miei pedagoghi e il mio padre nella fede?
Questa domanda mi da modo di mettere a tema delle riflessioni che ho nella testa da tempo.
Il mio caso personale credo, per quello che vedo intorno a me nell'esperienza di amici e conoscenti, sia particolare da questo punto di vista.
Infatti mio padre, Mariuccio Paolo Piola è stato la persona attraverso cui Dio ha voluto chiamarmi alla vita biologica. Fino a qui tutto statisticamente normale. La peculiarità, nel mio caso, è rappresentata dal fatto che sempre mio padre è stata anche la persona attraverso cui Dio mi ha voluto chiamare alla vita spirituale e che ha continuato ad essere il mio maestro fino al giorno della sua morte. Ora lo farà dal cielo. Mio padre era un uomo di fede e su questa ha basato le fondamenta della sua vita e ha insegnato a fare questo con l'esempio a tantissime persone, fra le quali ci sono anche io. 

Ritengo infatti che mio padre, nell'infanzia, mi ha iniziato alla vita spirituale e alla fede nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe e in Gesù e nello Spirito Santo. Lui, connaturalmente alla sua predisposizione alla vita spirituale e alla trasmissione della stessa, mi ha naturalmente formato in modo all'inizio per me inconsapevole. Come un piccolo di leone che segue la leonessa, ho potuto vivere accanto a mio padre ed imparare da lui che ha vissuto alla luce della volontà di Dio per tutti i quarantaquattro anni  della sua vita e di questo sono stato testimone.

Questo lo ha reso per me un maestro, anzi oggi, posso dire che sia stato il mio padre spirituale e, fra i miei maestri, il mio maestro più importante e come gli altri pochi maestri credibile e autorevole. 

Gli altri pedagoghi e maestri-
Questo lo dico non senza pesare molto bene le mie parole. 
Papà mi ha formato nell'infanzia e fino all'adolescenza è stato il mio unico punto di riferimento. 
La mia vita successivamente è continuata nel confronto con altre persone che hanno rappresentato per me dei punti di riferimento a cui guardare, dai quali imparare a navigare nella vita, nella professione, nella fede, nelle relazioni.
Essi mi hanno accompagnato per delle fasi di vita. Sempre però ho mantenuto un dialogo con papà. 

Giovanni Stirati
Penso al Prof. Giovanni Stirati (nato nel 1938 e morto nel 2023), a cui ho guardato con ammirazione come modello di uomo, di catechista, di medico, di professore universitario, di insegnante a partire dal 1992. E soprattutto, poi, intorno agli anni 2002 fino al 2009. E nei numerosi contatti avuti con lui fino al 2012 o comunque fino a quando la sua malattia lo ha permesso. Varie volte e con diversi pretesti, mi sono arrampicato fino alla sua stanzetta all'ultimo piano della seconda clinica medica all'Università La Sapienza di Roma. Tante volte gli ho proposto di accompagnarlo dal lavoro a casa per potermi confrontare con lui. Abbiamo condiviso, dopo la sua andata in pensione, la preparazione di tutto il materiale del suo corso di Bioetica, in ore di lavoro fianco a fianco. In lui, da piccolo, ho visto la persona che avrei voluto diventare. E questo mi ha dato una bussola per orientarmi negli anni delle medie e del liceo. Poi, più avanti negli anni, ho scelto di adattare meglio al mio modo personale di essere, le decisioni prese nell'adolescenza, per non imitare e per passare all'interiorizzazione di tutto quello che ho potuto imparare da lui. Ho sempre confermato la stima e l'affetto per lui che ritengo uno dei miei più importanti maestri di una fase di vita verso il quale ho nel cuore la devozione e la gratitudine dell'allievo e del discepolo ormai adulto.
Per circa venticinque anni  Giovanni e mio papà hanno collaborato l'uno a fianco all'altro come responsabili della prima e della seconda comunità Neocatecumenale della parrocchia di Santa Francesca Cabrini di Roma, fra le prime comunità a Roma e nel mondo, con reciproca stima e rispetto rimaste negli anni anche quando papà  dal 1992 non ha più presenziato e partecipato attivamente alla vita del Cammino Neocatecumenale, nelle chiare e complementari differenze e nelle strutturali e sostanziali similitudini. Nel 2019, dopo ventisette anni di percorsi fatti in solitaria, vedere papà andare, ogni lunedì, durante una fase della malattia di Giovanni, semplicemente a trovarlo a casa per tenergli la mano e per pregare insieme facendogli sentire la sua vicinanza, la sua presenza e il suo affetto, senza poter comunicare con le parole, me li ha fatti vedere come due guerrieri che, con stile diverso, hanno combattuto insieme tante battaglie aiutandosi lealmente, anche con i loro limiti che da figlio e da allievo penso di avere avuto il privilegio di poter conoscere. Due uomini che si sono considerati sempre secondi. 

Francesco Piloni-
Penso a padre Francesco Piloni, francescano minore, nato nel 1968, padre spirituale che mi ha permesso di fare dei passi in autonomia quando ho voluto iniziare a cercare di percorrere in autonomia dalla mia famiglia il cammino della vita, aiutato dalla sua supervisione. Allora, parliamo del 2002-2011, lo consideravo un fratello maggiore a cui chiedere le cose quando il padre è momentaneamente in viaggio. Per tanti anni, per parlargli, sono partito da casa a Roma e con il treno mi sono recato a Santa Maria degli Angeli ad Assisi. Allora il servizio che padre Francesco mi ha reso mi ha aiutato tanto.

Emidio Alessandrini-
Penso a padre Emidio Alessandrini, francescano minore, (nato nel 1966 e morto nel 2021) che mi ha sempre illuminato, nel 2002 e poi nel 2017-2019, con le sue sintesi e i suoi colpi di insight e l'applicazione concreta della sapienza biblica e umana frutto di tantissimi approfondimenti ed esperienza di conoscenza di se stesso e degli altri. Un fratello maggiore. Un pedagogo.

Fabio Rosini-
Penso a don Fabio Rosini, prete della diocesi di Roma, nato nel 1961, per il quale ho svolto per anni il compito di sbobinatore personale, ruolo per il quale poi ho imparato, in Ungheria, durante il mio periodo Erasmus, anche a scrivere senza avere bisogno di guardare la tastiera. In lui ho sempre ritrovato la freschezza catechetica che avevo da sempre respirato a casa, in famiglia, da mio papà. Don Fabio, in un pomeriggio trascorso insieme nel 2012, mi ha detto che aveva sentito predicare papà e si ricordava delle sue catechesi.
L'ho sentito parlare per la prima volta nel 1998 nella parrocchia di Santa Angela Merici a Roma. Avevo 20 anni.  Poi, nel 2003, nella basilica di San Marco Evangelista a Roma dove ho iniziato il servizio di sbobinatore. 

Colgo l'occasione per dire che predicare, non è una cosa riservata a preti. Predicare è utilizzato qui come sinonimo di parlare di Gesù, di quello che ha fatto, detto, del significato che i suoi gesti e suoi insegnamenti hanno avuto allora e hanno oggi nelle nostre vite. Io credo che sia una delle cose più belle che si possano fare e soprattutto che sia un dono poterlo fare bene. 
Sentire da qualcuno parlare di Gesù, da qualcuno che lo fa bene, è qualcosa che cambia la vita di chi ascolta. Il mio altro pedagogo e maestro Francesco Rossi De Gasperis chiama questo servizio la diaconia della Parola.
Predicare bene non è qualcosa che si può ottenere con esercizio. E qualcosa che si ottiene solo seguendo Gesù, perché in sostanza si tratta di parlare di lui. Come si può parlare bene di qualcuno se non lo si frequenta?

Fabio Pieroni-
Penso a don Fabio Pieroni, prete della diocesi di Roma, che ho frequentato in un primo periodo dal 2005 al 2012 e poi, in seguito, dal 2015 e la nostra amicizia continua ad oggi. 
Anche in lui ho ritrovato, nel suo modo di predicare e di vivere la fede, qualcosa che in mio padre era presente strutturalmente.
La sensazione che la Parola fosse qualcosa di liberante, di efficace, di vivo, di vitale. Qualcosa capace di portare essenzialmente vita. Non legami, legacci, sensi di colpa, sensi di chiuso di stantio, di pesante.
A lui debbo la possibilità di vivere il suo ambiente parrocchiale, la frequenza della messa della domenica. Alcuni viaggi di formazione molto importanti: in Israele nel 2007, in Egitto Giordania Israele 2008, in Grecia 2009, in Spagna nel 2010. Sono legato a lui dall'affetto di un rapporto di affetto e di intima e profonda amicizia che è maturata grazie ad alcune fasi burrascose, pause di maturazione, cambiamenti e riavvicinamenti.
Anche lui è stato un pedagogo per me. Da lui ho imparato molte cose e la vicinanza con lui mi ha insegnato tanto e soprattutto fatto prendere contatto con una parte di me che non era venuta fuori prima. 
Anche don Fabio aveva conosciuto papà, negli anni 70-80, e lo aveva sentito commentare un salmo. don Fabio ha sempre ricordato che papà stava commentando il salmo 91 il versetto 11: "Tu mi doni la forza di un bufalo, mi cospargi di olio splendente". 

Per don Fabio Pieroni, don Fabio Rosini, per padre Francesco Piloni, devo dire che il rapporto che ho avuto con loro si è evoluto. Non è stato privo di allontanamenti, di revisione critica, di distacco completo e, in alcuni casi, di alcuni momenti di forte incomprensione. Questo tipo di andamento, per me, ha fatto parte del percorso di crescita, del diventare da figlio a fratello. Oggi queste persone le considero come fratelli maggiori, non padri, e sono loro profondamente grato.
In tempi e modi diversi, mi hanno accompagnato in fase decisive della mia vita. In alcune circostanze mi sono sentito ferito è vero, ma non mortalmente sebbene il dolore è arrivato, in altri momenti la loro azione mi ha seriamente salvato la vita. Mi hanno permesso di fare qualcosa di grande. Oggi li considero persone con le quali ho condiviso e continuo a condividere una parte del mio viaggio esistenziale, ma sapendo camminare ciascuno sulle proprie gambe dietro l'unico maestro. 

Francesco Rossi De Gasperis-
Penso a padre Francesco Rossi De Gasperis, padre gesuita, biblista, dell'Istituto Biblico, (nato nel 1926 e morto santamente a 26 febbraio 2024 a 97 anni e 76 anni di professione religiosa) e conosciuto da me nel 2008. La frequentazione con lui per me è stata fondamentale. Un uomo libero. Un uomo vivo. Un uomo di esperienza. Un uomo biblico. Da un certo punto di vista forse il più simile al mio papà. Anche se hanno delle storie molto diverse. Papà aveva molta stima per padre Francesco. Riflettendoci ora, papà mi ha accompagnato varie volte alla Gregoriana, dove papà si laureato in Teologia e ha continuato gli studi dopo la Laura, per ascoltare padre Francesco Rossi De Gasperis che mensilmente commentava la seconda lettera di Pietro. 
Papà è anche voluto andare personalmente alla presentazione di un libro di Padre Francesco avvenuta circa due tre anni fa. Se papà si spostava per ascoltare era certo che l'oratore fosse una persona di qualità assoluta. Papà non si muoveva per meno.
Ho sentito pronunciare da padre Francesco Rossi De Gasperis nella aule gremite dell'Università Gregoriana cose che in alcuni anni pensavo fossero impronunciabili se non da papà nella cucina di casa sua. Questo mi ha fatto capire quale è la portata liberante della Parola. 

Altre figure luminose: Andrea Lonardo, padre Giovanni Marini-
Altre persone che ho potuto frequentare di meno, ma verso i quali ho un debito di riconoscenza sono don Andrea Lonardo, prete della diocesi di Roma, che mi ha fatto vedere un altro modo di brillare della stessa luce. Padre Giovanni Marini, francescano minore, inventore del SOG insieme ad Emidio, che, una volta, ho raggiunto  in una masseria in Puglia in modo rocambolesco partendo da Assisi e  parlando con lui in un ovile. Era vestito da pastore in quell'occasione. Peccato non averlo fotografato.  

Silvestro Paluzzi e Nicolò Meldolesi-
Ci sono poi due figure importanti che devo menzionare: Silvestro e Niccolò, in ordine di apparizione nella mia vita. Il dott. Silvestro Paluzzi, psicologo psicoterapeuta e il dott. Nicolò Giulio Meldolesi, medico psichiatra psicoterapeuta. 
Ad oggi considero queste due persone gli strumenti attraverso cui ho potuto fare un percorso privilegiato di crescita interiore e che mi hanno aperto ad un mondo che io amo e a cui vorrei fare accedere altri che ne  hanno bisogno. La maturazione umana è un terreno che predispone alla vita spirituale.

Valerio Albisetti-
Vi è poi una figura importante che ho potuto conoscere tramite i libri che ha pubblicato. Questi libri sono stati importanti, a volte decisivi per me. Si tratta dello psicologo psicoterapeuta il dott. Valerio Albisetti. I suoi libri mi hanno accompagnato a partire dal 1998 quando, con una delusione affettiva e con la morte del mio più caro amico, la vita mi ha posto davanti al limite. 

Torniamo a mio padre, nella mia vita il primo dei numero due-
Torno a papà. Da padre saggio, ha lasciato che io iniziassi il mio cammino con lui e che lo proseguissi con lui, ma anche da solo o accompagnato da altri pedagoghi che io sceglievo. Questo non lo ha scalfito nell'orgoglio, o nella sua identità.
No. Ho ripensato spesso e mi sono chiesto se nelle fasi in cui mi sono allontanato un pò da lui per misurare se avevo le forze sufficienti per camminare da solo, questo è avvenuto dal 2003 al 2010, lui ne avesse sofferto. Credo proprio di no, ha continuato sempre a starmi vicino e io gli spiegavo che preferivo affrontare le sfide da solo, ma dopo le prove condividevo sempre con lui il piacere del superamento della sfida o il dispiacere della apparente momentanea sconfitta. 
Papà mi ha sempre permesso ampie possibilità di manovra sia in direzione centripeda che centrifuga rispetto a lui.
Anzi incoraggiava questi movimenti, mai ostacolando i ritorni e sempre incoraggiando le partenze. 
Un concetto che lui esplicitava in latino citando San Paolo: "Multa sperimentare, bona tenere". 
Mio padre mi raccontava che, da piccolo, amava imparare guardando lavorare in officina l'amato nonno geniale meccanico che si era sposato in seconde nozze. Pur di frequentarlo, sfidava il divieto di sua madre, forse oggi non immediatamente comprensibile, di andarlo a trovare. Papà conosceva bene il valore del frequentare gente che sa fare bene il proprio mestiere, di gente in gamba, che punta alla verità delle cose e che ti fa crescere rilanciando sempre più in alto, sempre oltre.
Questa d'altronde è stata la molla che lo ha spinto a lasciare la Torino del 1967 per venire a Roma dove sperava di potersi confrontare con un ambiente più internazionale e più frizzante dal punto di vista culturale perché rinnovato dal fermento portato dallo storico evento del Concilio Vaticano II. E così è stato. 

Ho continuato sempre a dialogare con lui. Il rapporto non si è mai interrotto. Il suo essere padre nella vita e nella fede è continuato sempre. 
Padre e maestro di vita. Vita intesa sia come vita concreta che spirituale. Per gli uomini biblici, come papà, le cose non sono separate, non esiste soluzione di continuità. Sono due aspetti della stessa realtà.
Mio papà ha continuato a vivere tutto quello che mi ha insegnato fino al momento in cui ha chiuso gli occhi per l'ultima volta sulla terra. La sua fede lo ha guidato fino al momento del grande passaggio come un stella luminosa seguendo la quale non si può sbagliare la rotta della vita e si arriva al porto sicuro anche nella notte più oscura, anche nella tempesta più ostile. 
Dopo la sua morte, in un momento preciso, mi è stata data la grazia di percepirlo vivo, vitale, felice e all'opera vicino a Gesù, insieme a lui. Il dono enorme, totalmente immeritato, non dovuto e non necessario, ma forse frutto della particolare misericordia del Signore verso la mia fragilità dopo averlo accompagnato come medico nel momento più difficile e forse frutto della stessa intercessione di papà, di percepirlo felice e all'opera insieme a lui nel mondo che ci aspetta, in attesa di un nuovo incontro. Percepirlo, insieme a Gesù, contento di me, del mio assetto di fronte alla vita, fiduciosi entrambi nei frutti del loro insegnamento nella mia vita. Ho ricevuto da Gesù e da papà la conferma di essere pronto ad affrontare questo ulteriore tratto di strada in attesa del prossimo incontro.  

Tutto questo oggi rende mio padre Mariuccio Paolo ai miei occhi il testimone più credibile dell'insegnamento che mi ha trasmesso prima con l'esempio e poi con le parole, ogni giorno della vita. 

Negli ultimi giorni, in un momento di colloquio affettuoso vero a cuore aperto, come ne abbiamo avuti sempre sin da quando ero piccolo, salutandoci e sapendo entrambi che il tempo che gli restava non era tanto, gli ho rivolto fra le tante altre parole che per fortuna ho registrato e che un giorno trascriverò,  anche questa frase cercando inutilmente di tenere a bada la commozione: "Papà, ora mi dovrò ricordare tutto quello che mi hai insegnato". Lui con semplicità, andando al centro del discorso, mi ha risposto: "André è semplice, è il vangelo. E' tutto lì". 

Un esperto alpinista della vita-
Mia zia Flavia in una telefonata, prima che papà morisse mi rivolgeva questa considerazione: "Andrea hai avuto un grande maestro che ti ha insegnato come vivere e che adesso ti sta insegnando come morire".
Oggi che papà è morto posso dire, senza timore di essere smentito dai fatti, che la frase di mia zia è stata vera. 
Come medico ho visto tante persone morire. Tante persone sono morte mentre me ne prendevo cura. Ho avuto per i ventiquattro anni in cui ho lavorato in ospedale, un contatto quotidiano con la morte. E ho familiarità con questo momento della vita. Dal punto di vista medico conosco l'argomento. Anche se viverlo con un padre è tutta un'altra storia. Tutto diverso. 
Papà, da bravo torinese amante delle montagne, ha affrontato con il suo meraviglioso piglio montanaro anche l'ultimo crinale, forse il più complicato della sua vita, prima di raggiungere la vetta più ambita. Una vetta non segnata sulle cartine, non visibile se non con gli occhi della fede e della speranza, dono del Signore. 
Questo passaggio mi ricorda molto quanto ha vissuto Walter Bonatti, il più grande alpinista degli anni 50 nella sua scalata solitaria sul pilastro sud-ovest del Petit Dru nel 1956 sul massiccio del Monte Bianco, quando ormai era persa ogni speranza di sopravvivenza davanti ad una parete insormontabile, dopo 5 giorni di arrampicata su verticalità assolute. Per non sprecare l'unica remota possibilità di salvezza si è dovuto lasciare nel vuoto avendo come unico aleatorio appiglio una corda sospesa sopra un precipizio di seicento metri e assicurata da un fortuito artistico incastro tra il gomitolo di nodi fatti per disperazione ad una estremità della corda lanciata con un pendolo in una fessura di rocce. Bonatti non sapeva se il tutto avrebbe sostenuto la forza del peso del corpo aggravata dal lancio e cosa avrebbe trovato qualora fosse riuscito a risalire la corda con la sola forza della braccia.

In punto di morte ho visto papà fidarsi e seguire, ancora una volta, il suo solo maestro. Lo ha seguito sin da piccolo senza mai lasciarlo e ha imparato da lui tutto ciò che serve nella vita: farsi secondo. Sul crinale  della passaggio tra vita e vita ha seguito il capocordata di sempre, l'amico provato in settantotto anni di avvincenti ed eroiche scalate. L'apritore di piste impossibili. Papà per l'ennesima volta si è fatto secondo del suo amato numero uno e si è fidato di lui.
Dal mio punto di osservazione, fino a dove ho potuto seguire la loro scalata ho visto che sono andati benissimo, poi hanno voltato dietro lo spigolo di roccia non accessibile al mio sguardo e allora con uno dolore profondo li ho dovuti lasciare; ciò che è accaduto dopo, nella parte oltre il crinale, non l'ho potuto vedere.
Però è accaduto qualcosa che non mi aspettavo e che mi ha fortificato nella speranza che non avevo quasi più. Poche settimane dopo la sua morte, in Terra Santa, in Israele, su un battello al centro del lago di Tiberiade, in un posto dove papà qualche settimana prima di morire in un modo strano mi aveva dato una sorta di appuntamento, ho avuto l'impressione che tutto sparisse intorno a me: il chiasso delle persone, la musica sul battello al centro del lago.  Li ho rivisti, come usciti dal cono d'ombra in cui erano entrati prima di superare l'ultimo crinale,  e ho ricevuto l'impagabile dono di percepirli realmente vivi e vitali. Papà era al fianco del suo amico e capocordata, come sempre in sua compagnia, entrambi pronti per nuove avventurose missioni.

Papà è stato padre nella mia vita e nella vita di tante persone. 
E' stato ed è il mio maestro, il più importante.
Lui mi ha insegnato come vivere e come morire. Come un uomo che vive da numero due, non da numero uno,  che sa di avere un Padre, il numero uno, che provvede sempre, in ogni momento della vita e anche e soprattutto in punto di morte quando sembra che la strada sia finita e che non ci sia modo di arrivare in vetta.
Questa è la sua particolarità e la sua ricchezza ed è anche la mia.
Questa è la ricchezza della nostra famiglia che è condivisa con tutte le persone che lo hanno conosciuto. 
Questa è la roccia che ci ha generato.  

2021, 12 giugno - Cadini del Brenton (Belluno) - Papà e mamma sono venuti a trovarmi nel periodo in cui lavoravo lì. Sono stati giorni meravigliosi sulle montagne, sospesi tra la terra e il cielo. Papà diceva di se stesso di essere come un albero con la testa in giù, un albero che aveva le radici in cielo.


Ciao papà, ci vedremo come mi hai spiegato quando tornerai insieme a Gesù per un nuovo incontro. Io intanto procedo come mi hai detto di fare e con lo stile che mi hai insegnato. 

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2 commenti:

Mario ha detto...

André è tutto vero, tutto. Grazie, una meraviglia. La fede, la fede! Sia benedetto il Signore. Grazie

Davide Vaccari ha detto...

Ho conosciuto Mario come il papà del mio migliore amico di adolescenza e ne ho sempre ammirato la cultura, la saggezza, e soprattutto l'ironia. La capacità di scherzare su cose impensabili, come quando ritornato da Napoli ci mostró una piccola teca con su scritto "osso della mano i Nostro Signore Gesù Cristo". È stato il primo da cui ho sentito predicare il Kerygma, ed il primo per cui sono tornato a fare il servizio di cantore dopo tanti anni di silenzio.
La sua saggezza l'ho vista riflessa in suo figlio, mio amico e fratello, padrino della mia primogenita. L'albero si riconosce dai frutti, su questo non ho dubbi. Ora sono certo che è tra gli angeli a riparare qualche angolo di cielo.

IL CAMMINO DELL'UOMO

IL CAMMINO DELL'UOMO
Marcia francescana 25 luglio - 4 agosto 2003